Alghero dal colera al covid-19

di Giovanna Tilocca

L’attualità di un’emergenza improvvisa quanto imprevista ci ha messo di fronte a eventi che credevamo appartenere soltanto a un lontanissimo passato, dei quali peraltro si è raccontato sempre molto poco.
Cambiano i tempi, ma lo scenario è sempre lo stesso.
Appena i medici si insospettiscono per la presenza di ripetute morti a causa di malattie con gli identici sintomi, si allarmano e informano le autorità perché prendano i provvedimenti del caso. Gli amministratori però capiscono che con le quarantene si intralcia l’economia del paese e fanno di tutto per minimizzare i rischi fino a quando ormai non c’è più niente da fare.
Ad Alghero nel novembre 1582 solo la prontezza del medico Quinto Tiberio Angelerio, fortemente osteggiato dalla popolazione e dalla municipalità algherese, ha fatto in modo che l’epidemia di peste venisse arginata nei limiti del possibile. Si arrivò a chiudere l’ospedale (allora collocato nel Carrè de Sant’Antoni, attuale Via Cavour), che veniva sorvegliato da un numero sufficiente di guardie, si murò la porta e alle persone così chiuse si forniva il necessario.

L’antico ospedale di via Cavour, attiguo alla chiesa di sant’Antonio Abate
(oggi sede della Società di Mutuo Soccorso)

Ogni volta le pestilenze lasciavano una città fantasma, con intere palazzine senza più proprietari abbandonate al degrado, con famiglie decimate, e con un numero altissimo di matrimoni tra i giovani vedovi superstiti.
Dopo le epidemie di peste che hanno aggredito la città fino a tutto il 1600, si può dire che il Settecento e la prima metà dell’Ottocento siano stati abbastanza tranquilli. Il numero degli abitanti lentamente aumentava anche se frenato da ripetute crisi di sussistenza causate da carestie, siccità, o da occasionali recrudescenze di malattie legate soprattutto alla scarsa igiene e alla denutrizione.

Il colera del 1855

Questa tregua è stata interrotta nel 1855 dal colera che, arrivato dall’Asia, dopo aver serpeggiato in Europa e nel Mediterraneo fin dal 1830, è riuscito a rompere l’isolamento della Sardegna fino ad allora immune al contagio. Nella nostra terra ha trovato terreno fertile, perché i Sardi, non essendo mai stati a contatto con il vibrione, non avevano alcuna difesa. I primi casi si sono verificati nell’estate del 1855 e in agosto il morbo è arrivato ad Alghero. Consapevole dei rischi che si correvano, il sindaco Giovanni Battista Garibaldi, che era anche medico, prese immediatamente le misure adeguate per contenere l’epidemia.
Gli “esperti” raccomandavano la massima igiene nelle case, nelle vesti e nella persona e reputavano indispensabile la tranquillità dell’animo. In caso di persone infette occorreva ventilare la stanza, effettuare fumigazioni di cloro, e coloro che avevano avuto contatto con i malati dovevano lavare le mani con acqua e aceto. I sanitari raccomandavano nettezza, sobrietà, tranquillità e infine concludevano affermando che l’unico mezzo per limitare la diffusione del contagio era l’isolamento.
Vista l’impotenza della scienza medica si praticavano rimedi suggeriti da occasionali osservazioni che spesso erano contraddittori tra di loro. Alcuni consigliavano il ghiaccio, altri l’acqua calda; si raccomandava di bere vino di buona qualità, di evitare le patate, gli ortaggi, la frutta, e i cibi di difficile digestione. Scorrendo i vari consigli dispensati, appare uno scenario di grande confusione dovuto al fatto che la città era sopraffatta da un evento che si tentava affannosamente di capire ma che nessuno riusciva a decifrare. Molti discutevano sulle modalità di trasmissione del morbo, e, più aumentavano i casi, più si realizzava che il contagio colpiva tutti indifferentemente a prescindere dallo stato sociale e dallo stile di vita.

Ad Alghero ci furono 600 decessi su una popolazione di circa 8000 abitanti con una percentuale del 7,5%. A Sassari vi fu una vera e propria strage con 5000 morti su 23.000 abitanti ( 22%).
Dopo questa tragica esperienza si capì che non si poteva più rimandare l’estensione del popolato oltre la cerchia medievale. L’aumento degli abitanti aveva ridotto le città murate ad agglomerati soffocanti dove ogni buco diventava il rifugio di poveri diseredati costretti a dividere gli spazi anche con gli animali. In tutta Europa si diede la possibilità di costruire oltre la cinta muraria e anche ad Alghero si discusse di attuare provvedimenti per un risanamento che portò, a fine Ottocento, all’abbattimento delle mura.

