Il marinaio di Minorca

Il marinaio di Minorca

Una storia di mare, di aragoste e di pescatori algheresi

La storia della marineria, ad Alghero, è stata del tutto particolare. Molto probabilmente i genovesi, che fondarono Alghero su uno scoglio flagellato dal libeccio e dal maestrale, pensarono soprattutto ad un sito difendibile sia dal mare che da terra ed in buona posizione logistica per le loro rotte commerciali. Erano una importante repubblica marinara e con gli stessi criteri fondarono Castelsardo, in Sardegna, ed i loro avamposti nel Mediterraneo e nel Mar Nero, come Pera (presso Istanbul) o come Caffa, in Crimea.

Ma altre potenze navali si contendevano il Mediterraneo e le battaglie sul mare erano all’ordine del giorno. Negli arsenali i maestri d’ascia lavoravano febbrilmente per costruire più galee da guerra che navi mercantili, proprio come ai tempi delle guerre puniche. E così le flotte di Venezia, Pisa, Genova e del re d’Aragona si scannavano sul mare in sanguinose battaglie simili agli scontri terrestri. Nel 1353, Genova esce sconfitta dalla battaglia navale di Porto Conte e dovrà rinunciare ad Alghero, e poi anche agli altri possedimenti in terra sarda. Non possiamo sapere come si sarebbe sviluppata la marineria algherese se fossero rimasti i genovesi, ma sappiamo che per i tre secoli e mezzo di dominazione catalano-aragonese e poi spagnola, Alghero era una fortezza sul mare asservita alle logiche militari degli avamposti. Non doveva avere un porto protetto, ma solo una insicura banchina d’approdo. La stessa piccola darsena, forse presente dove ora sorge l’ex chiesa Santa Chiara e ricordata dall’attuale piazzetta del Molo, venne interrata e chiusa perché considerata poco difendibile.

Naturalmente la marineria c’era, ma come attestano gli antichi documenti, era sostanzialmente dedicata alle riparazioni dei velieri in transito ed a produrre le gallette (biscotto) per gli equipaggi. Le agevolazioni fiscali di cui godeva Alghero, vi accentrarono pesca e commercio del corallo rosso. Poi però, con l’allontanamento degli ebrei (1492), il commercio e la stessa pesca del corallo finì per arricchire i catalani e i provenzali e solo le briciole rimanevano ad Alghero. Mentre la piccola pesca costiera e di laguna era più un’attività di sussistenza che una vera professione.

Sotto i Savoia le cose iniziano a cambiare. La cittadina si apre lentamente al mondo e riprendono gli scambi ed i commerci con la Liguria e soprattutto con dei nuovi ed esperti marinai: i napoletani. Arrivano nel Settecento per la pesca del corallo e poi, per tutto l’Ottocento, anche per altri tipi di pesca. Si portano dietro tanti saperi marinareschi e l’arte della costruzione delle barche in legno da pesca, soprattutto il gozzo a vela latina. E c’è chi si trasferisce definitivamente ad Alghero. Moltissimi cognomi locali sono di origine campana e lo sono tutti i maestri d’ascia che hanno operato in città fino a tempi recentissimi.

Ma, persa la pesca del corallo, la marineria e la pesca locale rimanevano attività povere, quasi di sussistenza. I pescatori locali erano sempre l’uno contro l’altro in una guerra senza vincitori, e la loro economia era legata ad una scarsa richiesta di mercato del prodotti e al difficile clima del mare occidentale sardo.

Poi, proprio come in un racconto di Conrad, accade qualcosa. Un “uomo delle isole” arriva dal mare. E’ giovane, alto e biondo. Si diceva che era un bell’uomo, veniva dal mare, parlava un’altra lingua però sapeva amare,…così scriveva Lucio Dalla. La descrizione è perfetta per Gabriel Arguinbau, un minorchino di Ciutadella che approda ad Alghero negli ultimissimi anni dell’Ottocento. Ha poco più di vent’anni, di buona famiglia e già esperto marinaio. Probabilmente (un po’ come nella canzone), si era inguaiato con qualche bella minorchina ed allora il padre gli aveva comprato un veliero consigliandoli di cambiare aria. Giunge per caso ad Alghero, spinto dal maestrale, e si rende subito conto che qui c’è una ricchezza del mare per nulla sfruttata: l’aragosta. Con mentalità da imprenditore ed aiutato dalle conoscenze nautiche, ma anche dal saper parlare tutte le lingue del Mediterraneo occidentale, Gabriel riesce a fare qualcosa di incredibile. Convince i pescatori locali, per definizione solitari ed individualisti, a collaborare tra loro e addirittura ad allontanarsi dalle loro case di Alghero per l’intera stagione di pesca. A gruppi andranno a vivere in capanne di fortuna a Porto Ferro (Mont Girat), all’Argentiera, a Capo Frasca, nel Sinis (Pelós), a Mal di Ventre ed anche più lontano (La Galite in Tunisia) per pescare l’aragosta con le nasse di ciunco ed olivastro. Ogni giorno, dopo la pesca, i crostacei venivano messi in appositi grandi vivai di giunco (marruffus) ed adagiati su fondi sabbiosi per proteggere il pescato dai polpi. In giorni convenuti, secondo un preciso calendario, arrivava Gabriel, al comando della sua mitica goletta El Balear e ritirava il pescato. Le aragoste finivano nel vivaio di bordo, da lui stesso inventato, o in grandi casse galleggianti sotto i bastioni di Alghero. A carico ultimato, il veliero partiva per vendere le aragoste, ad alto prezzo, nei mercati di Barcellona e di Marsiglia. In quest’ultima città, il nostro Gabriel aveva anche una moglie, Maddalena Benvenuto di origine genovese, che contribuiva alle finanze familiari gestendo un ristorante il cui piatto forte era, manco a dirlo, l’aragosta algherese. Poi, a fine stagione, radunava in piazza del Pou Vell tutti i pescatori e li pagava fino all’ultima lira.

