Arturo Usai, una vita vissuta

Arturo e Grazietta in Brasile negli anni ’50

Poche settimane fa, nel novembre 2016, se n’è andata Grazietta, moglie e compagna di una vita di Arturo Secondo Usai. Arturo è stato un uomo eccezionale, e vogliamo dedicare queste pagine al suo ricordo.

E già il raccontare il perché del suo nome, è una storia nella storia.

La mattina del 28 dicembre del 1908 un disastroso terremoto, seguito da una terribile onda di tsunami, distrugge Messina. Il numero esatto di vittime non si saprà mai, ma verranno stimate tra 80.000 e 100.000.

Tra le tante vittime anche l’intera famiglia del Capitano di Vascello Francesco Passino, di Bosa/Sassari, in servizio proprio nel porto di Messina. E’ un’emergenza che trova l’Italia del tutto impreparata e disorganizzata. Comunque il suo corpo, insieme a quello della moglie e dei due figli, vengono recuperati per poi essere inumati nel cimitero monumentale di Sassari. Per i suoi meriti militari e per il suo importante contributo alla tecnologia bellica nazionale, il Governo decide di affidare ad un importante scultore operante nella capitale, Arturo Dazzi, il decoro della tomba. E Dazzi esegue, a Roma, un grande pannello in bronzo con raffigurata l’onda del mare che sta travolgendo la povera famiglia.

Scultura di Arturo Dazzi rapresentante l’onda di zunami che sommerge la famiglia Passino

Ma serve anche uno scultore locale, a Sassari, che predisponga la tomba ed esegua i lavori minori. Questi lavori vengono affidati allo scultore sassarese Antonio Usai, classe 1873, padre di Arturo. Il pannello viene spedito da Roma verso la lontana Sardegna di allora. A fine lavori, Arturo Dazzi viene a Sassari per visionare la tomba ed è molto soddisfatto dell’opera. A questo punto tra i due scultori nasce, oltre al rapporto di lavoro, anche una profonda amicizia che si conserverà a vita. E proprio per questa amicizia, quando nel dicembre 1910, due anni dopo il terremoto, nasce un figlio nella famiglia di Antonio Usai, verrà chiamato Arturo Graziano. E’ il loro decimo figlio, ma all’epoca i neonati morivano facilmente ed il piccolo non sopravvive. Antonio e la moglie Marietta sono sconsolati. E’ già il quarto figlio che muore in tenera età. Ma dopo sette anni, nel 1917, arriva finalmente un altro maschietto, ed il suo nome non potrà che essere: Arturo Secondo.

C’è da aggiungere che lo scultore Arturo Dazzi muore nel 1966, ed un mese fa, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, è stata inaugurata su di lui una importante mostra a villa Torlonia, a Roma. Quasi un gioco di coincidenze.

Intanto, nel 1920 e nel 1922 nasceranno altre due figlie. Alla fine i genitori di Arturo, Antonio e Marietta, si fermeranno a ben 13 figli, compresi i quattro morti in tenera età.

Ed arrivano gli anni 30. Il più grande, Ettore, lavora con il padre nel laboratorio di scultore nella vecchia piazza Sant’Antonio, a Sassari, che si trova alla fine del Corso, non lontano dalla stazione ferroviaria. Anche il fratello del padre, Andrea, è un valente scultore. Entrambi furono apprendisti, ovvero appresero l’arte, presso lo studio di Sartorio, prima di mettersi in proprio. E possiamo ancora oggi trovare molti pregevoli loro lavori tra i cimiteri dei paesi del nord Sardegna. Anche ad Alghero, dove proprio all’ingresso del cimitero è posta una bellissima scultura di Antonio Usai. E’ buttata li, quasi per caso, tra pezzi meccanici e veicoli che portano bare, come in un garage all’aperto.

Ma forse Alghero è un caso particolare. Nei primi anni 50, a seguito di un vento di follia, venne smantellato e distrutto l’antico cimitero monumentale sito dove oggi sono i giardini della Mercede. Una distruzione che non ha cause naturali come il terremoto di Messina, ma che è stata perpetrata da qualcuno in piena coscienza. Ed è stato molto doloroso per tanti, anche per la mia famiglia (che ha in parte origini algheresi), vedersi smantellare le proprie tombe. Perché cancellare la propria memoria e la propria storia è l’atto più assurdo (e nel caso dei morti anche sacrilego) che una comunità può fare. Nel mondo queste azioni vengono perpetrate da gente che sembra uscita dal peggiore dei medioevi. Ma ad Alghero sono la norma e sulle “distruzioni algheresi” si potrebbe scrivere un libro. Come la distruzione delle mura, dei forti ed dei rivellini, in parte avvenuta per desiderio di libertà, ma anche perpetrata da sindaci e politici costruttori che eseguivano i lavori in cambio di aree edificabili. Questo sistema funzionava nei primi del 900 e continua a funzionare benissimo ancora oggi: lavori pubblico in cambio di edilizia privata e speculazione…

