Gli orti algheresi del ‘900

del Comitato dei Custodi della Biodiversità Lo Revellì

Gli ortolani algheresi erano famosi per i loro prodotti,  molto apprezzati anche nei dintorni ed in particolare dai sassaresi, ai quali tutto si può negare ma non di non avere il senso dell’umorismo e di non essere dei buongustai. La grande sfida  tra gli ortolani algheresi era quella di essere i primi a produrre dei pomodori che come primizie spuntavano prezzi altissimi. Non si dimentichi che nel periodo di cui parliamo non vi erano le serre, non c’erano importazioni dall’estero. La sera partivano da Alghero i carri pieni di ortaggi per arrivare al mattino ai mercati generali del capoluogo ed anche di altri paesi vicini.

Il buon ortolano doveva produrre le zucchine per San Pasquale  (17 maggio) e i pomodori per San Antonio (13 giugno) al più tardi.

L’antica via degli orti
Vista aerea delle superfici destinate a orti

Gli orti migliori erano quelli non lontani dal mare, con terreno sciolto e sabbioso. I sistemi di coltivazione erano molto antichi  e la principale differenza rispetto al circondario era l’uso come fertilizzante della posidonia. Oltre il letame ben maturo preferibilmente di pecora ed un compost fatto di rifiuti vegetali un tempo non inquinati dalla plastica ed altro, si utilizzava infatti  una certa quantità di posidonia, peraltro non eccessiva data la salinità. Doveva passare almeno un anno, meglio due in grosso mucchio o in mucchietti esposta alle piogge o come lettiera del bestiame, con benefici influssi del sale sulla salute degli zoccoli dei cavalli e degli asini . In certi casi si mettevano grossi quantitativi di posidonia su terreni molto poveri e compatti per arricchirli e scioglierli. La posidonia veniva presa con i carretti e sollevata con un forcone, in modo da far cadere la sabbia. Alla spiaggia si potevano vedere cinquanta uomini che rastrellavano la sabbia e file di carri che caricavano la posidonia. I capi di bestiame con problemi agli zoccoli erano portati a camminare sul bagnasciuga e poi sulla paglia marina, per destare l’apprezzamento dei fabbri ferrai. Ora è proibito ai privati raccogliere la posidonia, come ben sa un anziano ortolano fortemente multato. Per favorire il turismo si preferisce toglierla insieme ad eccessivi quantitativi di  sabbia  facendo ricorso a grandi ruspe e diventa un imbarazzante e costoso rifiuto speciale. Il tutto senza considerare il sapore particolare che dava agli ortaggi e soprattutto alle melanzane e al pomodoro. 

Importantissimo per l’orto era il ciaffarec, (negli orti vicino al lido di acqua salmastra) la vasca dove far riposare l’acqua per innaffiare, che doveva essere a temperatura ambiente e al tempo stesso ne permetteva l’ossigenazione. Il ciaffarec era costruito usando pietre lavorate solo agli angoli e per il resto una colata di pietre e calce viva fatta con una cassaforma. L’acqua scendeva a caduta e attraverso un canale principale era indirizzata ai vari tauràls, aprendo e chiudendo di volta i vari solchi del taurà stesso con una zappa. Vi erano solitamente dei pesci rossi per le zanzare. Il cavallo era abbeverato con l’acqua del ciaffarec in estate e con quella del pozzo in inverno. L’innaffiatura nei canali permetteva di non bagnare le foglie, evitando attacchi di funghi.

L’acqua dal pozzo al ciaffarec era tirata con una noria, molì de algua, spinta da un cavallo o da un asino. E proprio vicino al ciaffarec c’era quasi sempre un grande gelso, un abra de mora la cui ombra riparava dal sole estivo uomini e bestie. 

Strutture non più utilizzate dell’orto della famiglia Sinis

Particolare delle canalette utilizzate per portare l’acqua in tutto l’orto

In ogni orto vi erano degli animali: il cavallo e l’asino servivano per il lavoro, le galline e e i maiali per utilizzare gli scarti dei prodotti. Molto importante il cane (il cane dell’ortolano che non mangia e non lascia mangiare), che secondo la leggenda veniva pazientemente addestrato, a anche a pietrate, a non camminare tra i solchi e a non scavare fossi. Secondo altri serviva solo da guardia.  Le galline erano fatte uscire dal pollaio solo se la fase della coltivazione lo permetteva, non c’erano infatti le famose galline giapponesi addestrate a mangiare gli insetti senza toccare i legumi! A volte erano allevate delle anatre, liberate di prima mattina per mangiare le lumache e fatte rientrare prima che passassero ad una dieta vegetale.

Gelso secolare sotto il quale, durante le caldi estati, si riparavano gli animali utilizzati dagli ortolani.

