Viaggio tra le torri costiere algheresi

di Roberto Barbieri

Non si possono raccontare le tante torri costiere che costeggiano la Sardegna senza parlare di pirati e di corsari. Le antiche Civiltà che si affacciarono sul Mediterraneo, impararono molto presto a costruire solide imbarcazione atte ad affrontare le onde. Forse le prime navi erano onerarie, ovvero usate per carichi commerciali, ma vennero presto affiancate da snelle e veloci navi da guerra. Le flotte e i soldati iniziarono a conquistare nuove coste e fondare colonie, per poi difendere le nuove rotte commerciali. E se i grandi fiumi erano le strade degli Egizi o dei Babilonesi, le vie del mare furono vitali per i Minoici e poi per i Fenici, i Greci, i Punici e i Romani. Nel racconto di Omero, la flotta micenea naviga alla conquista di Troia perché questa città controlla e lucra sul traffico marittimo dello stretto dei Dardanelli. Cosa che poi farà l’odierna Istanbul.
E con i traffici marittimi nasce anche la pirateria. Nei tempi antichi era considerato normale andare a razziare i villaggi costieri. Lo fece anche Ulisse (Odissea libro IX) quando, lasciata Troia in fiamme, approda nella terra dei Cìconi e consente ai suoi soldati di uccidere gli abitanti, dividersi le donne e razziare il bestiame. Per millenni la pirateria fu parte integrante della stessa storia del Mediterraneo.
In Sardegna, i Nuragici, probabilmente pirati anch’essi, avevano opportunamente predisposto molti nuraghi lungo le coste, sia a difesa delle vie di penetrazione verso l’interno sia a difesa degli approdi commerciali (ne è uno straordinario esempio il villaggio nuragico costiero di Sant’Imbenia, a Porto Conte).
Ma se non sappiamo nulla delle navi e della navigazione in Sardegna nell’età del Bronzo e del Ferro, conosciamo gli intensi traffici marittimi dei Romani. Non solo si esportavano dall’isola i metalli, i graniti della Gallura, le sardine, i tonni, il legname e le granaglie, ma importanti rotte commerciali (per l’Andalusia, la Tunisia…) passavano accanto alle coste sarde. Esisteva pertanto, come ci raccontano alcuni autori classici, un sistema costiero di avvistamento e di segnalazione.
In seguito e per lunghi secoli (ad iniziare dal 700 d.C.), le coste sarde diventano vulnerabili ed esposte alle continue razzie dei pirati musulmani, chiamati mori, saraceni o barbareschi, ed in seguito anche turchi.

Assedio saraceno di Messina

Nelle loro incursioni depredavano i villaggi e rapivano gli abitanti. Erano pertanto pirati molto temuti e per secoli costrinsero gli insediamenti costieri ad arretrare verso l’interno. In Sardegna gli episodi forse più eclatanti sono il tentativo di conquista dell’isola da parte di Mujahib (noto Musetto, 1015/1016), le razzie di Khair En Din (noto Barbarossa, prima metà del 1500) e le successive imprese di Dragut, (1540/60).
Dopo almeno due spedizioni fallimentari organizzate da Carlo V contro i barbareschi (Tunisi nel 1535 ed Algeri nel 1541), il regno di Spagna, con Filippo II, decise di attuare una politica difensiva e fece costruire (dal 1570 in poi) un centinaio di torri costiere lungo le coste sarde. Non bastò, infatti, neanche la battaglia navale di Lepanto (vinta dalla Cristianità nel 1571) a fermare le razzie barbaresche nel Mediterraneo, che continuarono, spesso sanguinose, almeno fino al secondo decennio del 1800.
Scrive Manlio Brigaglia: non è illecito attribuire lo spopolamento di gran parte delle coste sarde fino a tempi molto recenti, e la stessa scarsa vocazione dei Sardi alle attività di mare, alla paura dei Mori. Senza questo timore sarebbe anche inspiegabile quella sorta di psicologia dell’isolamento che ha afflitto per secoli una popolazione che pure vive in un’isola pressoché al centro di quel grande e navigabilissimo “lago” che è il Mediterraneo.