Oppure la distruzione dell’antico porto delle barche dei pescatori, con gli scivoli e le aree di alaggio delle barche da pesca: lo scalo Tarantiello e la banchina dogana. In tutto il Mediterraneo i porti antichi si conservano gelosamente e si costruiscono, a fianco, i porti nuovi. Ad Alghero invece la banchina del porto serve, non per le barche tradizionali, ma per i concerti rock. Ed a proposito di distruzioni, cito anche un ricordo di Michele Chessa tratto dai suoi bellissimi Racconti Algheresi (Vol.3, pag 93): …il Pozzo del Castello è stato distrutto il 9 maggio 1975 alle ore 5 del mattino. Un’ora insolita per lavorare, ma propizia per commettere un “delitto”. La popolazione protestò per questo misfatto, ma tutto fu inutile… Da questo ricordo così preciso e da queste parole traspare un vero amore per la città e per la sua storia.

Arturo in Brasile con la figlia Mariella

Non è difficile conservare la storia e insieme aggiungere i nuovi segni del tempo. Ci vuole solo un po’ di sensibilità. E non sarebbe stato difficile spostare le tombe dal vecchio cimitero verso il nuovo senza smantellarle. Nei primi anni 60 furono soprattutto gli italiani che lavorarono alla straordinaria opera internazionale di spostare il tempio di Abu Simbel, in Egitto, per non farlo sommergere dal lago Nasser. Spostamento ben più complesso che trasferire un po’ di tombe ad Alghero. Inoltre le lapidi che si sono salvate, senza più la loro tomba, sono state collocate a caso lungo i muri del nuovo cimitero come fossero poster o decorazioni. Qua è la però sopravvivono opere pregevoli realizzate dalla famiglia Usai.

Ma torniamo ad Arturo. Cresce a Sassari e studia per diventare medico dentista. Ha vent’anni, nel 1936 quando l’Italia conquista “l’impero” ed in Sardegna si fonda Fertilia. Sembrava allora che il fascismo fosse la strada dritta e sicura per riscattare l’Italia da secoli di miserie e dominazioni. E quasi tutti i giovani di allora vivevano l’illusione di un grande destino. Mussolini, crea l’Impero, fonda nuove città e capisce anche che il cinema è un’arma potentissima e moderna. Fa perciò costruire Cinecittà e promuove la produzione cinematografica italiana. Arturo, appassionatissimo di cinema, è segretario provinciale del Guf (Gruppi Universitari Fascisti) e diventa anche responsabile del CineGuf sassarese, la sezione cinematografica del Guf, proprio da Arturo pensata e fondata. Intanto, per conto del PNF, frequenta corsi presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e conosce cineasti e attori che poi diventeranno famosi. Mentre a Sassari monta, da autodidatta, un proiettore 35mm ed organizza una sala con vere proiezioni cinematografiche, sia per il Partito sia per lucro. Anni universitari pieni di eventi artistici e culturali e con le prime sperimentazioni di regia. Vedendolo sempre pieno di risorse, un gerarca locale gli dirà – Arturo, tu non morirai mai di fame!

Ma poi arriva la guerra, la fine di tulle le illusioni e di tutti i sogni. La fine del Guf e della Gil (Gioventù Italiana del Littorio). La Sardegna partecipa alla guerra, ma fortunatamente per i sardi non vi passerà un fronte. Si muore comunque. La notte di San Pasquale del 43 avviene il doloroso bombardamento di Alghero con oltre 100 morti. Il giorno dopo Arturo prende il treno da Sassari e vaga tra i vicoli del centro storico. Scatta foto in bianco e nero che rimarranno uniche testimonianze dell’accaduto. Poi, guardando tra le macerie, si accorge che ci sono dei morti di cui nessuno si cura. Smette di fotografare, per rispetto, e torna tristemente a Sassari.

foto di scattate da Arturo All’indomani del bombardamento di Alghero

Fame e miseria e due guerre in corso: quella contro i nemici ex amici e quella tra italiani che la pensano diversamente. Un incubo che sembra non finire mai. Arturo “vende” la cassa con le pellicole delle sue produzioni cinematografiche ad un ufficiale americano in cambio di cioccolata e di qualche pacchetto di sigarette. Ma Arturo è di carattere tenace. E’ un attento osservatore, è ingegnoso e con la mente sveglia. Fa esperimenti di elettronica e scopre anche il modo di rigenerare le valvole bruciate delle radio. Quando gliene portano una non funzionante, lui la rigenera e poi la rivende per nuova. Gioca anche con i raggi di luce (il futuro laser) e con i fasci di elettroni in un capo magnetico (il futuro tubo catodico della televisione). Ma sono tempi difficili e le sue scoperte si fermeranno sul nascere.

Sardegna, anni 60. Arturo (con l’inseparabile Rolleiflex) ed il fratello Ettore, scultore in Brasile.

