La rivolta popolare di Alghero, in un documento inedito del 1945

La rivolta popolare di Alghero , in un documento inedito del 1945
di Antonio Budruni

La fine della seconda guerra mondiale seguì di pochi mesi il terribile bombardamento aereo del 17 maggio 1943.
Il giorno di San Pasquale, rimasto impresso nella memoria di chi visse quel terribile momento, rappresentò la fine di una narrazione falsa della situazione bellica, veicolata dall’unico quotidiano locale in edicola, L’Isola.
Gli algheresi si resero conto in quel momento che le magnifiche sorti e progressive dell’Italia fascista erano solo frottole. Compresero, allora, che la sconfitta era solo questione di poco tempo e che la miseria, che attanagliava un’intera popolazione, avrebbe funestato il futuro prossimo della città e del Paese. Dopo l’8 settembre, gli angloamericani sbarcarono anche da noi e gli algheresi videro nei volti di quei ragazzoni alti, robusti e ben nutriti, in divisa Yankee o di Sua Maestà Britannica, la loro possibile salvezza.
Nei primissimi giorni del 1944, in città apparvero scritte murali nelle quali si esprimeva la miseria, e la speranza di superarla:
Americani, dateci pane, pane e pasta!”. Oppure: “Siamo all’ultimo buco della cintola”. E, ancora: “Vi è un nemico che si avvicina: La fame”.
Nei mesi successivi, la situazione non muta e la rabbia non si placa. La prefettura invia al governo provvisorio di Badoglio, ospitato nella città liberata di Salerno a partire dall’11 febbraio del 1944, una serie di segnalazioni sulla condizione reale della popolazione algherese e sulle manifestazioni di piazza organizzate prevalentemente dalle donne.
La drammaticità della condizione della popolazione emerge dalle relazioni prefettizie, nelle quali si dice esplicitamente che la maggior parte della popolazione soffriva la fame: “trovando ben scarso ripiego in erbe selvatiche normalmente consumate senza condimento”. Il riferimento al consumo del cuore della palma nana (margalló), che nella lunga storia della città aveva salvato migliaia di persone dalla morte per fame, lo si può leggere tra le righe.
Le prime manifestazioni popolari contro la fame si registrano a marzo e proseguono, tra alti e bassi, per tutta la primavera.
Il 13 giugno, 200 donne si recano in corteo al Comune e alla caserma dei carabinieri, protestando per la mancata distribuzione di pasta, patate e grassi alimentari. Il commissario prefettizio, Felice Liperi, dispone in quella occasione la distribuzione di patate alla popolazione.
Il giorno successivo, circa 300 donne manifestano di fronte al pastificio Enrico. Bloccate dai carabinieri, modificano il percorso e si recano presso la sede della polizia alleata chiedendo una bandiera inglese per portarla in corteo insieme a quella italiana.
L’anno successivo, anche in città si insedia una nuova amministrazione comunale, con il sindaco Fausto Cella eletto nelle lista “Campanile”.
All’inizio dell’estate, la disperazione popolare era giunta al suo acme. Un migliaio di persone si raduna in piazza Civica per protestare, con veemenza e rabbia, contro l’amministrazione comunale.
Nella relazione inviata al governo, il prefetto scrive:
“I dimostranti, appartenenti ai vari partiti politici, erano capeggiati da elementi turbolenti e da alcuni patrioti di recente rientrati dal continente”. Il riferimento ai partigiani algheresi, che avevano combattuto nella guerra di liberazione nel nord Italia, è fin troppo evidente.
Secondo la relazione prefettizia, i motivi del malumore erano tanti: sfiducia nell’operato della nuova amministrazione e del Comitato comunale di Liberazione, accusati di disinteresse e negligenza soprattutto nei confronti dei due mulini cittadini (quello di Enrico e quello di Carboni) sospettati di produrre farina alterata e immangiabile ed anche perché non si vietava l’esportazione del pescato algherese e degli ortaggi locali. Inoltre, la protesta riguardava anche la mancata distribuzione di indumenti donati dagli americani per la popolazione cittadina.
Questo grumo di motivazioni e la regia di alcuni esponenti politici e dei partigiani rientrati in città, spinse all’azione una massa imponente di disperati.
La documentazione conservata all’Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, rende nota la piattaforma rivendicativa dei rivoltosi:
• l’immediata rimozione delle donne impiegate presso uffici pubblici e nella gestione dei banchi di vendita del mercato;
• l’assunzione di disoccupati nelle aziende agricole locali e nelle poche industrie in attività;
• il licenziamento degli ex fascisti dai loro impieghi pubblici.
Di fronte alla dura protesta, il sindaco Cella si dimette ed il palazzo Civico viene chiuso.
Contemporaneamente, altri manifestanti si muovono verso altri obiettivi.
Ma, a questo, punto, è bene chiamare in causa il nostro documento inedito, inviato dall’amministratore della Sella & Mosca, Italo Borgioli, ai due titolari dell’azienda vitivinicola algherese, che sin da dal 1937 avevano lasciato la città per rientrare in “continente”.
