Lo forn de xià Valeria

di Tonio Mura Ogno

La sveglia era prima dell’alba e con la pasta lievitata si confezionava lo pa punyat, cinque anche sei pani. Un panno bianchissimo foderava lo canistru, dove veniva depositato il pane. Con un segno della croce si benediceva il lavoro e il cibo, e con un altro panno, candido come la neve, lo si copriva. Si usciva di casa che ancora era buio e mia mamma portava lo canistru al cap, tenuto in equilibrio con una mano. Si raggiungeva quindi il forno a legna, a meno di 50 metri. Oggi, esattamente in quel locale di via Ardoino, a due passi dal Palau Gitat (attualmente rimane solo la piazza), si trova una famosa birreria. La maestria del fornaio era impressionante, e il profumo buono del pane cotto invadeva la via e anche la Plaça de San Miquel, dove ancora erano evidenti i resti del bombardamento del ’43. Dopo qualche ora si andava a ritirare il pane, che doveva durare tutta la settimana, praticamente un pane al giorno, anche di meno. Quando il pane cominciava ad indurire si bagnava nel brodo de la copaza di peix, pescato da mio padre da uno scoglio sotto la Torre di Sulis, oppure si bagnava nel caffelatte a base di Miscela Leone.

Poi de Plaça San Miquel ci spostammo al Carrer de las monjas. Il forno era in via Ospedale e stavolta il fornaio era una fornaia, per noi bambini una gigante: xià Valeria. Io ero un minjò di sette, otto anni, che passava più tempo in strada che a casa, sempre disponibile a fare le commissioni, pèna un angiu de sinta. Di farina mamma non ne impastava più, presa com’era ad accudire mia sorellina e a tutte le altre faccende domestiche. Tonio, vès i compra una coca. Era il pezzo migliore di xià Valeria, la focaccia. Bisognava fare subito, prima che venissero tutte vendute. In strada cercavo altri due o tre amichetti, magari con lo stesso compito ma indaffarati a giocare, e quello che ci accingevamo a fare era un’esperienza indimenticabile, un misto di malizia, fantasia ed erotismo. Xià Valeria era una donna enorme, con una maglietta bianca che a stento conteneva i suoi seni grandi come due angurie. Sudavamo noi, che sulla porta aspettavamo les cocas calentas senza far niente, figuriamoci xià Valeria! La fronte era sempre bagnata, e non solo la fronte. La maglietta era inzuppata di sudore e in trasparenza lasciava intravedere la forma dei capezzoli, liberi dal reggiseno. Una calamita per i nostri occhi, che non sapevano staccarsi da quella visione, anticipatrice di ben altri e più completi desideri adolescenziali.

Ritrovai xià Valeria una ventina di anni dopo, durante il trasporto in Ape 50 di una scrofa in calore di cui se mi viene vi racconterò. Viveva con un pastore nei ruderi del Lazzaretto e appena mi vide mi riconobbe. Era bella xià Valeria, anche avanti negli anni, disinvolta e libera. Era generosa, in tutti i sensi, e a noi bambini ha fatto tanto bene, regalandoci di tanto in tanto un altro pane, aquel que tè la sabor de la vida!

Illustrazione dedicata al racconto “Lo forn de xia Valeria” di Luciana Briganti Rosnati
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