L’epidemia di “Spagnola”

La seconda metà dell’Ottocento e il primo decennio del nuovo secolo appaiono connotati da una economia di sussistenza caratterizzata da una popolazione che stenta a crescere come è evidenziato dal grafico realizzato con i dati dei censimenti della città dal 1861 al 2011.
In più di cinquant’anni, dal 1861 al 1921 si passa da 8 mila a 12 mila abitanti come si nota dalla linea del grafico che va lentamente sollevandosi.

Censimento della popolazione di alghero

Nel 1918 la popolazione algherese si è trovata soverchiata da due elementi contro i quali non aveva alcuna difesa. Infatti alla guerra, decisa dai gruppi di potere, che aveva stremato le famiglie per più di tre anni, si è aggiunta la forza della natura che ha scatenato contro l’umanità un micidiale nuovo virus dell’influenza.
Il termine “Spagnola” evoca un’epidemia della quale però conosciamo solo il nome. Eppure in questi giorni stiamo  vivendo un’esperienza che, per alcuni aspetti, si presenta molto simile a quella vissuta un secolo fa dai nostri avi. Anche allora il nemico è arrivato in silenzio, non si è fatto riconoscere subito, ma con il passare dei giorni ci si è accorti che non si trattava di una normale influenza perché tanti, troppi contagiati morivano per le sue complicazioni: tracheobronchiti, bronchiti acute, catarri soffocanti, edema polmonari e polmoniti che, in assenza assoluta di farmaci adeguati, conducevano rapidamente alla morte. L’unica raccomandazione dei medici era di evitare il contagio e di curare in particolare la pulizia delle mani, delle cavità nasali e della bocca. Alcuni consigliavano di introdurre vaselina nelle narici per impedire l’accesso ai microbi oltre ad effettuare polverizzazioni nel naso con olio mentolato.
Le cure praticate erano costituite principalmente da analgesici, antisettici e disinfettanti. Negli ospedali si praticavano iniezioni a base di canfora utili per le congestioni delle vie aeree superiori e inferiori specialmente in presenza di tosse, siero antipneumococcico per ridurre il rischio di polmoniti, e inoltre si somministravano fenolo (antisettico) e mentolo per alleviare le irritazioni delle vie aeree.
La popolazione si riforniva di chinino nonostante i medici avessero chiarito che il farmaco non aveva alcuna efficacia in caso di influenza. Presto le scorte di chinino scarseggiarono a danno dei malati di malaria nelle campagne e nelle zone di guerra. Nelle farmacie si acquistavano espettoranti, e molti ricorrevano ai vecchi rimedi di medicina popolare per i brividi di freddo e per la febbre come fumigazioni, decotti, sciroppi, applicazione di tegole o mattoni caldi.
Le persone più colpite erano i ragazzi e i giovani adulti. In tutto il mondo il tasso più elevato di mortalità si è riscontrato negli individui con un’età compresa tra i quindici e i quarant’anni. Pare infatti che gli anziani fossero più resistenti al contagio in quanto già colpiti dall’influenza del 1889 e quindi immunizzati.
La stampa tranquillizzava la popolazione ma in contrasto con tali rassicurazioni si prendevano subito drastici provvedimenti: veniva rinviata l’apertura delle scuole elementari ed erano proibiti gli assembramenti. Si vietarono le visite in ospedale dove i contagiati, se era possibile, venivano isolati.
Si raccomandava particolare attenzione nella pulizia e disinfezione di case, uffici, chiese dove si chiedeva che venissero disinfettati con cura i banchi e i confessionali. Si sospesero le feste patronali e si consigliava di ridurre al minimo la frequentazione di teatri e locali cinematografici Col passare dei giorni, nonostante i giornali continuassero a rassicurare sul decrescere dell’influenza, si attuarono ulteriori restrizioni che modificavano anche i rapporti sociali: vietato visitare gli ammalati, porgere le condoglianze, partecipare ai funerali. Anche gli abbracci, i baci e le strette di mano erano messi al bando. Mussolini scriveva sul “Popolo d’Italia” che se la sudicia abitudine di stringere la mano fosse stata vietata, la spagnola sarebbe scomparsa nel corso di una notte.
Finalmente intorno alla metà di novembre la malattia iniziò a regredire, per cessare alla fine del febbraio successivo.
Una stima fornisce la cifra di 12 mila decessi nell’Isola e la fascia di età più colpita è quella tra i venti e i quarant’anni. Da 1915 al 1918 erano morti in guerra 13.602 soldati sardi.
Il tributo di Alghero alla carneficina bellica è stato di 196 vittime, mentre a causa della spagnola hanno perso la vita circa 120 persone nell’arco di tre mesi.

Il grafico mostra il numero dei decessi di Alghero in casa e in ospedale rilevati nel registro degli Atti di Morte per ogni mese del 1918 (Archivio Storico di Alghero). Tra il settembre e il dicembre si contano 219 decessi, con il picco di 99 ad ottobre. Di questi circa 120 sono stati uccisi dalla Spagnola.
In tutto il mondo, secondo alcune stime, ci sono stati un miliardo di contagiati e 50 milioni di morti su una popolazione globale che non raggiungeva i due miliardi.