La lettera, datata Alghero 28 giugno 1945, è indirizzata agli egregi signori Erminio Sella e Edgardo Mosca, a Biella.
Leggiamola:
«Purtroppo il tono della presente contrasta fortemente con quelle delle mie precedenti, rimaste tutte senza alcun cenno di riscontro. Noi ci siamo trovati nella situazione di quel navigante che avendo intrapreso un lungo viaggio in mari pericolosi, ha sempre avuto una buona navigazione e si è illuso che questa fortuna lo accompagnasse sino al porto di destino, quando improvvisamente è scoppiato un fortunale che ha messo a dura prova la sua nave che però, fortunatamente, è escita (sic) quasi incolume dalla bufera.
Martedì scorso, per un banale incidente sorto nel mercato, la popolazione ha preso d’assalto il Comune, e ne ha cacciato il sindaco, Giunta, Impiegati, etc. Indi la folla, fattasi sempre più grossa e tumultuosa, è corsa all’assalto del molino Enrico ove ha trovato semola, pasta bianca, riso etc, L’avv. Enrico, salvato dal furore della folla dai Carabinieri, è stato senz’altro tradotto alle carceri di Sassari. Dal molino Enrico a quello di Carboni vi sono pochi passi e così la folla si è riversata anche su questo il proprietario del quale (Carboni Lorenzo) era riuscito a fuggire ed è tuttora uccel di bosco. Sfogato il suo rancore sui due mulini che pare vendessero a mercato nero pasta e farina e che in ogni caso distribuivano per il tesseramento della popolazione farina e pasta immangiabile, il buon algherese ha incominciato a farsi questa domanda: ed il prezzo del vino a L. 70 al minuto non è troppo esagerato? Quindi proposta lanciata da alcuni di invadere S. Giovanni e la casa del sottoscritto al quale unicamente – ragiona il popolo – si deve imputare, essendo assenti i titolari, l’alto prezzo del vino.
Per fortuna dell’azienda e mia è prevalso il buon senso della popolazione algherese e nulla è avvenuto; solo siamo stati invitati a ridurre il prezzo del vino il che ho fatto subito portandolo da Lire 70 a Lire 60 il litro per vino di gradi 12. Agli operai dei Piani il prezzo è stato ridotto da Lire 60 a Lire 50 il litro.
Bisogna che premetta che tutto il subbuglio è stato determinato dal fatto che per la distruzione quasi totale dei raccolti (siccità e cavallette) si è venuta a creare una disoccupazione generale della masse, tanto più tragica se si pensa che il costo della vita è elevatissimo, che incominciano a rientrare combattenti , partigiani etc. i quali reclamano lavoro ed immediata sistemazione.
Ieri la massa dei disoccupati si è riversata ai nostri uffici ed io, passato il primo momento di confusione, ho potuto ottenere la calma e che la massa dei disoccupati delegasse una Commissione di pochi elementi equilibrati che venisse a discutere con me sulle possibilità di contributo da parte della nostra Azienda in pro dei disoccupati. Abboccatomi in seguito con detta Commissione – i disoccupati sono circa 500 – siamo venuti all’accordo che la nostra Azienda avrebbe immediatamente impiegato 50 disoccupati ai lavori dei vigneti (zappatura, raschiatura etc.) ai prezzi correnti che oscillano sulle Lire 160 = la giornata. La massa dei lavoratori è rimasta molto contenta dell’operato della nostra Azienda ed ora fa pressioni presso gli altri proprietari perché l’esempio nostra (sic) sia seguito ed in pochi giorni la totalità dei disoccupati venga sistemata. Ora pare che ci si avvii verso la calma ed io girando per parlare, persuadere e calmare, non trovo più le faccie (sic) inferocite dei giorni scorsi. Da martedì non ho più riposato e trovo persino fatica a compilare la presente che affido al Prof. Perucca non ancora partito da Sassari per Torino, il quale mi ha promesso di farla in qualsiasi modo recapitare a Loro.
Sempre per mantenere in buona vista la Ditta che da tutto questo caos ne è uscita menomamente intaccata, ho altresì messo a disposizione dell’Amministrazione Comunale, le cui finanze sono ridotte a zero, la somma di Lire 50.000 come sottoscrizione fondi per lavori straordinari in pro congedati, disoccupati etc.».
Lo stesso episodio è ricostruiti dalla prefettura, nella relazione inviata al Ministero dell’Interno.
Dopo l’assalto al Municipio, la cacciata del sindaco e la chiusura del palazzo Civico, altri manifestanti assaltarono il mulino dell’avvocato Giovanni Enrico, prelevando campioni di farina da far analizzare e sottraendo: “oltre 151 Kg di semola pura, 73 Kg di pasta bianca e 30 Kg di zucchero” che erano stati nascosti dall’Enrico. Il quale fu sottratto dai carabinieri alla folla inferocita che intendeva linciarlo. La merce prelevata dai manifestanti fu depositata presso la caserma dei carabinieri.
