Amelie ed Oki turisti per caso

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Amelie Posse

Nell’estate del 1916 i coniugi Brázda concludono il loro soggiorno forzato ad Alghero, durato circa un anno, e lasciano per sempre la Sardegna. Amelie Posse Brázdová e suo marito Oki Brázda, sono davvero due “turisti per caso”, almeno per quanto riguarda questo loro viaggio al Alghero di un secolo fa.

Ma ecco, brevemente, la loro storia ad Alghero.

Svedese, figlia di un’importante famiglia dell’alta borghesia, Amelie è indecisa se diventare pittrice, pianista o magari scrittrice. Nel frattempo, salottiera e snob, ma anche assetata di cultura e dalle vedute aperte, si trasferisce dove tutti i nordici aristocratici sognano di andare: a Roma. E’ il 1911, Amelie ha 27 anni e già un matrimonio alle spalle. Sempre indecisa su cosa fare della sua vita, tra un salotto e l’altro, conosce Oki Brázda, un pittore boemo poco più giovane di lei. La loro residenza è presso la prestigiosa villa Strohl-Fern, non lontano da Piazza del Popolo. Nel maggio del 1915 si sposano in Campidoglio, e pertanto Amelie Posse diventa “Brázdová”.

Ma proprio in quell’anno ed in quei giorni, l’Italia si avvia alla grande guerra e quindi tutti i sudditi dell’impero austro-ungarico residenti in Italia, quale era Oki, diventano nemici della nazione.

Devono pertanto allontanarsi dalla capitale per un confino forzato e andare in Sardegna. Consigliati anche da Grazia Deledda, amica di Amelie, i due optano per una zona di mare: Alghero. Insieme a loro arriveranno ad Alghero per l’internamento anche un loro amico ceco, Chytyl, ed alcuni giovani preti polacchi.

E’ ovviamente un internamento dorato, ben diverso dalla terribile sorte toccata agli oltre 30 mila prigionieri di guerra austriaci, ungarici,… finiti, proprio nello stesso periodo di “vacanza” della Brázdová, negli inumani campi dell’Asinara. Ne moriranno di stenti, colera e tifo circa 8 mila ed i loro scheletri ancora biancheggiano nell’ossario dell’isola.

Comunque sia, i due sposini novelli arrivano ad Alghero e prendono in affitto una casa in via Cavour, lato bastioni, con una bella terrazza sul mare. Le fotografie fatte da loro consentono di identificare questa panoramica terrazza che si affaccia sugli attuali Bastioni Marco Polo. Ancora oggi la vista da sul vecchio ospedale marino (allora nuovo), e su Capo Caccia.

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Alghero

Alquanto snob, i coniugi legano poco con gli algheresi, ma organizzano cene con altri internati amici loro, partecipano ad escursioni turistiche nei paesi dell’interno, e soprattutto si procurano un piccolo gozzo a vela latina con cui gironzolano per il golfo.

Oki è un bravo pittore e dipinge. Farà quadri a richiesta, compreso anche il ritratto al vescovo e ne verrà ricompensato con prosciutti e formaggi. Amelie si gode la vita e non sa ancora che finirà per diventare una scrittrice. Per ora scrive solo qualche lettera per mantenere i suoi collegamenti internazionali. E’ in realtà assai impegnata a tenere a bada le domestiche algheresi che prestano servizio nella casa e che sono una peggio dell’altra.

E’ un’Alghero lontana nel tempo, decadente e fatiscente nelle persone e nei palazzi. Bambini urlanti ovunque, nessuna igiene, topi e sporcizia, insieme ad un’eredità “spagnola” bigotta e pettegola. Ma ci sono anche i colori mediterranei e tutta la bellezza del mare.

Poi, oltre un anno dopo, ottengono finalmente la libertà e lasciano per sempre Alghero e la Sardegna.

Nessuno perciò ne avrebbe più sentito parlare, ma si dà il caso che Amelie si decise finalmente a diventare una scrittrice e, dopo 15 anni dal soggiorno algherese, scrisse il suo primo libro dedicato proprio a quel soggiorno. Lo pubblica in Svezia nel 1931 e poi a Londra nel 1932, tradotto dallo svedese con il titolo: Sardinian sideshow. Ma anche così si sarebbero perse le tracce di quell’esperienza, tranne forse per i cultori della scrittrice, se non fosse che il libro venne infine tradotto in italiano e pubblicato con il titolo Interludio in Sardegna, in tempi ormai recenti. Siamo nel 1998.

