Il drammatico naufragio del “S. Silverio” nel mare di Terranova

Una testimonianza diretta di una lontana tragedia.

Il San Silverio, perdutosi in mare con dieci pescatori.

L’algherese Giovanni Masu ha oggi 96 anni. Lo incontriamo all’Associazione Marinai di Alghero. Ha un aspetto giovanile e uno sguardo profondo. Indossa un giubbotto rosso vivo ed un cappello blu scuro come fosse uscito da un ritratto di Van Gogh. Ed ha tutto l’aspetto di un uomo di mare. Ma Giovanni non è un uomo di mare e non è mai stato pescatore o marinaio. E c’è un preciso motivo.

Aveva sette anni, nel lontano novembre del 1928, quando rimase orfano del padre e di due zii, fratelli del padre. Tre pescatori morti, insieme ad altri sette, nel mare di Tavolara. Ed è per questo che la mamma non volle che lui, ed i suoi tre fratelli maschi, diventassero pescatori.

Quella del San Silverio, così si chiamava il peschereccio, è una delle tante tragedie dimenticate del mare.

San Silverio è un santo poco noto ai non marinai, ma è il patrono di Ponza. Ed i ponzesi, da sempre frequentatori della costa orientale della Sardegna, ne hanno portato il nome. La barca era armata a Terranova (l’odierna Olbia). Dell’equipaggio, tre erano locali, uno di Porto Torres e ben sei di Alghero. E probabilmente gli algheresi si imbarcavano su barche olbiesi, nel periodo invernale, proprio perché la pesca sulla costa occidentale dell’isola era considerata pericolosa per via del libeccio e del maestrale. Ma anche il mare al largo di Tavolara è infido, ed in quell’anno 1928 era ancora vivo il ricordo dell’affondamento del TRIPOLI, avvenuto in quelle acque solo dieci anni prima.

La sera di quel 27 novembre il tempo è in peggioramento. Non sappiamo cosa hanno pensato il capitano ed il capopesca. Forse l’intenzione era di non andare lontano, di calare le reti e rientrare dopo qualche ora. Otto di loro (tranne due ragazzi di 17 e 21 anni) sono sposati ed hanno, tra tutti, trenta figli da sfamare.

Sappiamo solo che, quella sera, il San Silverio uscì dal porto con sopra dieci vite e non se ne seppe più nulla.

Oggi Giovanni ci racconta i suoi lucidi ricordi di bambino di sette anni, e ci mostra l’articolo che uscì sul quotidiano sardo L’ISOLA, ad una settimana dalla tragedia. Quella pagina di giornale, quell’articolo, scritto con l’enfasi di regime e con un linguaggio giornalistico di altri tempi, Giovanni se l’è portato dietro tutta la vita. Ed è giusto che sia quell’articolo (trascritto integralmente) ad accompagnare il suo racconto.

Roberto Barbieri

Intervista a Giovanni Masu

Trascrizione dell’articolo “L’isola” 1928

Dell’annunziata scomparsa del motopeschereccio “S. Silverio” nessuna nuova che riesca per un istante a squarciare il fitto velo che pesa sulla sua sorte. Oltre trenta orfani, otto vedove ne piangono la perdita.

A Terra nova non si parla d’altro. I nomi dei componenti il valoroso equipaggio sono in tutte le bocche. Degli scomparsi si ricordano aneddoti, delle loro famiglie le misere condizioni. Il generoso cuore del paese non nasconde la sua angoscia, s’impietosisce ad ogni nuova supposizione che si accavalla ad ogni altre mille già create dalle esperienze di vecchi marinai o puramente tessute  dalla fantasia popolare che ama il sensazionale.

Ogni poche ore è una nuova probabilità che corre di bocca in bocca, un’ultima notizia, la vera che annulla le altre. Sono stati ritrovati i cadaveri sulla spiaggia di Marinella. E’ stato visto il legno sbattere sulle coste di Tavolara. L’equipaggio è certamente perito. Si dice che il legno sia al sicuro in qualche angolo della costa.

Intanto, mentre gli uomini esperti pubblicamente  espongono la loro opinione e la fantasia popolare ricama in mille strani modi sulla sorte dei poveri naufraghi passano i giorni… ne sono passati otto, ed essi non tornano. E il mare è ritornato tranquillo e solamente esso che sa il segreto non parla.