COVID – 19

A distanza di un secolo, inizialmente molto increduli, ci siamo trovati nel bel mezzo di una pandemia così, all’improvviso, e c’è voluto un po’ di tempo per capire che cosa stava accadendo proprio a noi, superprotetti da vaccini e medicine, da un’organizzazione sanitaria capillare, da una scienza medica che ritenevamo perfettamente in grado di padroneggiare una semplice influenza.
Non potevamo neppure immaginare lo scenario che si presenta quando contemporaneamente  si ammala gravemente un numero di persone fuori controllo, provocando un affollamento insostenibile nelle strutture sanitarie e costringendo talvolta i medici a fare delle scelte angoscianti.

Al Supermercato in tempi Covid-19

Ogni influenza ha le sue vittime prescelte. La spagnola colpiva soprattutto i giovani e gli adulti fino ai 40 anni, mentre il coronavirus preferisce gli anziani, in prevalenza uomini, i quali spesso hanno altre patologie che si aggravano rendendo inutile ogni cura.
Ancora siamo nel bel mezzo dell’accadimento, ancora non possiamo capirne gli sviluppi, ma certamente abbiamo già fatto le nostre considerazioni.
Questo clima di isolamento, di chiusura, di abbandono delle attività è percepito in maniera differente in ragione dell’impatto economico che comporta per ciascuno di noi e anche in relazione all’età. Non possiamo fare delle previsioni sulle conseguenze anche perché molto dipende da quanto sarà lungo il periodo di restrizioni e dal bilancio finale che si sta già presentando molto pesante. Se dobbiamo riferirci alla Spagnola possiamo dire che nel 1918 guerra e pandemia hanno dato un colpo durissimo a tanti popoli, ma stiamo anche parlando di numeri decisamente superiori su una popolazione mondiale che non raggiungeva i due miliardi di persone.

Foto di Angela Zedda: Insolita veduta di Piazza Sventramento deserta in periodo Covid-19 (4 aprile 2020 – h 9)

Per quanto ci riguarda, stiamo sperimentando un nuovo modo di organizzare il nostro tempo, che mai avremmo conosciuto senza questa emergenza, aiutati anche dalla tecnologia che ci consente di comunicare con l’esterno per le mille esigenze del nostro quotidiano e anche per numerose attività di studio e lavorative. Come sempre, chi saprà adattarsi saprà trarre profitto anche dal nuovo modello di vita che offre spunti di riflessione e possibilità di rinnovamento sia nel pensiero che nell’azione.
La Sardegna forse poteva risparmiarsi questa esperienza, o almeno tale è la nostra impressione. Alghero segue in maniera disciplinata le prescrizioni date a tutta la nazione visto che, pur in presenza di ben pochi casi circoscritti ad alcuni ambienti, c’è la consapevolezza di combattere contro un nemico del quale sappiamo ben poco. Al momento possiamo ritenerci fortunati perché non abbiamo attorno a noi contesti dei quali vediamo le drammatiche immagini sui teleschermi.
Il nostro pensiero va anche all’inadeguatezza che le nostre strutture sanitarie hanno evidenziato in questa occasione. Nell’Ospedale di Alghero non si può contare sul reparto di terapia intensiva che non è attivo, e in generale le strutture ospedaliere sarde si sono mostrate impreparate a  tenere sotto controllo la situazione di contagio che pure si è presentata con numeri decisamente ridotti. Forse non è opportuno sguarnire i territori dai presidi sanitari, anche se in effetti sono un costo per la comunità. Abbiamo visto e vedremo meglio in seguito quanto la pandemia costerà all’economia mondiale. Questa vicenda ci ha fatto capire che la salute è un bene che va preservato anche per non correre il pericolo di dissestare le finanze di un paese.

Bibliografia essenziale:
Quinto Tiberio Angelerio, Ectypa Pestilentis Status Algheriae Sardiniae, Cagliari, 1588.
Marina Sechi Nuvole, L'estate del colera, Ed. L'Alguer, 2019
Eugenia Tognotti, L'anno del colera. Sasssari 1855, Sassari, 2000
Eugenia Tognotti, Guerra ed epidemia, la “Spagnola” in Sardegna, saggio pubblicato nel volume Dal mondo antico all'età contemporanea, Studi in onore di Manlio Brigaglia, Ed. Carocci, 2001
Giovanna Tilocca, Cento anni fa ad Alghero. Fine della grande Guerra . La “Spagnola”, 2019
Sitografia
https://issuu.com/110elode/docs/chiara.scanu
https://www.tuttitalia.it/sardegna/50-alghero/statistiche/censimenti-popolazione/
https://www.storiedialghero.it/cento-anni-fa-lepidemia-di-spagnola/
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