Alghero conserva, della sua antica cinta muraria difensiva, sette torri, e parimenti sette sono le torri costiere presenti oggi nel suo territorio. Posizionate a vista una con l’altra potevano trasmettere velocemente, sia di giorno che di notte, eventuali messaggi di pericolo. Quelle più grandi avevano armamenti e soldati per consentire una prima difesa.
Come da vari testi storici, le torri costiere sarde, in base alle loro dimensioni, capienza ed armamento si suddividevano in:
1 – Piccole torri d’avvistamento, torrezillas, con un paio di soldati, due fucili e una spingarda.
2 – Torri di media grandezza, senzillas, una piccola guarnigione, due cannoni di medio calibro e altre armi.
3 – Torri grandi, dette gagliarde, con un capitano (alcalde), 5/6 soldati, cannoni pesanti, spingarde e fucili.
Abbiamo notizie della situazione nel XVI secolo in quanto, nel 1572 il capitano M. Antonio Camòs venne incaricato di redigere un elenco delle torri costiere sarde, specificando, torre per torre, gli addetti, le armi e le paghe. Cosa che fece con scrupolo. Perciò, da quanto sappiamo, possiamo dire che le torri costiere algheresi vennero tutte costruite intorno al 1572, tranne le Torre del Tramariglio costruita pochi anni dopo.
Le architetture militari di quel periodo dovevano far fronte all’evoluzione delle armi da fuoco. Pertanto le torri erano a pianta circolare e spesso dotate di un irrobustimento alla base (scarpa), di opportune feritorie, di cornici a toro antischegge,… e così via.

Torre di Poglina

Iniziamo, zaino in spalla, il nostro itinerario tra le torri costiere algheresi. Verso sud se ne trova una sola, la Torre di Poglina, così chiamata perché sorge sull’omonimo promontorio. E’ anche l’unica a cui non possiamo accedere. Dobbiamo accontentarci di vederla da lontano, percorrendo un tratto di costa, dalla dorata spiaggia del Burantì verso sud, o avvicinandoci via mare con una barca. La torre non è avvicinabile in quanto si trova entro i confini di un’area militare. I terreni su cui sorge erano, oltre un secolo fa, dell’ammiraglio e ministro tedesco, Alfred von Tirpitz che aveva forti legami con Alghero. Possedimenti che gli vennero confiscati con la prima guerra mondiale. Racconta magistralmente la storia di questo personaggio Enrico Valsecchi nei suoi libri.
La torre è chiamata negli antichi censimenti Torre della Guardia, probabilmente perché controllava il mare verso sud, da dove cioè era più probabile l’arrivo dei pirati.
La torre è stata recentemente restaurata ed è molto bella, anche se possiamo vederla solo da lontano. Costruita a circa 65 metri d’altezza nel promontorio che chiude a nord Cala Griecas, domina su un panorama straordinario. Verso sud si può seguire tutta la costa fino a Capo Marrargiu. E proprio guardando la costa in quella direzione, poco oltre la spiaggia della Speranza, è facile distinguere le alte falesie grigioverdi de Le Croci. In questo punto, salendo con lo sguardo, è visibile a fatica l’alta Torre di Badde Jana, a 7.7 km in linea d’aria da quella di Poglina. Questa piccola torre, costruita con la pietre vulcanica locale si mimetizza silenziosa nel paesaggio. E’ davvero collocata in un punto strategico ed aveva il compito di rilanciare i segnali in arrivo dalle lontane torri Columbargia e Bosa Marina, entrambe però non visibili direttamente. Evidentemente esisteva un punto di segnalazione intermedio, sicuramente a Capo Marrargiu, e probabilmente su Punta Sos Attentos (come suggerisce anche il nome). Da questa punta era a vista anche la stessa Torre di Poglina, a ben 16 km di distanza.

