I marinai dimenticati della regia nave Roma

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La corazzata “Roma”

73 anni non sono bastati all’Italia per fare serenamente i conti con uno dei giorni più tristi della sua storia: il 9 settembre 1943. Ancora oggi si cerca di venir meno al dovere del Ricordo, nonostante i tanti libri scritti e le infinite ricostruzioni storiche. Ancora oggi si cerca di far passare la morte di tanti uomini come “un’azione militare imprevista”, o come una fatalità avversa della sorte. Ed è facile, perché di quei marinai morti, più di 1700, non è rimasto nulla se non un nome e qualche foto ingiallita che li ritrae per sempre ventenni. Nei freddi ed incompleti elenchi della burocrazia non ci sono nemmeno tutti e molti di loro non sono nemmeno “morti”, ma risultano ancora “dispersi”, da 73 anni…

Deposto Mussolini il 25 luglio, il piccolo re italiano, prima fantoccio nelle mani del duce e poi fantoccio di se stesso e di un casato decrepito e putrescente, tenta di governare nel pieno di una guerra con i metodi da cicisbei dei suoi predecessori. E affida la nazione a quella vecchia cariatide di Pietro Badoglio, proprio quello che aveva contribuito al disastro di Caporetto. Iniziano trattative di resa con gli anglo-americani degne di una commedia napoletana. Tentennamenti, doppi giochi, finte, ripensamenti e bassezze umane, sintetizzati nella politica del tre passi avanti e due indietro. Poi, finalmente, il giorno 3 settembre si firma la resa senza condizioni e tutte le clausole connesse. Tra le clausole firmate in nome del re, anche quella che contempla la consegna immediata della potente flotta italiana agli ex nemici (evitando così che se ne impossessino i tedeschi). E’ tutto preciso e stabilito nei tempi e nei modi. Ma il re ed il governo fanno, in quei giorni, il contrario di quanto stabilito e firmato. Tengono segreti gli accordi e fingono tutti fino all’ultimo di essere fedeli alla Germania, sia per paura sia per l’incapacità di gestire il difficile momento. Ma non c’è più tempo. C’è una guerra. Deve scattare il previsto sbarco anglo-americano presso Salerno e conseguentemente Eisenhower, il giorno 8 come da accordi, divulga la notizia dell’armistizio. Per il re e per il governo, che pure quell’armistizio hanno firmato, è la confusione più totale. Ed è il momento finale di un disastro annunciato. Tutto si gioca intorno ad un’ora precisa. Verso le 3 di notte del giorno 9 settembre avvengono in contemporanea tre fatti.

1 – Le prime truppe anglo-americane sbarcano sulle spiagge a sud di Salerno ed iniziano a morire (per noi) sotto il fuoco tedesco che li sta aspettando.

2 – La poderosa flotta del Tirreno, forte di 25 navi, lascia la Spezia e Genova con direzione La Maddalena, obbedendo ad un vecchio progetto (e non alle clausole dell’armistizio) che prevedeva la fuga del re in Sardegna. Mancano solo tre ore all’alba e non c’è copertura aerea. Di fatto la flotta viene abbandonata a se stessa.

3 – Re, corte e governo stanno facendo i bagagli per lasciare Roma in auto, lungo la via Tiburtina, e abbandonare la capitale e l’intero esercito al loro destino. Due giorni prima avevano addirittura respinto il piano militare americano di difesa di Roma. E’ anzi probabile che la città capitale sia stata “venduta” ai tedeschi proprio per avere l’immunità nella fuga del reale corteo, (in questo contesto si inserisce anche il viaggio del generale americano Taylor e di un suo colonnello a Roma, il 7 settembre, che a rischio delle loro vite tentarono inutilmente di convincere i generali italiani a difendere la loro capitale. La corvetta Ibis, che li aveva trasportati sulle coste laziali, fu poi spedita, in un goffo tentativo di depistaggio, a Porto Conte).

E fu così che quel giorno il re abbandonò la sua più bella nave, la Regia Nave Roma (e l’intera flotta). Ma anche il ministro della marina non fu da meno. Nell’ansia di scappare per salvare la pelle, abbandonò la flotta sul Tirreno, forse per avere in cambio una traversata tranquilla in Adriatico, con la piccola corvetta Baionetta.

I tedeschi erano pronti da mesi a reagire con azioni pianificate al voltafaccia italiano. Una loro reazione immediata fu l’ordine perentorio di affondare la nave ammiraglia della flotta italiana, la corazzata Roma. In quelle 24 ore finirono a fondo anche le navi Vivaldi e Da Noli. Due giorni prima, la sera del 7, era stato sacrificato anche l’equipaggio del sottomarino Velella (50 uomini), mandato assurdamente a contrastare lo sbarco a Salerno delle 650 navi anglo-americane.

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Corazzata Roma in Fiamme

Da allora giacciono tutti in fondo al mare, forse tra conchiglie e coralli. 1708 marinai nel Golfo dell’Asinara e i 50 del Velella al largo di Salerno.

Sono tutti morti troppo tardi per diventare eroi del Regime e dell’Impero, e sono morti troppo presto per essere eroi della Resistenza e della nuova Italia. Dopo di loro anche dei semplici banditi avranno dedicata qualche via, ma loro no, loro è meglio dimenticarli. Per quei 1708 marinai, nessuna via o piazza, nessun Sacrario. Solo un piccolo Memoriale, a Porto Torres, voluto fortemente da una semplice Associazione di Reduci e familiari. Nemmeno per i corpi, che nei giorni successivi all’affondamento arrivarono sulle coste del Golfo dell’Asinara, ci fu pace. Non venne costruito nessun Sacrario, anzi quei corpi vennero fatti sparire, forse per non turbare l’opinione pubblica di allora.

La stessa corazzata Roma, enorme nave lunga 240 metri e larga 33, sembrò sparire come se fosse affondata di nascosto in pieno oceano Pacifico. Per ben 70 anni si fice finta di non sapere dov’era, dimenticando i migliaia di testimoni oculari che videro l’affondamento e l’enorme colonna di fumo in quel pomeriggio limpido di settembre.

E i tanti sardi? Dimenticati anche loro. Per quello che è noto ad oggi, solo Carloforte ha scritto su un monumento i nomi dei suoi quattro caduti. Circa una quarantina di marinai caduti ancora aspettano dai loro comuni di appartenenza un gesto di rispetto. Ma per dirla con John Wayne in un film – tanto peggio per chi muore…

Di Alghero erano Pasqualino Saiu, secondo capo nocchiere, classe 1912, e Battista Scameroni (nato a Gonnesa ma trasferitosi ad Alghero), torpediniere, 22 anni. Entrambi “dispersi” sulla Nave Roma.

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Pasqualino Saiu

Anche questi algheresi, marinai caduti senza tomba, aspettano da 73 anni che qualcuno si ricordi di loro e del loro sacrificio. Se siamo una nazione libera ed una democrazia, lo dobbiamo anche a loro.

Roberto Barbieri

 

 

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