Txu Terrat

TXU TERRAT
(Ciù Terrat)

di Nino Monti

Uno dei personaggi più pittoreschi di Alghero, vissuto tra la la fine del ’800 e del primo  decennio del ‘900, è stato sicuramente Salvatore Pasquale Corbia, meglio noto come Ciù Terrat. Capita spesso, per chi ha goduto di grande popolarità nell’ambito della propria città, che il suo nome passi in secondo ordine rispetto al nomignolo che spontaneamente gli è stato attribuito dalla sua comunità; sono stati, di norma,  aspetti della sua personalità, non privi spesso di originalità, che hanno finito inevitabilmente per far  prevalere il “secondo nome”  su quello registrato all’anagrafe.

Rara immagine di txu Terrat

E’ il caso di Salvatore Pasquale Corbia,  illustre sconosciuto col nome di famiglia, ma molto conosciuto viceversa come ciù Terrat.Di Ciù Terrat ne ha tracciato una breve biografia Michele Chessa nei suoi Racconti algheresi:

Ciù Terrat, Salvatore Corbia, nacque il 27 dicembre del 1827, e morì a ottantadue anni il 27 gennaio del 1909. Era un contadino buono, onesto e grande lavoratore. Da vecchio diventò cieco, ma in città tutti lo aiutavano con grande calore umano; devo ricordare ancora una volta, che a quei tempo non esistevano forme previdenziali per gli anziani, e per molti la vecchiaia, che già di per se è fonte di tristezza, era davvero dura e difficile. Io ero ancora bambino quando lui era ancora vivente; lo ricordo vagamente quando andava a sedersi in un paracarro presso la casa Salaris dove ora c’è il negozio di Perella (Piazza Porta Terra). Ciù Terrat portava in testa il famoso berretto Terrat del costume algherese; fu l’ultimo algherese a portarlo, e per questo motivo lo chiamarono ciù Terrat. Durante le soste negli angoli delle strade recitava le sue rime; le componeva per ogni avvenimento che si verificava in città.

Michele Chessa ne ricorda alcune composte in occasione del naufragio della nave tedesca Hohenzolern  avvenuto nel 1908 davanti al porto di Alghero. 

Lu vapor, lu vapor

era vanint, era vanint de la Germania

anagat ses ara prana

no es pugut, no es pugut mes iscì .

                   La Saldegna, la Saldegna es pe vanì

                   a ma toz lus vaporinos.

Lu duegnu, lu duegnu del Calvino

anaglià,  anaglià ses  ancagliat.

Memorabile rimase  per il “batturagliumini” cittadino, pettegolezzo molto in voga in città, l’episodio riguardante un fidanzamento nato male e finito peggio tra due concittadini,  Giovanni Antonio e Chiara; episodio che  ha naturalmente stimolato la verve di improvvisatore di ciù Terrat che grazie a Michele Chessa (secondo volume dei Racconti Algheresi) possiamo proporre ai lettori di Storie di Alghero.

Ses dasfet lu matrimoni

Ascultau la fé com va,

de la beffa che es astara

diu la donna angiunugliara.

Para, iò non vul mes.

Diumal si l’as antes

si achesc voltz pe marit?

 

        No sagnor, sempra le dit

        tonima l’anel che es mia

        ses dasfet lu matrimoni a rinz de Santa Maria.

 

Ara i raspon lu curat

seu vanguz també a l’igresia

a la presenza de Deu

allargant achesc cor meu

diumal si las antes

si achesc vol pe marit?

 

        No sagnor, sempra le dit

         tonima l’anel che es mi.

        S’es dasfet lu matrimoni, a rinz de Santa Maria.   

Chi ha conosciuto Michele Chessa, grande difensore della cultura popolare di Alghero, ha avuto modo di apprezzare anche il suo temperamento polemico quando ricordava la memoria di ciù Terrat, temperamento polemico che naturalmente non poteva mancare nei suoi Racconti Algheresi.

I soliti meteci del Comune si sono…. dimenticati di dare il nome del poeta almeno ad una strada, fosse anche una di quelle dei nuovi quartieri guasti nati con la speculazione edilizia.

Sarà stata l’invettiva di Michele Chessa o la sensibilità di qualche attento consigliere comunale, sta di fatto che nel 1981  Alghero ha dedicato una via a Ciù Terrat, anzi a Txu Terrat, come scritto nella targa.

Come da abitudine ad Alghero, e non solo, ormai quasi tutte le vie sono indicate con le targhe di metallo studiate per il traffico stradale, mentre sono quasi sparite le targhe applicate sui muri che, oltre al nome, riportavano  in estrema sintesi le ragioni che avevano portato alla dedica. Se vogliamo era anche un modo intelligente per perpetuare la memoria soprattutto dei personaggi “minori” come Ciù Terrat.

Chi scrive ha assistito,  in una pizzeria, a una telefonata grottesca tra una ragazza che non riusciva a capire la via dove consegnare le pizze ordinate e, dall’altro capo del filo, un’altra ragazza che faceva lo spelling: t… x… u…

Naturalmente nessuna delle due aveva la minima idea chi fosse il personaggio. Probabilmente una targa murata con l’indicazione “poeta popolare algherese” avrebbe potuto evitare il tragicomico spelling e,  a Ciù Terrat lo status di Carneade di manzoniana memoria.

Ma sulla questione delle targhe  Storie di Alghero avrà  modo di riprendere il discorso.

Ma torniamo a Ciù Terrat; la sua popolarità era tale che a lui dedicarono una bella canzone Rafael Catardi e Angelino Ceravola.

 Vengut se n’és Nadal! Enguany també,

segut com só sol sol a la foguera,

se’n venen a trobar-me, bonament,

persones mortes de tant anys endrera.

És entrat xu Terrat ; he entés la veu

vibrar giniosa de galanteria :

– Dèu vos dongui salut i providència !

Vós bella duenya, flor de povidia !-

I l’han segut a mig de l’aposento

calenta de l’olor del papassino;

i al sò de les poesies que emprovisava

lo cap li tremolava de continu.

Me record que segut al sou genoll

plorava, txitu, llàgrimes així :

estrenyiment de cor, estrenyiment,

anhel d’una rondalla sense fi.

Se n’ anava: la front al cel llevada,

del toc del sou bastó prenia confiança,

content com una pasqua i de cada ala

arregalat de càriga i de pansa.

Llimòsina? No, mai! Que si qualqui ù

fossi atrivit una paraula mala

llampar se fóra vist del gran desdeny

la llum de la sua front ja despagada.

Ascolti, xu Terrat! Si és ver que ont séu

se coneix de aquest mon la veritat,

i veu clar que la ploma mia la mou

un sentiment de amor i de pietat,

oh, quan repicarà la mia trist’hora

i dur serà l’afany del gran viatge,

deixi-me de vostè seure a la vora,

deixi-me de vostè prendre coratge.

Deixi-me entendre encara la rondalla,

després reprengueré lo meu camì;

escomençava aixì : “Pica la palla…”

i me creieva no tenia mai fi!

Paraules de Rafael Catardi, musica de Angel Ceravola

Purtroppo della produzione di Ciù Terrat si è perso quasi tutto: rimane il detto “ ses cegu coma ciù Terrat” rivolto genericamente a persone distratte o comunque incapaci di vedere le cose più evidenti.

Detto evidentemente sconosciuto alle ragazze delle pizze.

 Storie di Alghero  continuerà comunque la ricerca, con la speranza  che anche qualche lettore possa venirci in aiuto.

P.S. un doveroso ringraziamento a Giovanna Tilocca per la collaborazione resa nella realizzazione di questo articolo.

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