Torre di Badde Jana

La Torre di Badde Jana (chiamata così per la vicina presenza di alcune domus de janas), si trova nel territorio costiero di Villanova Monteleone e domina il mare da oltre 350 metri d’altezza. Merita assolutamente una visita. La si può raggiungere con un percorso in salita dalla strada Alghero-Bosa. E’ un trekking straordinario, ma per esperti. Il sentiero, salendo, passa vicino a Rocca Pinta, la roccia scolpita dal vento e dall’acqua, uno dei monumenti naturali più belli del nord Sardegna. Più facile è il percorso che passa sull’altopiano e che raggiunge la Torre di Badde Jana partendo da Nuraghe Appiu.

Rocca Pinta, nei pressi della Torre di Badde Jana.

Nel 1582, molti pirati barbareschi sbarcarono sulla spiaggia della Speranza e assaltarono nottetempo Villanova trascinando via gli abitanti verso le navi. Ma intervennero alcune decine di uomini armati da Putifigari, inviati dal Marchese Pietro Boyl. Ci fu uno scontro ed i barbareschi subirono notevoli perdite e vennero ricacciati in mare mentre i rapiti vennero liberati.

La Torre di Poglina, segnalava anche a vista con la Torre Sulis (6.5 km in linea d’aria) e quindi con le difese presenti ad Alghero. Era anche a vista con la Torre del Buru, a ridosso di Capo Caccia, lontana un tratto di mare di 17 chilometri.
Per raggiungere tutte le altri torri della costa algherese dobbiamo andare a nord. Costeggiando il golfo di Alghero, superiamo Fertilia. Da queste parti, all’ingresso della laguna del Calich e presso l’antico ponte tardoromano, è probabile ci fosse, se non una torre almeno un piccolo presidio militare. Il luogo era importante sia per la vicina peschiera sia per la presenza delle saline.

Ponte sul Calich

Lo stesso ponte antico, bellissima costruzione solida e con basse arcate, era facilmente difendibile ed era un’efficace barriera per impedire l’ingresso in laguna alle imbarcazioni nemiche, tanto che dovette essere parzialmente demolito, meno di un secolo fa, per poter accedere con le draghe nei primi lavori di bonifica.

Oltre la spiaggia della Bombarde, si erge la massiccia Torre del Lazzaretto come se uscisse dal mare. E’ chiamata così per la vicinanza della spiaggia omonima, sede della stazione di quarantena delle navi tra il Settecento ed l’Ottocento. Torre gagliarda, costruita praticamente sugli scogli, ha mura poderose che alla base sono spesse quasi 5 metri. Era a vista con la Torre di Sant’Elmo (5.7 km lineari) e con le mura di Alghero. E’ una torre privata ed abitabile. In passato apparteneva ad un mio zio e da bambino ci andavo spesso. Questa torre era conosciuta anche come Torre di Capo Galera, la punta rocciosa posta poco più avanti, ed il cui toponimo ricorda le galee, navi usate nel Mediterraneo per oltre due millenni.

Torre di Capo Galera o del Lazzaretto.

Più a nord, nel promontorio di Capo Caccia, raggiungiamo la già citata Torre del Buru (chiamata così probabilmente da bolo, una tecnica di pesca con reti da posta). E’ direttamente a vista, proprio per una manciata di metri, con la Torre Sulis (13 km di distanza tutti sul mare). Questo perché in mezzo c’è il promontorio di Punta Giglio, e le due torri si vedono per un soffio. In realtà anche su Punta Giglio era opportunamente collocata una torre (del Giglio o del Liri), riportata nei censimenti antichi, ma purtroppo demolita per scopi militari durante la seconda guerra mondiale forse per fare spazio ad un edificio per antenne radio e radar di qui oggi sono presenti i ruderi.

Torre del Buru

La snella ed elegante Torre del Buru era una senzillas e controllava, a 35 metri sul mare, il passaggio delle navi verso Cala Calcina e verso l’interno di Porto Conte. La si raggiunge da Cala Dragunara seguendo l’antica sterrata verso il faro e facendo poi una breve deviazione a sinistra. E’ una bella costruzione da poco ristrutturata, ma difficilmente visitabile all’interno perché l’ingresso è posto a quasi 5 metri d’altezza (quando era abitata, i militari vi accedevano con una scala).

