Sigismondo Arquer, il “Giordano Bruno” sardo

Sigismondo Arquer, il “Giordano Bruno” sardo

di Roberto Barbieri

La Sardegna ed Alghero, nella seconda metà del XV secolo, si avviavano verso un lungo periodo di oscurantismo feudale. Proprio mentre in altri luoghi d’Italia fiorivano le scienze e le arti e la Firenze di Lorenzo de Medici era il cuore pulsante del Rinascimento, in Sardegna la corona d’Aragona aveva definitivamente vinto i genovesi nel possesso dell’Isola e si apprestava anche a cacciare gli ebrei, uccidendo così anche il commercio ed il libero scambio imprenditoriale. Erano tramontati per sempre i tempi delle guerre autonomistiche, i tempi di Eleonora d’Arborea e dei tentativi di sganciarsi dal giogo feudale dei re aragonesi.

Fallito, nel 1412 anche l’estremo tentativo del Visconte di Narbona di conquistare Alghero. Il popolo di Alghero in quell’occasione difende la città e uccide il soldato francese, ma sta in realtà difendendo il proprio oscurantismo, il giogo imposto dai re d’Aragona e sugellato dal potere papale. Un giogo reso ancora più pesante dalla conformazione della città. Alghero è una città-fortezza, una grande prigione militare sul mare.
E così si apre il secolo successivo. Il 1500 è il secolo delle grandi scoperte geografiche, della diffusione della stampa e della cultura, delle idee nuove che avanzano, delle nuove visioni dell’universo con il pensiero copernicano e con il protestantesimo. Ma la Sardegna ed Alghero restano chiuse nel loro giogo feudale. Anzi arrivano tutti gli effetti nefasti della Controriforma, compresi i severi tribunali della Santa Inquisizione.

Un processo della Santa Inquisizione

In questo clima nasce a Cagliari, nel 1530, Sigismondo Arquer. Il padre è avvocato fiscale della Corona, persona benestante e colta. Sigismondo ha capacità e intelligenza non comuni tant’è che, a neanche 18 anni, si laurea a Pisa in Diritto Civile e Canonico ed a Siena in Teologia. Ed è in questo periodo in cui, giovanissimo, frequenta le Università toscane, ed entra in contatto con le nuove e pericolose idee luterane.
Tornato a Cagliari viene nominato funzionario del regno di Sardegna. Un incarico che lo porta anche a Sassari ove diventa amico di don Gaspar Centellas, castellano in Sassari e in Castellaragonese. Nel corso della vita, Sigismondo gli scriverà alcune lettere, ma poiché don Gaspar verrà accusato di eresia e bruciato sul rogo nel 1564, a Valencia, quelle lettere saranno in seguito compromettenti.

Sebastian Munster

Intanto, sul finire del 1548, Sigismondo parte per la Svizzera. Nei cantoni svizzeri, dove aveva operato il riformatore religioso H. Zwingli, vige già dal 1531 una tollerante autonomia religiosa.
A Basilea conosce il grande scienziato Sebastian Münster, autore dei 6 volumi della Cosmographia Universalis, pubblicata nel 1544 in lingua tedesca.

Mappa del mondo da Cosmographia Universalis
Stampa da Cosmographia Universalis

E’ il primo testo enciclopedico laico mai stampato al mondo. Su richiesta dello stesso Münster il diciannovenne Sigismondo scrive in latino: Sardinae brevis historia et descriptio, il primo lavoro descrittivo mai scritto sulla Sardegna. E’ un testo breve, ma significativo, con una bella mappa della Sardegna ed una della città di Cagliari. Ci sono nozioni di geografia e di storia, ma non mancano note sugli usi, costumi e lingua dei sardi. Descrive anche i principali paesi della Sardegna.

