Fertilia e il Museo della Memoria

Il ricordo delle tragedie della storia non è mai facile. E diventa, a volte, il più importante scopo di vita per chi quelle tragedie ha vissuto. Ovvero ricordare, per mantenere e trasmettere quella memoria, con la speranza che l’uomo impari, capisca, rifletta, e non torni a ripetere le tragedie e le sofferenze del passato. Un messaggio per le nuove generazioni.

Ci sono però ferite che non si rimarginano mai. Che non possono rimarginarsi. Ma il dolore può essere alleviato quando una comunità, o un intero popolo, tutti insieme, si fanno carico delle memorie e delle sofferenze dei singoli.

Finalmente, ma dopo troppo tempo, il muro del silenzio che ha occultato le vicende degli Esuli Giuliani, si sta sbriciolando. Un muro non di cemento, come quello che divideva le due Berlino, ma un muro di negazionismo e silenzio. Un muro che ha diviso per decenni italiani da italiani. Esuli italiani, nati nell’Italia istriana, friulana e dalmata, costretti, per salvare le proprie vite, a lasciare tutto, case, averi, lavoro… e cercare asilo in altre terre italiane, perdendo per sempre le proprie radici.

Ma per varie ragioni, politiche e di convenienza, furono accolti con sufficienza, ed emarginati per lungo tempo. E, cosa peggiore, gli fu censurata la memoria, l’unico bene, l’unico valore, che avevano portato con sé lasciando per sempre le terre natie. Decenni di memoria negata.

Memoria Negata è il giusto titolo del libro scritto da Marisa Brugna, nata ad Orsera, e poi faticosamente arrivata, con altri Esuli, in terra di Fertilia. Un libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto i giovani.

Egea è il Museo della Memoria, creato di recente a Fertilia da Mauro Manca, con l’aiuto di Marisa Brugna e di tanti altri collaboratori. È un Museo che tutti dovrebbero visitare. Per conoscere, per capire, per riflettere. E tutti dovrebbero, se possono, sostenerlo.

Alla fine del secondo catastrofico conflitto mondiale, dalle macerie e dalle fosse comuni, nacquero nuovi equilibri geopolitici. In tutto il mondo, le terre occupate dagli eserciti dell’Asse, tornarono ai rispettivi Stati di appartenenza o divennero indipendenti.

In certi casi si crearono o si ricucirono nuove identità nazionali. Come per gli Ebrei sopravvissuti all’inferno del genocidio che trovarono, dal 1948, una nuova patria pronta e felice di accoglierli.

Ma nell’area balcanica e nell’Adriatico orientale (terre di confine già dai tempi di Diocleziano) le vicende furono particolarmente difficili e complesse.

Il Maresciallo Tito, nel costruire la sua Jugoslavia socialista, si mosse con estrema determinazione, impadronendosi delle terre costiere che erano italiane dagli anni ’20 del secolo scorso ed italiane per lingua e cultura, tentando di annettersi anche Trieste e attuando una feroce persecuzione sugli italiani che non volevano slavizzarsi.

Dal settembre 1943 in poi, la situazione divenne sempre più difficile. I sopravvissuti all’eliminazione fisica dovettero fuggire, a decine di migliaia. Alcuni andarono all’estero, ma i più si spostarono verso il Piemonte o altre regioni italiane, smistati in oltre 100 campi di raccolta profughi. Trovarono però ad accoglierli solo una mezza patria. Cacciati da Tito perché “fascisti”, vennero accolti con diffidenza dai fratelli italiani perché ritenuti “fascisti”.

Ci sono voluti oltre 60 anni, dall’autunno del 1943, per arrivare all’istituzione, il 10 febbraio 2004, del Giorno della Memoria. E dopo tanti anni, riemergono a fatica, come gli scheletri recuperati dalle foibe, le vicende storiche. Atto dovuto, almeno per restituire agli Esuli la dignità perduta. Ed ai sommessi e reticenti racconti degli anziani, si sta lentamente sovrapponendo la verità storica.