I rivoltosi assaltarono anche il mulino di Lorenzo Carboni che, presentendo il rischio, si era allontanato dalla città per raggiungere Sassari.
Il giorno successivo, la folla, che già aveva ottenuto risultati “politici” importanti, si radunò al mercato civico chiedendo che il calmiere dei prezzi dei beni di prima necessità fosse ridotto del 50%. Mentre il commissario prefettizio Liperi era in riunione con i rappresentati del Comitato di Liberazione per nominare la nuova amministrazione, la folla si riversò in piazza Civica rivendicando l’approvazione di due ordini del giorno, uno dei quali chiedeva che fosse immediatamente nominato sindaco l’agricoltore R. Salaris. Nella relazione conservata all’Archivio Centrale dello Stato si evidenzia come i membri del Comitato di Liberazione cittadino fossero: “pubblicamente vilipesi dalla massa dei dimostranti sia perché non rappresentanti la maggioranza del popolo e sia per avere ricoperto in regime fascista cariche politiche e gradi della milizia”. Il Comitato, di fronte alla folla inferocita rassegnò le dimissioni, senza accogliere la richiesta dei manifestanti di nominare il Salaris sindaco della città.
La situazione restava sempre molto tesa. Arrivò in città, insieme ai rinforzi della forza pubblica, anche l’avvocato Michele Saba, del Comitato di Liberazione provinciale, che invitò tutti alla calma. Le autorità di P.S. denunciarono all’Autorità Giudiziaria 26 persone per adunata sediziosa, violenza privata ed interruzione di pubblico ufficio. Intanto, l’avvocato Enrico fu posto in libertà provvisorio e ciò non contribuì, ovviamente, a rasserenare gli animi.
Il 25 luglio oltre 300 disoccupati inscenarono l’ennesima manifestazione di protesta sollecitando l’avvio di lavori pubblici ed il ribasso dei prezzi dei generi di prima necessità.
È nella consapevolezza del clima infuocato che si registrava in città in quei giorni che va inserita la chiusura della lettera di Italo Borgioli ai suoi datori di lavoro.
«Come vedono – scriveva l’amministratore della Sella & Mosca lasciato a reggere le sorti della ditta ad Alghero – sono riuscito ad allontanare dalla Loro Azienda danni ed odio; ripeto che l’Azienda è sempre e molto ben vista e raccoglie oggi il meritato frutto di aver sempre venduto a prezzi di calmiere di aver fatto sempre le cose da galantuomini; la proposta lanciata da qualche irresponsabile di invadere S. Giovanni è stata contrastata dagli stessi operai che sono sempre animati da benevolenza e gratitudine verso di Loro e verso la Loro Azienda.
Però francamente, il peso che ho sulle mie deboli spalle, incomincia a diventare gravoso; dal 1937 non ho preso un giorno di riposo e quindi prego vivamente, anche in vista di tempi peggiori, che uno di Loro venga assolutamente giù a prendersi le redini della barca che sino ad ora non ha fatto acqua; ma che potrebbe trovarsi improvvisamente, come capitò in questi giorni, in acque molto procellose.
Vi sono mezzi della R. Marina che fanno spola da Maddalena a Genova e viceversa; credo che se il Sig. Avv. Mosca od il Sig. Cesare Sella studiassero a Genova la cosa, la potrebbero risolvere facilmente ed in poco più di una giornata essere a Maddalena. Insomma io sono ansioso di averLi al più presto qui; poiché potrei trovarmi improvvisamente di fronte a gravi responsabilità che io non mi sentirei di assumere e che potrebbero mettere l’Azienda in serie difficoltà.
In attesa di Loro notizie porgo i miei più devoti ossequi.
Italo Borgioli».
Bibliografia:
Mariarosa Cardia, Le lotte contadine per la riforma agraria nel comprensorio di Alghero (1944-50, in, “Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo. Storia di una città e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX secolo), Sassari 1994.
Ringrazio l’amico Nino Monti per avermi messo a disposizione la lettera di Italo Borgioli, che contribuisce a chiarire un episodio della storia cittadina che ancora necessita di studi e approfondimenti, ma che già consente di comprendere la grave situazione economica, politica e sociale che caratterizzò Alghero nell’immediato dopoguerra.
Infine, constato come spesso, nella storia della nostra città, sia difficile – e il caso di Borgioli è emblematico da questo punto di vista – non solo delineare la figura di concittadini (o cittadini acquisiti) che meriterebbero di essere ricordarti per il ruolo svolto e le opere compiute nell’interesse collettivo, ma diventa persino impossibile, come nel caso di Italo Borgioli, corredare un articolo con la foto di questo uomo che, dopo una vita intera di lavoro in questa terra, nella quale è stato anche sepolto, lascia solo labili tracce del suo passaggio. In linea con il suo carattere: schivo, defilato, modesto. Insomma: un grande uomo.

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