I semenzai erano preparati molto presto, anche a Natale per i pomodori (il giorno di Santa Barbara), su lettiera calda al riparo di un muretto esposta a sud  e con copertura con stuoie di tifa se c’erano minacce di gelata.   La messa a dimora in piena terra avveniva a fine febbraio o a i primi di marzo con protezione dal vento di maestrale con pale di fichidindia (si usavano le più grandi sostenute di lato da una canna a due punte, il puncial). La giovane piantina era così protetta dal vento dominante e illuminata ad est dal sole, al riparo dalla grandine in un piccola serra! Le pale di fichidindia erano anche usate, opportunamente tagliuzzate,  per una pacciamatura ad aprile maggio degli alberi da frutta e le spine nascoste nel terreno per bucare poveri ladruncoli scalzi! Si usavano fette di pale di fichidindia anche nel trapianto degli alberi.

Mentre i consumatori preferiscono prodotti grossi e belli da vedere, senza curarsi molto del gusto, gli ortolani per il loro consumo personale preferivano i prodotti più piccoli, specie per i pomodori, e non solo per destinare la qualità esteticamente migliore a i clienti.  Sono infatti più gustosi. Quelli medio-piccoli erano anche i migliori per seccare, specie i marmande.

I semi erano normalmente raccolti  tra i migliori esemplari e conservati in cartoccetti di carta straccia. I semi di lattuga dovevano essere protetti da stormi di cardellini, allora numerosissimi.

Le sementi erano anche procurate nei paesi dei dintorni, come ad esempio le cipolle a Bonnannaro, e quindi non solo a Banari, famosa per quelle dorate.

A causa di un gusto dei consumatori quanto meno discutibile si sono purtroppo quasi perse le sementi della melanzana algherese (bagliesa negra), dal sapore molto deciso e piccante, e della lattuga galdugna, molto grossa e dalle foglie croccanti., una varietà della bionda degli ortolani.  Molto ricercata anche la cicoria “dolce” algherese, che ancora si trova. Quasi introvabile ma ancora coltivato il coratronciu, il cavolo rapa algherese, che a differenza del quarantino era piantato a fine aprile e raccolto nell’autunno successivo.

Molto apprezzata anche la cipolla Mitgia vermella. Il comitato per la difesa della biodiversità cerca di riprodurre queste varietà e sono disponibili i semi per chi volesse farne richiesta.

I trattamenti antiparassitari erano molto semplici, come cospargere di cenere le piante dei pomodori, e non solo il mercoledì delle ceneri. Si usava anche cospargere di polvere (di terra) la vigna e di cenere. Si aspettava una notte di sarenu perché il materiale usato si attaccasse. Si riempiva di cenere un cestino non troppo intrecciato stretto e si agitava sulle piante da “trattare”.

Si usava anche zolfo, rame e poltiglia bordolese, ma molto tempo era speso per combattere manualmente alcuni parassiti, come ad esempio i bruchi della cavolaia. Il poco uso di insetticidi permetteva ai parassiti dei parassiti di agire indisturbati e limitare quindi gli attacchi alle colture.

Per le lumache era anche gradito l’intervento dei pescatori dello stagno, che le usavano come esca e ne facevano un grande uso. Ovvio che le chiocciole con il guscio “tappate” (riconoscibili dall’opercolo bianco con cui si isolano dopo essersi spurgate naturalmente) finivano nel “bagnapà” la zuppa di verdure fatta con i prodotti del momento e quindi con sapori sempre diversi.

Comitato dei Custodi della Biodiversità Lo Revellì

Il Comitato studia e preserva le vecchie varietà di orticole e piante da frutto algheresi oltre a  favorirne la diffusione. Tutti possono farne parte. Per informazioni rivolgersi al 3398987579.
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12 commenti su “Gli orti algheresi del ‘900”

    1. Io ricordo quegli orti.Ci trascorrevo le vacanze estive.Mio nonno aveva l’orto con tre pozzi ,le anatre che mangiavano le lumache e il cavallo che è morto di vecchiaia all’età di venticinque anni.Le pale dei fichidindia tenute su con le canne,tagliate nella giusta misura ,protetteggevano le piantine da trapiantare.Ricordo il canto delle canne quando si alzava lo vento de la mar…..P.S. abito in via degli Orti.

  1. È bellissimo poter conoscere come si coltivavano un tempo gli orti!! Tutta questa meravigliosa esperienza deve assolutamente essere tramandata ai nostri giovani coltivatori ( che fortunatamente stanno riscoprendo l’amore per la terra) ! Per la nostra amata e bistrattata Posidonia ,i nostri avi sapevano farne un ottimo uso,senza creare i problemi attuali! Complimenti per la divulgazione,continuate !!!

  2. Bravi, importante conoscere la storia dei nostri avi. E’ anche la testimonianza di un utilizzo del territorio vergognoso. Date un’occhiata attenta alla qualità dell’edilizia che ha sostituito gli orti

  3. Se c’erano gli orti era perché c’è l’acqua molto prossima alla superficie. Cosa di cui non si parla nè si vuole parlare, con buona pace degli impresari edili che ci impazziscono oggi avendo fatto finta di ignorarlo ieri

  4. Buongiorno vorrei avere informazioni sul rudere di via degli orti, davanti al negozio di vernici. La casa vella mi pare si chiami grazie

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