In questi ultimi anni, spezzata la cortina del silenzio, sono stati scritti numerosi libri su queste vicende. Interessante, tra l’altro, ciò che scrive Bruno Vespa in Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, 2004, in cui citano anche importanti considerazioni di G. Andreotti.

Il giorno della Memoria si riferisce al 10 febbraio 1947, quando, alla fine della Conferenza di Pace  di Parigi, l’Italia perde l’Istria, la Venezia Giulia e la Dalmazia, mentre il territorio di Trieste viene diviso provvisoriamente in due regioni. Inizia da quel momento l’esodo di centinaia di migliaia di Italiani. Ma per capire quel 10 febbraio bisogna tornare a sei mesi prima, al 10 agosto 1946, quando Alcide De Gasperi legge il suo discorso, a Parigi, davanti agli Stati vincitori del secondo conflitto mondiale.

L’Italia, dopo le disastrose “decisioni irrevocabili” del 10 giugno 1940, perde la guerra e, come logica conseguenza, perde l’Etiopia, l’Eritrea, la Libia, l’Abissinia, il Dodecaneso, l’Albania. Ma vengono messi in discussione anche in confini con la Jugoslavia e con l’Austria. Una situazione difficile. In quel momento solo due uomini, in Italia, avrebbero potuto fare qualcosa per le terre del confine orientale: Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti. Ma, per motivi diversi, nessuno dei due ci provò. E anche Pietro Nenni, in quel momento Ministro degli Esteri, fece nulla.

Quella che segue è una possibile interpretazione di come andarono le cose.

De Gasperi era trentino, nato in un paesino a metà strada tra Bolzano e Trento quando queste terre appartenevano all’Impero Austro-Ungarico. Passeranno all’Italia solo nel 1919, senza un referendum confermativo, e questo De Gasperi lo sa. E sa anche, mentre parla da Presidente del Consiglio alle severe nazioni vincitrici, in quell’agosto del ‘46 a Parigi, di rischiare tutto, anche il suo Trentino Alto Adige. Ha di fronte 21 nazioni, tra cui alcune che l’Italia ha attaccato militarmente e con durezza: la Grecia, la Francia, la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, l’Etiopia, l’Egitto e la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Tutte nazioni disposte a concedere ben poco all’Italia sconfitta. A complicare le cose, l’Austria, non Stato vincitore, ma che passa comunque per nazione che ha “subìto” il nazismo, rivendica esplicitamente il sud Tirolo-Alto Adige. E’ il momento più difficile per una Repubblica nata da appena due mesi. De Gasperi è solo contro tutti e sa bene che l’Italia non può permettersi di non accettare le decisioni dei vincitori, qualsiasi siano e a qualsiasi costo, perché ci sono in ballo i miliardi di dollari americani per la ricostruzione (il gigantesco Piano Marshall).

Dall’altra parte, Stalin e Tito (ancora per poco amici) vogliono spostare il confine orientale il più ad ovest possibile, ed arrivare a togliere all’Italia persino Trieste e Gorizia. L’idea di Stalin e quella di cacciare verso ovest almeno 600 mila italiani e sovietizzare parte delle terre che l’Italia aveva tolto all’Impero Asburgico a conclusione del primo conflitto mondiale.

A Parigi De Gasperi poteva proporre un plebiscito per l’Istria e per le altre aree assegnate all’Italia dal 1920, con il Trattato di Rapallo. Essendo terre a maggioranza italiana, il voto le avrebbe assegnate con quasi certezza all’Italia, nel rispetto del diritto internazionale e del principio di autodeterminazione.

Ma, con lo stesso criterio, in un plebiscito per il Trentino, la maggioranza tedesca del sud Tirolo avrebbe votato per l’Austria. Cosa inaccettabile per De Gasperi. Per salvare l’Istria si sarebbe probabilmente perso l’Alto Adige.

