Naufragio a largo di Capo Caccia

naufraghi
Da sinistra: Vittorio, Angelo, Antonio e Pino qualche giorno dopo la scampata tragedia.

Quando si va in mare, pur avendo preso tutte le normali precauzioni, è bene ricordare che l’imponderabile è sempre in agguato.

E’ questo il messaggio che suggerisce la vicenda che ha coinvolto, il 28 settembre 2016,  4 algheresi amanti della pesca sportiva (Angelo Ibba, proprietario della barca, Pino Piras, Antonio Sanna noto Cocchetta e Vittorio Langella); vicenda che poteva finire tragicamente in quanto maturata in meno di due minuti e senza che si fosse manifestato alcun segnale che desse ai quattro amici un minimo di preavviso di quello che stava per succedere.

E’ accaduto invece L’imponderabile: in poco più di 60 secondi si è passati dal momento festoso della tradizionale divisione del pescato a quello terrificante che li ha visti scaraventati  in acqua con la barca che colava a picco.

60 secondi da film del terrore che solo la freddezza, o più verosimilmente l’istinto di sopravvivenza,   ha permesso ai quattro di salvare la pelle.

La giornata era iniziata come tante altre dedicate alla pesca: destinazione un punto della vasta area nota come  Secca delle vedove, a  8  miglia al largo di Capo Caccia conosciuta per la ricca presenza di pizzogne  (occchioni).

Un nome, Secca delle vedove,  che, a vicenda conclusa, getta un’ombra sinistra su tutta la giornata.

Si parte verso le 7 del mattino e dopo poco più di un’ora si è sul punto di pesca.

La barca è un Chris Craft di 8,5 metri (barca americana conosciuta soprattutto per la robustezza), spinto da 2 motori da 150 cv comprati nuovi nel 2013 assieme alle prese a mare e dotato di tutte le attrezzature di sicurezza ( radio, zattera di salvataggio, fuochi, etc.). Naturalmente sono tutti dotati di telefonino.

Raccontano i quattro amici ancora piuttosto provati dalla brutta avventura:

“ La giornata di pesca si era conclusa con piena soddisfazione verso le 16.30 del pomeriggio; eravamo ancora fermi e procedevamo alla sistemazione delle attrezzature utilizzate  e ci apprestavamo alla tradizionale divisione del pescato conservato nell’igloo. Durante questa operazione un’onda ha invaso il pozzetto accompagnata dalla improvviso sbandamento della poppa.

Angelo che ha capito immediatamente il pericolo  è sceso rapidamente nel vano posizionato sotto il pavimento del pozzetto di poppa dove erano alloggiati i motori.

Quanto visto era molto peggio di quanto aveva immaginato: il comparto era pieno d’acqua quasi completamente e il livello aumentava  molto velocemente.

In una frazione di secondo Angelo capisce che non c’è tempo né per chiedere aiuto con la radio e con i telefonini e si precipita nel comparto di poppa dove era sistemata la zattera di salvataggio.

Mentre la barca iniziava a inclinarsi paurosamente, il contenitore della zattera autogonfiabile non voleva saperne di uscire dal suo alloggiamento probabilmente per la pressione esercitata dall’acqua che ormai aveva invaso il pozzetto.

Con la forza della disperazione l’operazione finalmente riesce; Angelo riesce a far partire il meccanismo automatico di auto gonfiamento nel momento in cui la poppa della barca è completamente sommersa mentre  la prua che per qualche secondo assume una posizione verticale.

L’improvvisa impennata della barca fa si che il tettuccio della cabina colpisca in testa, ferendoli, e  per qualche ragione non nota, la zattera rimane ancora agganciata al tettuccio della cabina.

Ad aggravare la situazione una cima (terminale di una grossa matassa) si era aggrovigliata al corpo di Antonio .

 Con la forza della disperazione e con l’adrenalina che in casi del genere centuplica l’energia fisica riusciamo a staccare la zattera dalla barca e liberare Antonio dalla cima tre o quattro secondi prima che la barca si inabissi definitivamente.

Siamo tutti e quattro attaccati alla zattera, siamo salvi.

Sono passati poco più di 60 secondi dal momento in cui Angelo capisce che la barca è condannata all’affondamento e il momento tragico in cui sono tutti in acqua.

Antonio sale per primo sulla zattera e aiuta Vittorio, Pino e Angelo a salire a bordo.

Un fortissimo emozionante  abbraccio unisce i quattro amici consapevoli di aver visto la morte da vicino.

Superati i primi minuti nei quali comprensibilmente ciascuno ha pensato alle mogli, ai figli, alle persone care, a poco a poco si prende coscienza della situazione e razionalmente si dice siamo salvi, qualcuno verrà a cercarci”.

Sono circa le 17 del pomeriggio, i quattro sono su una zattera di salvataggio di 1,5 x 1,5 metri munita di alcune dotazioni di sicurezza; spirava un leggero vento di grecale e il mare presentava un’onda sopportabile.