Ed è cosi, come molti marinai anziani credono. Il  “S. Silverio” è colato a picco. E’ doloroso dirlo, ma dopo otto giorni, dopo che le regie torpediniere hanno solcato in lungo e in largo il mare dei dintorni ove il “S. Silverio” era solito pescare, senza nulla rinvenire, è mai possibile nutrire buone speranze?

Il terribile fortunale ha sopraffatto il piccolo e vecchio legno. Trasportato in alto mare, il “S. Silverio” si è inabissato dopo impari lotta contro i perfidi elementi. Il suo eroico equipaggio, quasi tutto formato da padri di numerosi figli e da pochi giovani, a cui molto poco ha sorriso la vita, giacciono in fondo al mare, immensa bara azzurra, senza corone.

Essi godono di già il sonno dei giusti negli abissi inaccessi del mare neniati dalla voce eterna delle acque e dall’incantevole canto delle sirene. Sono andati a raggiungere i morti del “Tripoli”, anch’essi vittime di un santo dovere. E il loro sacrificio non sarà certo l’ultimo.

Nel nostro piccolo golfo, dal giorno del disastro tartane e barche, vele e vapori, senza sostare hanno rivolto un breve saluto ai caduti e hanno traversato lo stesso mare. Ma lo traverseranno ancora , ora e sempre.

Piangono le vedove i loro sposi. E piangendo stringono al collo i loro orfani per spingerli su altre vie del lavoro. Non vi riusciranno. Quei piccoli sono figli del mare. Al mare ritorneranno per vivervi fino all’ultimo giorno di loro vita. Forse per custodire la tomba dei loro padri, forse per immolarsi essi stessi nell’ampia distesa. Tavolara da millenni assiste imperterrita e muta a questo terribile gioco.

Esaltando ancora una volta i caduti del “S. Silverio” che raggiungono l’innumere schiera di eroi che in tutti i campi  s’immolano per la lotta cotidiana nel lavoro, ne pubblichiamo l’elenco.

Sia di conforto alle famiglie colpite la simpatia senza limiti della popolazione terranovese  e l’interessamento delle diverse autorità  per la loro condizione miseranda. Un gruppo di benefattori è già all’opera.

I caduti sono: 1. capitano Pieroni Giuseppe, di anni 31, nato a Terranova, lascia la vedova e tre figli; 2. Macchinista Deiana Giuseppe, di anni 47, pure di Terranova, lascia la vedova e sei figli; 3. Capo-pesca Gulmanelli Sallustio, di anni 42, nativo d’Alghero, lascia la vedova con nove figli di cui otto femminette; 4. Fuochista Deiana Salvato di Giuseppe (naufragato), di anni 21 nativo di Terranova; 5. Fuochista Masu Angelo di Giovanni, celibe, d’anni 17 nativo di Alghero; 6. Marinaio Masu Luigi di Giovanni, d’anni 29, nativo di Alghero, lascia la vedova e due figli; 7. Marinaio Masu Francesco di Giovanni, d’anni 34, nativo di Alghero, lasci la vedova e sette figli; 8. Marinaio Cherchi Girolamo, d’anni 33, nativo d’Alghero, lascia la vedova un figlio; 9. Marinaio Del Rio Giuseppe, d’anni 33, nativo d’Alghero, lascia la vedova; 10. Marinaio Sciarrone Ciro, d’anni 28, nativo di Porto Torres, lascia la vedova e due figli.

Particolare pietoso: Il macchinista Deiana, superstite di un recente naufragio nella costa corsa (il naufragio del “Moselle”) si era imbarcato nel “S. Silverio” da pochi giorni. Il figlio Salvatore fuochista, congedatosi dalla R. Marina pochi giorni or sono, il giorno del disastroso viaggio si era nascosto in casa di parenti, ove il babbo andò a scovarlo, non volendosi imbarcare quasi presagisse la sua immatura fine.

Il “S. Silverio” era un motopeschereccio del sig. Sotgiu Antonio di Tempio cedutogli da poche settimane dalla Ditta Piro.

Mentre chiudiamo, invochiamo le autorità competenti perché l’Assicurazione infortuni provveda quanto prima. I primi aiuti intanto saranno forniti dalla popolazione.

exvoto di un naufragio
Condividi sui social