E poi Togliatti. In quell’estate del ’46 non era al governo e seguì solo dietro le quinte la Conferenza di Parigi. Ma, come potentissimo segretario del PCI italiano, avrebbe potuto concordare con Stalin e Tito, con cui era in ottimi rapporti, un ragionevole compromesso sul fronte orientale.

Aveva l’autorità e il prestigio per farlo, ma non lo fece. Anzi scelse la comoda soluzione di bollare come “fascisti” gli italiani che non volevano slavizzarsi e che quindi non volevano essere “veri comunisti”. Non mise in pericolo la sua amicizia con Stalin e con Tito, non fece vacillare il suo credo comunista e dormì sonni tranquilli. Ci guadagnò anche una bella città di 700 mila abitanti sul fiume Volga, che porta il suo nome. Insomma, accusare gli Esuli di “fascismo” faceva comodo a tutti.

Dopo quel 10 febbraio, dovettero passare quasi altri 9 anni, fino al 1954, per il ritorno definitivo di Trieste all’Italia. Mentre Gorizia resterà per sempre spaccata a metà.

Ecco, insieme alle foibe e alle violenze, la Storia negata e cancellata. Istriani, Giuliani e Dalmati che pagarono la salvezza del Trentino da una parte e l’immagine internazionale del PCI dall’altra. Italiani costretti ad abbandonare tutto e ad essere esuli in Patria. Italiani che, con un ultimo atto di ingiustizia, pagarono con i loro beni pure i danni di guerra alla Jugoslavia.

La follia della Seconda Guerra Mondiale è stata pagata con indicibili sofferenze da parte delle popolazioni civili dell’Europa e del Pacifico. Una tragedia mai vista prima nella storia umana. Oltre ai soldati, decine di milioni di civili inermi sono morti in una guerra senza senso. Anche la popolazione civile italiana ha pagato un prezzo altissimo: i bombardamenti, le rappresaglie tedesche, le violenze fratricide, le donne violentate dalle truppe marocchine… ma, è giunto il momento di scriverlo: gli Esuli dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia hanno pagato ancora di più. Non solo le foibe e la perdita dei luoghi dove erano nati e cresciuti, ma anche la perdita della loro dignità di Italiani.

Oggi è tempo che queste vicende vengano ricordate con onestà e verità. La memoria deve essere restituita. Gli Esuli Giuliani hanno saputo ricominciare, ricostruire e andare avanti. Si sono con fatica guadagnati la libertà dai CRP, hanno lavorato, hanno vissuto nelle loro nuove case sparse per l’Italia e per il Mondo e sono spesso riusciti a ricreare legami di comunità. Hanno saputo essere da esempio a chi, senza nulla sapere della loro storia, o in malafede, li guardava con sospetto e malcelato disprezzo.

La nascita, a Fertilia, del Museo della Memoria, il Museo Egea, è un fatto di grande importanza. E’ un bellissimo esempio di come la ricerca delle proprie radici aiuti a rafforzare una comunità, a trasmettere ai giovani il messaggio dei padri, per imparare tutti insieme a costruire il futuro e ad essere migliori. I padri e i protagonisti delle vicende storiche purtroppo scompaiono, ma restano le memorie, le loro testimonianze e i loro insegnamenti.

E’ per questo che la comunità di Fertilia, ed il suo Museo, rappresentano, nei simboli e nei contenuti umani e culturali, un grande esempio per tutti, per tutta l’Italia.

Per la città di Alghero e per l’intera Sardegna, la presenza di Fertilia e della sua comunità deve essere motivo di vanto e di orgoglio.

Il Mediterraneo è ancora oggi attorniato da conflitti, è un triste crocevia di nuovi esuli, di profughi disperati, di un’umanità spaventata a cui è stato tolto il passato e a cui viene negato il futuro. E Fertilia, con la sua sofferta storia multietnica, con la sua bella architettura metafisica, e con il suo Museo del Ricordo, è un luogo che a pieno titolo può lanciare al Mondo un grande messaggio di pace, di tolleranza e di inclusione.

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