Un giorno di settembre del ’43, a Porto Conte

  • Un giorno di settembre del ’43, a Porto Conte

di Roberto Barbieri

I giorni della prima metà del settembre 1943 furono, in Italia ed in Sardegna, drammatici e confusi. Siamo nel mezzo di una guerra mondiale assurda e devastante. L’Italia è schiacciata tra la vecchia alleanza con la Germania (e con il suo esercito d’occupazione), e la necessità assoluta di chiudere una resa, possibilmente onorevole, con gli anglo-americani che hanno già conquistato la Sicilia e che bombardano giornalmente le città italiane. Ma gli avvenimenti concitati e contradditori, successivi all’arresto di Mussolini (25 luglio) fino alla firma dell’armistizio (3 settembre) ed oltre, dimostrano che questo cambio di alleanze venne pensato, gestito e condotto senza nessuna serietà, né sul piano politico né su quello militare.
Ne deriveranno grandi tragedie umane, le cui cicatrici permarranno a lungo, anche dopo la fine della guerra.
Una specie di commedia napoletana, diventata però tragedia per molti.
Anche in Sardegna si combatte una guerra anomala. Subito dopo l’annuncio dell’armistizio, i due comandanti delle truppe nell’isola, l’italiano A. Basso ed il tedesco K.H. Lungershausen, si mettono d’accordo. Uno si impegna a non intralciare l’altro, che si impegna a sua volta ad andarsene in Corsica con i suoi soldati senza colpo ferire. In realtà ci saranno dei morti, ma sostanzialmente l’accordo verrà rispettato e la sera del 17 settembre l’ultimo tedesco lascerà la Sardegna.
Ma intanto il mare della Sardegna sarà testimone di molte tragedie e anche di storie dimenticate.

La Corvetta ” IBIS ” nell’arsenale di La Spezia a fine anni ’40 (Foto da web)

La profonda insenatura di Porto Conte sembra fatta apposta per offrire un sicuro riparo a navi di ogni dimensione. E’ sempre stato così nei secoli, quando velieri di amici o nemici arrivavano qui per commerciare con i prodotti del territorio algherese, o magari per cercare di conquistarlo. Insenatura placida e tranquilla, protetta dal grande bastione roccioso di Capo Caccia, protetta dalle passate scorrerie dei pirati dalle torri costiere, e protetta in quei giorni di settembre da decine e decine di postazioni militari.
Nei primi di settembre ’43 i militari delle postazioni costiere scrutavano l’orizzonte temendo uno sbarco degli anglo-americani. Tanti occhi e binocoli dai fortini di cemento erano puntati verso l’orizzonte.
Neanche due mesi prima 4500 navi avevano sbarcato 160.000 uomini in Sicilia. Il risultato fu migliaia di morti e migliaia di feriti di tante nazionalità: italiani, tedeschi, inglesi, statunitensi, canadesi,…
E uno sbarco poteva avvenire anche in Sardegna, magari proprio li, a Porto Conte. Per i soldati in servizio nei fortini costieri sarebbe stata morte sicura. Nessuno sapeva che il giorno 3 era stata firmata la resa italiana.
In effetti la mattina dell’8 settembre una nave arrivò davvero nelle tranquille acque di Porto Conte. Ma nessun problema, era italiana. Era la corvetta Ibis. I soldati dalle postazioni tirarono certamente un sospiro di sollievo. Ma che ci faceva la corvetta Ibis, a Porto Conte? Nessuno poteva saperlo. Probabilmente pensarono, dato che si trattava di un’unità antisommergibile, che stesse dando la caccia a qualche sottomarino inglese. O forse il suo arrivo era da collegarsi con la presenza nella baia dell’idroscalo e degli idrovolanti. E quei soldati non potevano neanche sapere che quel’8 settembre non se lo sarebbero più dimenticato.

La Corvetta ” IBIS ” alla fonda (Foto da web)