Mappa di Cagliari elaborata dall’opera di S. Arquer
Mappa della Sardegna dall’opera di S. Arquer

Di Alghero scrive: è una città nuova (in effetti, all’epoca, l’Alghero catalana aveva meno di 200 anni), piccola, nondimeno popolosa e fortificatissima, adorna di belle case ed edifici ed i cui abitanti sono quasi tutti tarragonesi,…e parlando delle risorse idriche aggiunge: la città di Alghero (Algheri) ha una certa carenza d’acqua, essendo situata in riva al mare tra sabbia e scogli…
Conclude il lavoro sottolineando l’ignoranza e la liceità del basso clero sardo. L’opera sarà stampata in latino nel 1550, all’interno della prima edizione non in lingua tedesca della Cosmographia Universalis.
Ma, come già detto, sono tempi duri per la Sardegna e per i regni cattolici. Papa Paolo III Farnese è il papa che commissiona a Michelangelo il Giudizio Universale, ma è anche quello che istituisce il Sant’Uffizio (1542), quello che convoca il Concilio di Trento (nel 1545, e durerà fino al 1563), quello che crea l’Indice dei libri proibiti (manco a dirlo, nel 1559, tra i libri proibiti ci sarà proprio l’opera di Münster, compreso ovviamente il lavoro di Sigismondo).
Intanto Sigismondo si trattiene in Spagna fino al 1555. Difende il padre, a cui i nemici sardi avevano fatto confiscare i beni. Sigismondo riesce a farglieli restituire e viene anche promosso avvocato fiscale.
Rientra infine in Sardegna. Ma è persona troppo retta ed onesta. Si scontra così con i biechi interessi di alcuni importanti feudatari sardi, gente di malaffare e senza scrupoli, ed in particolare con la losca, ma potente figura, di don Salvador Aymerich, e con la famiglia Zapata.

I suoi nemici tramano e nel 1556 riescono a farlo arrestare con inconsistenti accuse. Ma il nuovo vicerè, Alvaro de Madrigal, appena arrivato ad Alghero, gli concede udienza e gli consente di andare in Spagna a discolparsi. A Madrid Sigismondo ottiene soddisfazione e viene reintegrato nel suo incarico di ufficiale regio. Torna in Sardegna nel 1558. A questo punto i suoi nemici tentano di eliminarlo accusandolo di eresia. I fatti precipitano. Per Sigismondo, uomo colto e integerrimo, la Sardegna non è più sicura. Nel 1560 ritorna in Spagna. Ma, come nel romanzo Il nome della rosa, il cerchio si stringe. Nel 1562 sbarca ad Alghero il nuovo inquisitore per la Sardegna, Diego Calvo, che indaga su di lui. L’anno successivo, Sigismondo viene definitivamente arrestato, a Toledo, con l’accusa di eresia.
Passerà i successivi 8 anni nelle durissime carceri dell’Inquisizione e  subirà per due volte la tortura.

Mordacchia

In quel secolo l’Inquisizione spagnola, con a capo la temutissima Suprema (Consejo Supremo de la Santa Inquisición), aveva il compito di contrastare l’eresia protestante che sottraeva fedeli e censo alla chiesa ufficiale. Inoltre i re cattolici se ne servivano per ridurre all’impotenza cospiratori e avversari politici. Il sistema funzionava come una polizia segreta, con delatori, spie e confidenti infiltrate ovunque. Lo scopo finale non era tanto quello di condannare al rogo (riservato agli eretici che non abiuravano o ai recidivi), quanto di sottomettere la volontà personale con anni di carcere e impossessarsi dei beni dell’accusato. Ma gli uomini di cultura erano considerati pericolosi perché potevano inculcare ad altri il germe del libero pensiero. Questa fu la colpa di uomini come Giordano Bruno. Per questi uomini il rogo era l’unica condanna possibile.
E Sigismondo era un uomo di cultura. Pertanto, dopo una lunga detenzione ed un’interminabile processo, puntiglioso ma farsesco come tutti i processi dell’Inquisizione, venne condannato al rogo, e condannato all’uso della mordacchia affinché non potesse gridare cose inconsulte.
La condanna fu eseguita a Toledo il 4 giugno 1571.

Toledo nel 1500 in un dipinto di El Greco

Sigismondo aveva poco più di 40 anni, di cui tanti passati in carcere. La Sardegna perdeva così uno dei suoi uomini migliori, uno dei suoi figli migliori. Ma anche il Rinascimento italiano era finito ed i regni cattolici, usciti rafforzati dalla vittoriosa battaglia di Lepanto contro la flotta ottomana, proseguiranno ancora per molto, nell’età Moderna, un oscurantismo di stampo medievale.
Ad Alghero, il futuro avrebbe portato solo pestilenze (la prima nel 1582), carestie e miseria ancora per lunghi secoli.

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