Tra le dotazioni sono risultate molto utili in particolare: l’ancora galleggiante messa subito in mare per limitare lo scarroccio, due mini remi,  una sassola e un coltellino che si è dimostrato utilissimo per ricavare da due materassini prendi sole (le uniche cose che la barca aveva restituito) che debitamente scuciti  hanno consentito di ricavare  dei teli di fortuna che hanno protetto  i malcapitati dal fresco vento di grecale e dal  freddo della notte che stava per sopraggiungere.

La sassola e la spugna dei materassini è stata utilizzata per togliere l’acqua che talvolta le onde rovesciavano nella zattera.

Erano a 8 miglia oltre Capocaccia, completamente bagnati e vestiti solo con pantaloni, maglietta e una leggera felpa che Pino, Antonio e Vittorio avevano indossato qualche minuto prima della tragedia per difendersi dal leggero vento di grecale che iniziava a farsi sentire; il meno “vestito” era Angelo che per ispezionare il vano motori si era tolto i pantaloni ed era rimasto in maglietta e mutande.

Intanto si stava facendo notte e nessuno dei quattro era rientrato nelle rispettive famiglie: com’è  naturale i primi a capire che c’era qualcosa che non andava sono stati i parenti.

Enrico, figlio di Pino e, Raffaele figlio di Angelo, capiscono subito che è successo qualcosa di molto grave: i telefonini non rispondono alle chiamate, la radio di bordo idem.

Contestualmente all’allarme dato in Capitaneria ( verso le 22.30 di notte), Enrico riesce a sapere che l’ultima telefonata ricevuta da uno dei quattro pescatori è stata fatta intorno alle 14.30 e ha attivato il ripetitore dell’Argentiera  mentre Raffaele,  dopo una rapida verifica dell’attrezzatura  presa dal padre, ha  capito subito che il punto di pesca era La secca delle Vedove.

Le due informazioni coincidevano nell’individuazione del punto di pesca  e di questo ne fu  immediatamente informata la Guardia costiera di Alghero.

Per i quattro amici, sopraggiunta la notte, nell’impossibilità di essere individuati, si è presa coscienza che bisognava aspettare che sorgesse il sole per sperare di essere avvistati dai soccorritori che certamente sarebbero già stati allertati.

Tra qualche battuta per farsi vicendevolmente coraggio e un appisolamento che non durava più di qualche minuto finalmente, accolto con entusiasmo, sorge il sole che scalda gli infreddoliti naufraghi speranzosi di essere avvistati quanto prima.

Finalmente intorno alle 11 del mattino i quattro sentono il rumore di un motore in avvicinamento e dopo pochi secondi  individuano un elicottero dei Vigili del Fuoco; grida di gioia, sventolio di magliette ma  il mezzo passa nelle vicinanze, non dà  segni di averli visti e sparisce.

capo caccia
Capo Caccia

Un autentico dramma che fortunatamente dura una decina di minuti; l’elicottero ritorna e questa volta gira per qualche secondo sopra gli sventurati pescatori. Passa mezz’ora e arriva a tutta velocità la motovedetta della Guardia costiera di Alghero.

La zattera è stata individuata a circa 10 miglia dal punto di pesca nonostante lo scarroccio fosse stato ridotto dall’ancora galleggiante e il mare non avesse, tutto sommato, creato grossi problemi.

In porto li aspettano mogli, figli, parenti e amici. Lunghi abbracci, i tragici momenti del naufragio raccontati decine di volte, commozione tra i presenti e molte lacrime di gioia.

Dopo qualche giorno, ai molti che fanno la stessa domanda “ ritornerete a pescare pizzogne” Pino,Antonio e Vittorio rispondono con un no secco.

Angelo, cui bisogna dare atto di aver mantenuto notevole freddezza nel gestire la vicenda, unitamente agli altri tre che mai sono andati nel panico, risponde con un si deciso.

tornerò a pescare pizzogne con una barca efficiente com’era la mia e con qualche precauzione in più: avere a bordo un sistema d’allarme autonomo visivo e acustico,  telefonini a portata di mano messi in custodie ermetiche, informare prima della partenza il punto di pesca che si intende raggiungere e soprattutto informare gli ospiti su dove sono posizionate le dotazioni di sicurezza.

La falla che si è creata (probabilmente per lo sganciamento di un timone) si pensava fosse impossibile che si verificasse, eppure è successo. Ma chi va in mare sa benissimo che spesso si incontrano tronchi d’albero, pallet e bombole che se centrati a forte velocità possono creare problemi anche gravi”

Il messaggio è chiaro, quando si fa pesca d’altura le precauzioni non sono mai troppe. Quanto è successo ai quattro amici era francamente imprevedibile, eppure è successo.

L’imponderabile è sempre in agguato.

Nino Monti

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