L’Ibis era un’unità nuova, entrata in servizio da soli cinque mesi. Lunga 65 metri, aveva un profilo slanciato ed elegante. Pescava solo 2,5 metri e poteva permettersi di ancorare proprio in fondo alla baia.
Solo il giorno prima, il 7 settembre, aveva svolto una missione di grande importanza. Una missione segretissima che avrebbe potuto e dovuto cambiare il corso della storia d’Italia.
Il Ministro della Marina R. De Courten aveva affidato all’ammiraglio Maugeri la missione di accompagnare con la corvetta Ibis, da Gaeta ad Ustica, tredici militari italiani per partecipare in Sicilia ad un vertice militare con gli anglo-americani. Ma soprattutto, ad Ustica, sarebbero dovuti salire a bordo due importanti militari americani per essere portati a Gaeta e poi a Roma. Erano il generale M. Taylor e il colonnello W.T. Gardiner. E dato che nessuno, nemmeno De Courten, sapeva della firma dell’armistizio, i due militari erano ufficialmente “prigionieri”. I due ufficiali andavano a Roma, a rischio delle loro vite e trasportati con un’autoambulanza (il trucco che aveva già funzionato per Mussolini) per organizzare con i vertici italiani la difesa della capitale. Pochi giorni prima, firmando l’armistizio, il generale G. Castellano aveva ottenuto dagli anglo-americani l’invio di una divisione aviotrasportata e di cento mezzi anticarro per difendere Roma. Operazione difficile e rischiosa, da effettuarsi congiuntamente con l’esercito italiano e che necessitava di accurata preparazione. Ma, arrivati a Roma la sera del 7, non trovarono strateghi militari ad aspettarli, ma trovarono solo inganni ed improvvisazione. Parlarono con il gen. Carboni e poi con Badoglio, ma fu chiaro che gli italiani avevano terrore dei tedeschi, non volevano combattere per la loro stessa libertà ed erano pronti a sacrificare (come poi avvenne), la città di Roma ed il loro intero esercito.
Inutile a dirsi, i due americani esterrefatti, annullarono la missione.
E la corvetta Ibis? Sbarcati i due ufficiali a Gaeta, venne inviata a Porto Conte per “depistare” i tedeschi, nella speranza che non si accorgessero di nulla. Un bluff inutile perché i tedeschi sapevano delle trattative in corso ed erano pronti ad agire. Quella stessa sera si preparavano a contrastare lo sbarco anglo-americano a Salerno ed a disarmare l’esercito italiano privo di ordini e direttive.
A Porto Conte però l’8 settembre trascorse tranquillo. A sera ci furono i vari messaggi radio che annunciavano l’armistizio. E i soldati nei fortini costieri sicuramente festeggiarono. Per loro era la fine della guerra. Lo era davvero, perché come già detto, circa 30.000 soldati tedeschi si avviarono subito verso Santa Teresa e Palau per trasferirsi in Corsica, ed i soldati in Sardegna lasciarono fare. Così i tanti fortini di Porto Conte vennero abbandonati. E dalle postazioni sopra Punta Giglio si buttarono in mare le munizioni ed i fari antiaerei. Almeno qui la guerra era finita. E la corvetta Ibis, protagonista di un pezzo della grande storia, rimase solitaria e tranquilla nella placida baia di Porto Conte per almeno una diecina di giorni.

Affondamento della Corazzata ” Roma ” (Foto da Web)

Ma intanto il mare Sardo visse terribili tragedie. Il 9 settembre, nella battaglia aeronavale dell’Asinara, i tedeschi affondarono la Corazzata Roma e le Navi Vivaldi e Da Noli.
La Roma, ammiraglia della flotta del Tirreno, stava andando con altre 23 navi, in un gioco di inganni e di contrordini, verso La Maddalena. Comandante in capo l’ammiraglio C. Bergamini. Ma gli anglo-americani avevano da giorni negato l’autorizzazione alla flotta di recarsi a La Maddalena, e poi l’isola è in mano ai tedeschi. La flotta deve andare da un’altra parte, ma dove? Bergamini non sa nulla delle precise disposizioni d’armistizio che riguardano la flotta (quelle che passeranno alla storia come Promemoria Dick). E’ probabile che volesse portare le navi lontano dalle Bocche di Bonifacio per poi radunarle a Porto Conte, o forse nel golfo di Cagliari, per decidere con più calma e con maggiori informazioni il destino della flotta. Nessuno potrà mai saperlo, Bergamini finirà in fondo al mare con 1700 suoi marinai. Chi poteva aiutarli non c’era.
Non dimentichiamo che proprio mentre affonda la Roma, il re ed il governo stanno correndo verso la costa adriatica pensando solo a salvare la propria pelle.

Ma il mare sardo nasconde altre storie dimenticate. Un mese prima dell’arrivo della corvetta Ibis a Porto Conte, una corvetta gemella, il Gazzella, urta una mina al largo di Castelsardo. Affonda in pochissimi minuti e muoiono circa 100 marinai.

Sommergibile ” Topazio ” (Foto da web)

Poi, il 12 settembre, nove giorni dopo la firma dell’armistizio, il sommergibile Topazio, è in “missione” al largo di Cagliari. Forse nessuno gli ha comunicato che deve andare a Malta a consegnarsi. Un aereo inglese lo vede senza le insegne di resa e lo affonda. Muoiono in 49 compreso un marinaio sardo. E’ l’ottantaseiesimo sommergibile affondato dall’inizio della guerra. Ed è ancora laggiù, in un punto imprecisato del fondo del mare, al largo di Cagliari.

Dopo la metà di settembre la corvetta Ibis, salpò l’ancora e andò via da Porto Conte, silenziosa come era arrivata.

I tanti fortini di cemento, che aspettavano lo sbarco che non avvenne, rimasero vuoti e silenziosi. Rimasero silenziosi con i loro occhi squadrati rivolti verso l’orizzonte.

Poi, a metà degli anni Sessanta, fortunatamente in tempo di pace, le navi arrivarono. Videro entrare a Porto Conte la VI flotta americana, con la portaerei Forrestal in testa. Non era uno sbarco, ma finalmente le navi americane erano arrivate…

Condividi sui social