Poi finalmente la guerra finisce e nulla è più come prima. E’ così che Arturo  pensa sia giunto il momento di cambiare vita e di cercare fortuna lontano dalla Sardegna. Nel 47 va a vedere come stanno le cose a Rio de Janeiro. E’ quello il posto giusto. Vi si trasferisce con la moglie Grazietta e con la figlia appena nata, Mariella. Vi rimarranno 15 anni. E’ un periodo intensissimo dove Arturo prende contatto con la Manzon Film e inizia a produrre corti con taglio da cinegiornale (i cortometraggi che si proiettavano nelle sale durante gli intervalli tra un film e l’altro). Gira scene in lungo e in largo per il Brasile. Documenta la nascita di Brasilia (1956), città di fondazione. Si diverte a dirigere la flotta militare brasiliana per un corto promozionale commissionatogli dalla Marina. Filma le operazioni politiche di propaganda come la distruzione delle luride favelas per costruire case stabili e decenti (ma le favelas sono li ancora oggi).

Conosce grandi personaggi del mondo del cinema e non solo. Doris Duranti, Edith Piaf, Brigitte Bardot, Alberto Rabagliati, Rita Hayworth, Orson Welles, Glenn Ford, Clark Gable, Ramon Novarro, Manuel Fangio, tanto per citarne alcuni.

Vive in un clima internazionale. Parla perfettamente il portoghese e diventa un carioca a tutti gli effetti. Tra un corto e l’altro si tuffa nell’oceano per fare pesca subacquea o va a caccia di giaguari nelle foreste intorno a Rio. Oltre a lui, altri della famiglia decidono di vivere in brasile, come il fratello Ettore che continua a fare lo scultore.

Ma sono 15 anni che passano in un lampo. Forse la nostalgia, male molto italiano, e forse anche il fatto che i cinegiornali non sono più di moda (la Manzon Film è in difficoltà e la televisione crea nuovi linguaggi audiovisivi), Arturo decide di tornare definitivamente in Sardegna.

E’ il 1962, quando il transatlantico con sopra la famiglia Usai, lascia la baia di Rio e si dirige verso il Mediterraneo. E, in Sardegna, Arturo decide di vivere ad Alghero. Vi rimarrà 50 anni.

Ad Alghero Arturo apre uno studio dentistico (nella salita di via Sassari), ma non dimentica le sue passioni: il cinema, la fotografia (anche subacquea), la radio, la musica,…

Ed accade che la nascente Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo gli commissiona un lavoro promozionale in 16 mm. Nasce così Saluti da Alghero, un corto straordinario che rimane un documento di quegli anni. Gira anche Bogamarì, dedicato al riccio di mare ed alla sua pesca nel mare di Alghero. Poi scrive racconti, parla alla radio (una radio che ha smontato da un aereo militare inglese in tempo di guerra) con i suoi amici brasiliani e si tiene al passo con le nuove diavolerie tecniche in fatto di cinema. Il passaggio dalla pellicola al nastro magnetico e da questo al digitale.

Fotogramma tratto dal cortometraggio “bogamarì”

Anche da anziano ha mille curiosità. Compone ed esegue brani musicali. Si ingegna con cannocchiali potenti per vedere le stelle. Si costruisce una stazione metereologica per sapere se c’è libeccio o maestrale. E racconta la sua vita in almeno una tesi di laurea ed in un breve film su di lui.

Una vita piena e vissuta fino a 95 anni.

Ma finiamo questa storia di Arturo con un brano tratto da una raccolta di suoi racconti inediti:

Dove siete?

Madre, padre, fratelli di sangue mio, dove siete? Mi aiuti lo Spirito di Dio a sopportare la muia infinita angoscia, , nel ricordo della vostra scomparsa da questo mondo e dai miei occhi. Gente mia che non è più, ormai aliena dal consorzio umano, precipitata negli abissi del tempo. Voci spente nel silenzio eterno. Ma dove siete, anime mie? Di fronte ai corpi morti nelle loro sepolture cerco invano le loro anime. Le cerco perché non posso credere all’annichilimento dell’essere.

Miracolosamente li vedo solo nei fantasmi onirici dei miei sogni. Allora l’anima si inonda di gioia, di tenerezza, di amore infinito. Forse è il subcosciente che vi chiama, e voi venite al mio richiamo. Cero è una illusione, ma non potrebbe essere una realtà in un’altra dimensione? Quanti misteri!

Gente mia, venite a trovarmi anche così. Anche così mi sentirò più sereno e più vicino a voi. Tempus fugit. Il mio tempo terreno si sta consumando, poi verrà l’aldilà. E se questo sarà vero, come dicono i profeti, ritornerò con la mia Gente. Sic et semper, Arcturus Secundus.

Purtroppo i suoi film giovanili sono finiti da qualche parte negli USA, ed altri lavori sono stati persi. Ma quello che rimane delle opere di Arturo ha grande valore. Mentre lui riposa a Sassari, sotto una bellissima scultura in marmo fatta dal padre Antonio.

Roberto Barbieri

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