Gabriel Arquimbau immagine dal libro di Rafael Caria

Il capo a pochi anni, Rafael si guadagna sul campo un cistu: l’Espanyol, e diventa una leggenda vivente. E’ un bravo marinaio, un po’ avventuriero, ma soprattutto è un abile commerciante. D’inverno trasporta arance andaluse e d’estate aragoste algheresi. La flotta aumenta, ed al mitico El Balear, si affiancano il Sofia, il Polonia ed il Progresso, tutti affidati a valenti capitani algheresi. Ed è finalmente un riscatto ben meritato per la marineria algherese, che per secoli è stata prigioniera del maestrale, degli alti bastioni ed un porto che non c’era.

El Balear disegno dal frontespizio della rivista de l’alguer 1995

E lui, Gabriel, alto e biondo, come tutte le vere leggende, è finito anche nelle canzoni popolari. Non quella di Lucio Dalla, ovviamente, ma una, famosissima, dedicata al Pescator que se deu de casar (di Miquel Dore con musica di Joan Pais). E non è tutto. Quanto arriva con la sua goletta, traina a rimorchio anche un paio di barchette a vela latina. Sono due leuti minorchini, di antica tradizione balearica. E sono meglio del tradizionale gozzo che veniva costruito nei cantieri navali algheresi. Sono più chigliati, più alti e con la prua più slanciata. In altre parole sono più veloci e sicuri, perfetti per la pesca dell’aragosta anche in acque turbolente. I maestri d’ascia locali (quelli di origine napoletana di cui abbiamo già parlato), non perdono tempo e copiano le nuove imbarcazioni. Hanno fortuna, le mettono in produzione e diventeranno le nuove barche da pesca ad Alghero, Bosa e Porto Torres. Ma bisogna battezzarle in qualche modo, ed in omaggio a Gabriel l’Espanyol, verranno chiamate espanyoletas.

Ed ancora oggi, anche se a fatica, vengono costruite. L’ultima nata è stata Maddalenetta, una dozzina di anni fa. Maestri d’ascia Piero Caria e Vittorio Cacciotto.

Varo di Maddalenetta

Gabriel partecipa alla vita algherese per molti decenni e non pensa solo alle aragoste, ma anche alle belle donne locali. Lascia infatti, sia pure con discrezione, qualche figlio naturale e probabilmente anche qualche cuore infranto.

E molti lo piansero, quando partì per l’ultimo viaggio, nel maggio del 1938, dall’albergo di Giovannina Secondo in piazza del Pou Vell. E dopo la messa nella chiesa dei pescatori (il Rosario), il corpo navigò sul El Balear per Marsiglia, proprio come le “sue” aragoste.

Con l’ultimo viaggio per mare di Gabriel si chiude un’epoca ed una straordinaria epopea di pesca per la marineria algherese. I tempi stanno cambiando in fretta. Neanche due mesi prima (marzo 1938) l’Italia aveva bombardato Barcellona con oltre 1000 morti, e si stanno creando le premesse per l’ultimo conflitto mondiale.

Dopo arriveranno le barche a motore e tante altre cose.

Ma l’aragosta di Alghero, grazie a Gabriel, non verrà dimenticata, ed ancora oggi è apprezzata nei migliori ristoranti di Francia e di Spagna.

C’è ad Alghero chi ha ancora ben vivo il ricordo di questo personaggio da leggenda. E’ Carlo Catardi, che nei suoi libri, scritti con bravura e soprattutto con il cuore, racconta la straordinaria avventura vissuta dalla marineria algherese in quegli anni, e ricorda, lui ragazzino, la figura di aquell dimoni de l’espanyol

Roberto Barbieri

(notizie tratte dagli scritti di Carlo Catardi e di Rafael Caria)

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