La città di Alghero: lo “spazio compresso” declinato in tre ambiti.

Alghero,la città ed il mare

Il pensiero di Giovanni Oliva

La città di Alghero: lo “spazio compresso” declinato in tre ambiti.

Di Giovanni Oliva.

Alghero, nasce storicamente come insediamento “coloniale” (prima al servizio dei Doria, potente famiglia di mercanti genovesi, poi al servizio del regno catalano-aragonese), emanazione di un potere lontano, si conferma e sviluppa come organismo destinato a svolgere una funzione prettamente di controllo militare del territorio e della costa. La sua collocazione ai margini di un litorale puzzolente del Nord-Ovest Sardegna, S’Alighera appunto, viene scelta evidentemente perché la posizione è ben difendibile (un piccolo promontorio proteso sul mare, circondato per buona parte da scogli e secche, fornito di fonti d’acqua, facilmente fortificabile e capace di fronteggiare un assedio), prima ancora che per la facilità di farci scalo. C’erano infatti ben altri luoghi adatti a questo scopo: Portus Ninpharum, per secoli aveva svolto ottimamente al compito. E ancora per altri secoli continuerà a svolgere questa funzione. La Città di Alghero rimarrà per secoli un approdo piuttosto insicuro, dotato solo di qualche infrastruttura essenziale.
Alghero in effetti non è mai stata “una città di mare” ma, potremmo dire, una “città sul mare”: le sue stesse mura turrite precludevano un rapporto libero e osmotico con la linea di costa. Di fatto al suo modestissimo porto si accedeva da un’unica e controllatissima apertura, la porta a mare. Lo spazio portuale era il primo “spazio compresso”: la riva che si offriva per l’accosto, in corrispondenza della città, era delimitata da alte mura intervallate da torri, che formavano una cortina impenetrabile. Le fortificazioni separavano la città dal suo scalo e la difendevano dallo stesso pericolo che questo poteva rappresentare. Il porto era in effetti uno spazio sensibile. Nella sottile striscia di bagnasciuga che costituiva l’area portuale, in epoca catalano-aragonese vigeva un ordinamento speciale per cui i reati commessi al suo interno o nelle immediate vicinanze erano puniti più severamente. Il porto era solo indirettamente al servizio della popolazione locale, era piuttosto il terminale di un “cordone ombelicale” (come suggerisce T. Budruni) che legava la città coloniale, asservita ad un potere lontano, con i luoghi di quel potere lontano. Dalla “banda de punent” arrivavano molti rifornimenti indispensabili per la vita della piazzaforte.

Plan de la ville de larguies

La città in quanto luogo dell’abitare di una comunità di persone, trama viaria e incasato, era poi anch’essa “spazio compresso” (“lotto intercluso” potremmo dire, introducendo un termine e un aggettivo che poi ritroveremo, come un destino, nella sua storia recente). Lo spazio dell’abitare per secoli è definito una volta per tutte, chiuso dalla rigida cinta delle mura, guscio ed identità stessa dell’organismo (la Città di Alghero dalle sue origini al XIX secolo, ossia fino a quando le sue mura verso terra vennero abbattute, potrebbe essere chiamata “città crostacea”, se questo aggettivo non richiamasse troppo quella pietanza “l’aragosta alla catalana”, prelibatezza e vanto dei suoi ristoranti). Le mura, che vanno col tempo inspessendosi sempre più, per rispondere alle esigenze poste dallo sviluppo delle armi da fuoco utilizzabili contro la piazzaforte, sono per secoli cornice e “imago urbis”, limite invalicabile per lo sviluppo dello spazio abitato, cortina che si andava inspessendo anche per rendere ancora più forte la separazione da tutto il resto dell’entroterra e garantire così la sua impenetrabilità. La città si presentava insomma come un forte coloniale collocato in un territorio nemico o comunque di cui diffidare e sorgeva all’interno di un paesaggio deserto, una campagna in cui era assente la presenza di popolazione insediata, deserta perché programmaticamente spopolata: leggi di polizia impedivano di pernottare fuori dalle mura. Era anche questa una misura per garantire maggior sicurezza e inespugnabilità alla fortezza. Si voleva evitare che le campagne attorno alla città potessero nascondere potenziali assalitori. Si era fatto il vuoto attorno alla città e alla fine (agli inizi del ‘700) si distruggeranno anche i pochi edifici, compresi due complessi conventuali, che sorgevano fuori dalle mura.
La campagna era in effetti il terzo “spazio compresso”. Non era di fatto possibile coltivarla per assecondarne e godere di tutta la sua fertilità relativa. Era consentito coltivare solo una fascia attorno alla città per un raggio di circa due miglia. Si trattava della distanza massima che poteva essere percorsa a piedi da un contadino per andare la mattina nel suo campo per lavorarlo e ritornare a dormire dentro le mura la sera prima del tramonto.

Giovanni Oliva

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