Più all’interno di Porto Conte sono presenti altre due importanti costruzioni militari: la Torre del Tramariglio e Torre Nuova o di Porto Conte. Entrambe avevano il compito di controllare l’accesso navale alla baia. Porto Conte era infatti il vero porto naturale della città di Alghero, e pertanto doveva essere ben presidiato. Lo stesso nome Porto Conte, sembra derivi da un certo Isidoro Conte Palatino che aveva il possesso di quei luoghi per aver prestato aiuto ai Giudici Sardi contro le scorrerie dei barbareschi che ivi si erano acquartierati (A. Della Marmora). I pirati sono pertanto una costante nella storia di questi luoghi costieri e si ricordano anche in alcuni toponimi locali come Cala del Turco o Punta Moro.

Torre Nuova o di Porto Conte.

Torre Nuova (detta in passato anche Torre Maestra) è architettonicamente molto bella: Per le sue grandi dimensioni era la più importante della baia. Usata in passato come locale notturno, aspetta da molti anni (troppi) di essere valorizzata e resa fruibile. Potrebbe diventare un museo per ricordare il poeta e pilota Antoine de Saint-Exupery, indimenticabile autore di libri straordinari letti in tutto il mondo, che proprio qui, a due passi da questa torre, trascorse, nelle pause tra le missioni aeree di guerra, le ultime settimane della sua vita (era il maggio-giugno del 1944).

Torre del Tramariglio

Anche la Torre del Tramariglio (il nome segue quello della vicina cala e deriva da tamerice) è bellissima e posta in uno scenario bellissimo, anche se ormai erosa e consumata dall’acqua e dal maestrale. La si raggiunge facilmente in pochi minuti partendo dalla spiaggia del Tramariglio o dal piazzale del tristemente chiuso Hotel Capo Caccia. Entrando nella torre, non senza difficoltà, si può vedere, dalle aperture lavorate dal vento, un panorama davvero magnifico. I promontori di roccia calcarea, il mare e la macchia mediterranea si articolano tra loro in un morbido gioco a incastro. All’interno, la volta della camera centrale è sostenuta da una elegante colonna in pietra. Vicino all’ingresso (posto a 4 metri d’altezza) inizia una bella scala a chiocciola interna, ormai consunta dagli anni. La pietra arenaria, lavorata a suo tempo da mani esperte, si sta lentamente sfarinando nella sabbia di cui è composta. Salire sulla sommità della torre è troppo pericoloso.

Vista dalla Torre del Tramariglio.

Dall’apertura dell’ingresso, guardando in alto verso ovest, si scorge a fatica, anche se è vicinissima, la piccola Torre della Pegna (da pena, forse perché vi mandavano i soldati a scopo punitivo). E’ la più piccola ed anche la più elevata tra le torri algheresi: ben 271 metri d’altezza, tutti a picco sul mare. E’ una torre di cui è rimasto solo il basamento (come quella di Badde Jana), e serviva da importante punto di osservazione per scrutare il mare ad occidente della costa. A questa altezza l’orizzonte visibile è molto vasto e quindi eventuali navi nemiche potevano essere avvistate con un buon anticipo, utile per lanciare i segnali ed allertare le difese delle torri principali e tra le mura di Alghero.
Da qui i segnali potevano essere facilmente avvistati sia dalle vicine torri interne alla baia di Porto Conte sia da tutte quelle verso Alghero ed oltre. Un bellissimo percorso costiero, che corre alto sopra le falesie del promontorio di Capo Caccia partendo dal punto panoramico noto come Belvedere, consente in un paio d’ore, di raggiungere Torre della Pegna. Il percorso costeggia Cala d’Inferno, attraversa boschetti di ginepro fenicio e piante rare, e prosegue sopra picchi rocciosi che scendono verticali verso il mare, tra i voli dei gabbiani e di qualche sparuto avvoltoio grifone.

