Reading musicale, poesie di Rodolfo Joan wilcock e di Maria Carta

Letture nel giardino sul porto

Dalle poesie di Rodolfo Joan Wilcock (La parola morte, Einaudi, 1968) a quelle di Maria Carta (Canto rituale). Da poesie che descrivono il cammino verso il nulla di una Umanità disperata, a liriche, con tanto di nome e cognome, che raccontano i drammi ed i paesaggi umani della Sardegna profonda. Poesia dura la prima, nel gioco infinito di un universo dominato dall’entropia, ed altrettanto dura la seconda, dove governano le rigide leggi pastorali, gli amori e gli omicidi, gli antichi ed i nuovi feudalesimi, la fierezza femminile e la freddezza dei banditi e degli abigeatari.

Rodolfo Joan Wilcock, argentino di nascita, è stato amico di Adolfo Bioj Casares (autore tra l’altro de L’invenzione di Morel) ed amico ed anche un po’ allievo del grande Jorge Luis Borges. Sono loro, tutti e tre argentini, che inventeranno un genere letterario tra il fantastico ed il surreale.

Negli anni 50 arriva a Roma e pubblica molte opere (poesie, romanzi, racconti,…) sia in lingua spagnola che in italiano. Nelle 30 poesie che compongono il libro La parola morte, ironizza con questo vocabolo dal significato sinistro con versi scontrosi e provocatori. La morte, quella vera, lo ripagherà portandoselo via a 58 anni il 16 marzo 1978, proprio il giorno del sequestro Moro, e nessuno, in Italia, se ne accorse. La stessa cittadinanza italiana gli verrà conferita nel 1979, ad un anno dalla morte.

E’ assai famosa Maria Carta, di cui rimane vivissima la memoria in Sardegna e non solo, ma è poco noto il bellissimo libro di poesie che ha scritto. Un solo libro denso di Sardegna, racconti-poesia o poesie raccontate, che dipingono personaggi e gesti come quadri ad olio o come bronzetti nuragici. Un solo libro in cui si intrecciano le vicende di un centinaio di nomi e cognomi, quasi antologia di Spoon River ambientata nel Supramonte. Racconti della madre e del figlio ucciso, dell’assassino e dell’assassinato, del bandito e del sequestrato, del pastore e del gregge rubato. Un turbinio di sentimenti forti, di vendette e perdoni, di violenze e di maledizioni, scosse dal vento che da Monte Oddeu cala furioso verso il baratro di Gorroppu.

Non a caso Giuseppe Dessi, dopo aver descritto la bellezza di una Maria Carta quarantenne, ed averne elogiato la forza indomita della sua voce calda e potente, così scrive: dopo aver conosciuto Maria Carta, ancora una volta affermo che i soli grandi uomini della Sardegna sono state donne.

Nella cornice del giardino sul porto, hanno letto le poesie Isabella Di Maio e Daniela Montisci.

Alessandro Quartu ha creato una suggestiva atmosfera suonando il flauto, lo scacciapensieri e le launeddas.

Carmelo Murgia ha curato l’allestimento tecnico.

Roberto Barbieri

Galleria fotografica di Giusy Di Maio Moretto

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