1956: L’anno della neve

1956: L’anno della neve

di Nino Monti

Il 1956 viene ricordato in Sardegna come l’anno della neve. Senza addentrarci troppo nel tecnico si può affermare che si verificarono una serie di variabili climatiche molto difficilmente ripetibili che strinsero in una morsa di freddo e gelo vaste zone d’ Europa, Italia compresa.

Tale fenomeno ebbe anche una durata significativa; iniziò a manifestarsi il 27 gennaio 1956 e durò sino al 20 febbraio.

In Sardegna ebbe un impatto devastante; in molte zone, in una sola giornata, caddero dai 60 agli 80 cm. di neve, alcuni paesi rimasero isolati per giorni. l’impreparazione delle Istituzioni per niente abituate a gestire fenomeni del genere furono oggetto di violentissime critiche.

Nel territorio di Alghero e della vicina Villanova, coperto per settimane da una coltre nevosa sino al mare, si contarono molti danni nelle campagne, perdite di bestiame e notevoli danni ai fabbricati rurali.

Di quella micidiale nevicata fu testimone un giovane pastorello tredicenne, Matteo, che assieme al nonno Giomaria si trovava in un ovile situato nelle colline tra Alghero e Villanova.

Nonostante siano passati oltre sessantanni e Matteo dopo due abbia cambiato mestiere, il ricordo dell’evento è rimasto nitido nella sua mente.

La pinneta del racconto

Racconta Matteo “poco prima dell’imbrunire del 2 febbraio ci siamo recati come al solito in una delle due pinnette della tanca per preparare la cena. Era una serata tranquilla, neanche troppo fredda, che non faceva presagire niente di quello che si stava preparando. L’unica cosa fuori posto era il mancato tintinnio delle campanelle del gregge che autonomamente verso quell’ora si avvicinava al recinto dove la mattina seguente ci sarebbe stata la mungitura. Questa volta, stranamente, nessun tintinnio. Prima che facesse buio mio nonno, in assenza di mio padre Giovanni andato a Villanova per prendere provviste, mi chiese di dare un’occhiata per cercare di capire il motivo di quest’assenza. Ho preso il cavallo e fatto un giro nei pressi della pinneta; il gregge era sparito e, cosa molto strana non si sentiva nessun tintinnio di campanelle che avevano quasi tutte le circa trecento pecore che formavano il gregge. Probabilmente si trovavano lontano dalla pinnetta, forse spaventate dalle volpi come asseriva nonno Giomaria che così commentava …custa notte su mazzone faghe festa… Ormai si era fatto buio e iniziava una leggera nevicata. Non restava che andare a dormire per essere pronti all’alba per la mungitura”.

Quello che non immaginavano Matteo e nonno Giomaria, era che nella notte sarebbero caduti almeno 60 cm. di di neve, cosa che appurarono all’alba quando tentarono di aprire la porta bloccata verso l’esterno da un cumulo di neve che il vento aveva accumulato quasi sommergendola del tutto.

“Liberatici a fatica della neve che ostruiva l’ingresso, continua Matteo, ci siamo trovati con una distesa bianca che aveva coperto molti dei nostri riferimenti ed in particolare i sentieri che ci consentivano di inoltrarci in tutta la tanca. Questi erano spesso segnati in maniera precaria e pieni di ostacoli che bisognava superare con molta attenzione.

Del gregge neanche l’ombra, a piedi sostenendoci con lunghi bastoni per non cadere abbiamo iniziato la ricerca delle pecore. Finalmente da un piccolo canalone pieno di olivastri un leggero tintinnio, forse di una, due pecore che presumibilmente si erano allontanate. Nella realtà c’era tutto il gregge che si era stretto in un piccolo spazio sotto le piante e la macchia mediterranea. Era un’area di un centinaio di metri non molto lontano dalla pinnetta, mai utilizzato prima, nella quale le pecore in totale silenzio si erano rifugiate almeno quattro ore prima della nevicata.

Un silenzio assoluto che avevano mantenuto anche quando la sera prima ero andato a cercarle.”

Il “canalone”

I giorni successivi furono caratterizzati da altre nevicate meno violente che resero comunque impossibile alle pecore la possibilità di nutrirsi per la presenza di una coltre di neve che copriva il manto erboso.

“Per evitare una moria di animali iniziammo a tagliare i rami degli olivastri che garantirono un minimo di sostentamento . Anche loro fecero la propria parte contribuendo con le zampette a spostare la neve nelle zone dove il vento o la conformità del terreno aveva permesso un accumulo inferiore.

Un comportamento che aveva dimostrato come la pecora, animale docile e accondiscendente, ritenuto a torto da molti anche stupido, nei momenti di pericolo disponesse di risorse inaspettate e forse fuori dal comune.

L’aver capito in anticipo di ore l’arrivo di una micidiale tormenta di neve e essersi riparata, in totale silenzio e senza panico, in un sicuro canalone, ha decisamente confermato il possesso di queste facoltà.

Un comportamento questo che a distanza di oltre 60 anni mi è ritornato nitido alla mente quando ho letto sui quotidiani l’esperimento dello scienziato tedesco Martin Wikelski, che aveva scoperto attraverso dei sensori la capacità di questi animali di anticipare di 6 ore l’arrivo delle scosse di terremoto.”

Articolo del Corriere della Sera

E’ forse la definitiva rivalutazione della pecora che dietro un aspetto mesto e pacifico nasconde capacità sensoriali che gli umani, presunti esseri superiori, si sognano.

Matteo sotto la quercia secolare sessantun’anni dopo

Nino Monti

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