Alghero ne esce malissimo, anche se la nordica Amelie verrà affascinata, e non poteva essere altrimenti, dal mare , dal sole e dalle spiagge incantate. Scrive:

   Per evitare ulteriori delusioni decidemmo di smetterla di aggrapparci a improbabili speranze di libertà. Il sole ed il mare erano deliziosi, il posto era bello e la vita algherese bizzarra e pittoresca; sicché decidemmo di accontentarci di quanto avevamo. Ovviamente c’erano tante cose non certo piacevoli. La vita nei piccoli centri di provincia, dove gli unici passatempi sono scandali ed intrighi, è spesso tutt’altro che piacevole: ma qui era cento volte peggio. Era come se la continua contaminazione razziale, la percentuale straordinariamente alta di storpi e di degeneri, insieme alla prosopopea ed all’indolenza spagnole, aleggiassero nell’aria come un miasma.

L’aristocratica Amelie si deve accontentare delle due stanzette in via Cavour e deve sopportare la sporcizia, la miseria, il rischio di contrarre la malaria, i pidocchi e le pulci. Su queste ultime, le pulci, c’è un’interessante disgressione sulle tecniche di difesa messe in atto dalla coppia. Queste tecniche consistevano nell’inserire i piedi dei letti e del tavolo in grandi catini pieni d’acqua, per poi svestirsi sul tavolo stesso e appendere gli abiti al soffitto prima di coricarsi.

Degli algheresi descritti non se ne salva uno, ad eccezione di un certo Amore Giovinetti, bel ragazzo di buona famiglia, l’unico colto e ben vestito di tutta Alghero, anche se decisamente un pò troppo damerino. Gli altri sono i soliti “personaggi” che in fondo sono una costante, anche oggi, della città. E poi ci sono i caratteristici commercianti e venditori ambulanti. Così li descrive Amelie:

   A distanza di tempo sono ancora in grado di ricordare i toni striduli e nasali della ragazza che girava con un cesto di verdure sulla testa strillando la sua mercanzia “prendevos las pumatas, duas lievras u’saus”, o li basso profondo del simpatico vecchio che intonava “caala-maa-retti vivi vivi”. Il riparatore di ombrelli suonava una poetica pastorale con una zampogna di canna, mentre l’impagliatore di sedie tamburellava su una scatola di stagno. La donna che vendeva zampe di rana e germogli di palma fritti agitava una campanella. L’uomo che andava di casa in casa a sterminare cimici e scarafaggi suonava il flauto. Il sabato arrivava da Sassari uno strano figuro che vendeva trippa e frattaglie cotte… Gli scugnizzi facevano a gara a chi gridava più forte o lottavano nei canali di scolo che correvano al centro della strada… Non c’erano medici e nemmeno dentisti, ma solo un farmacista-chirurgo… e l’unica prostituta della città era strabica e sordomuta…

Da stranieri il loro pensiero è anche per gli altri internati, ad Alghero e a Sassari, e mantengono corrispondenza segreta con il movimento indipendentista ceco. Amelie viene anche a sapere della difficile situazione dei prigionieri portati dai porti slavi all’Asinara. Oltretutto  la mortale epidemia di colera e tifo si diffonde dall’Asinara anche verso Alghero. Amelie scrive una pagina terribile:

   In un’estremità dell’isola erano stati isolati, sotto le cure di coraggiosi frati francescani, 800 casi di lebbra. Morivano come mosche all’Asinara. Durante i primi mesi centinaia di cadaveri, a volte anche sei o settecento al giorno, venivano ricoperti di calce viva e caricati su barconi della morte appesantiti con pietre. Quando raggiungevano il largo, a distanza di sicurezza dall’isola, venivano silurati ed affondati mentre a bordo della nave da guerra un prete celebrava la messa ed a terra le campane rintoccavano a morto.

Ma se la città, in quegli anni certamente difficili,  ne esce male, la coppia rimane incantata dallo straordinario fascino del mare. Sono davvero belle le descrizioni che Amelie fa delle loro veleggiate con la barca. In una di queste descrive una solitaria spiaggia bianchissima (Maria Pia), dove però trovano uno scheletro forse di una persona assassinata. In un’altra pagina, racconta di una lunga navigazione per andare più in là di ogni altra volta, verso lontane montagne azzurre oltre il golfo di Alghero ad occidente. Raggiungono così una spiaggia bellissima con il mare color smeraldo. Si tratta della spiaggia del Lazzaretto, già allora con le rovine della dismessa da stazione di quarantena per le navi.

E’ una descrizione viva e solare, che compensa il peso della vacanza forzata, i morsi famelici delle pulci, il rischio delle malattie, le ruberie delle domestiche o il puzzo dei vicoli di quell’Alghero del 1916.

Roberto Barbieri

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