Torre della Pegna.

Da lassù, oltre l’Isola Piana e Punta Cristallo, lo guardo raggiunge la lontana costa dell’Argentiera. Siamo nei luoghi più occidentali del centro-sud Italia. Guardando invece verso sud, oltre Alghero e Capo Marrargiu, nelle giornate limpide si possono vedere persino le montagne del Sulcis. Ed è possibile anche vedere le lontane torri oltre Bosa. Sull’orizzonte, dopo un lunghissimo volo sul mare di quasi 50 chilometri, è visibile Torre Columbargia di cui abbiamo già parlato.
Andando invece verso nord, nel nostro itinerario, le alte falesie calcaree dopo qualche chilometro lasciano spazio ad una costa più bassa e sinuosa.

Torre di Porticciolo.

Qui si incontra la Torre di Porticciolo, che chiude un’estremità dell’omonima bella rada sabbiosa. Alta sul mare una quarantina di metri, e da poco ben restaurata, è in contatto visivo con Torre Nuova (solo 5.8 km in linea d’aria), e, verso nord, con la piccola Torre di Bandine Sale (la “banchina del sale”, a 4 km in linea d’aria).

Torre di Bantine Sale.

E’ davvero un piacere percorrere il sentiero costiero che raggiunge, da Porticciolo, quest’ultima torre. Si attraversano così una diecina di calette incantevoli tra i profumi delle piante mediterranee ed il colore rosso violaceo delle rocce. Cala dell’Ancora, Cala del Vino, Cala del Falcone, Cala dell’Acqua,…ogni cala ha i suoi silenzi, i suoi scogli, le sue onde.
Le rocce di questa costa, arenarie e conglomerati, sono arrivate fino a noi da un passato lontanissimo, oltre 250 milioni di anni. Mantengono la memoria, con i loro fossili, della più catastrofica estinzione di massa che siamo riusciti a decifrare nel libro delle ere geologiche.

Siamo ormai in territorio di Sassari, affacciati sullo scenario delle sabbie dorate di Porto Ferro. Per quanto sia spiaggia esposta al maestrale e al libeccio, poteva comunque essere un possibile approdo per le navi barbaresche. Per questo motivo il suo lato nord era difeso da due belle e robuste torri: Torre Airadu (o Bianca) e Torre Negra, quest’ultima posta più in alto, a circa 60 metri sul livello del mare, ed a 5.1 km lineari dalla Torre di Porticciolo.

Torre Airadu e, sullo sfondo, Torre Negra.

Intorno a Torre Negra sono ancora visibili muri, una cisterna ed altre strutture di rinforzo che nell’insieme formavano una piccola roccaforte. A lato di entrambe le torri sono anche presenti strutture militari dell’ultimo conflitto mondiale a ricordo delle centinaia di fortini costieri in cemento realizzati per contrastare un possibile sbarco anglo-americano. Le stesse torri, comprese quelle delle mura di Alghero, vennero usate come postazioni antisbarco ed antiaeree.

Fortino militare antisbarco a lato di Torre Airadu.

Dopo Torre Negra inizia la costa selvaggia e rocciosa della Nurra occidentale, considerata una difesa naturale di per se. La torre successiva si trova infatti molto lontano, presso Stintino: Torre del Falcone, ben 30 chilometri lineari più a nord di Porto Ferro.

Per circa mille anni i pirati delle odierne Libia, Tunisia e Algeria, fecero innumerevoli attacchi lungo le coste sarde, cercando più volte anche di conquistare territori. Vennero sempre respinti, però il prezzo pagato fu altissimo. Interi villaggi distrutti e popolazioni rapite, soprattutto giovani. I maschi venivano venduti come schiavi, le donne finivano negli harem. E l’unico modo per liberare i rapiti, oltre ad una difficile azione militare, era quello di pagare il danaro richiesto per il riscatto.
Ma come già avevano fatto i nuraghi costieri in un lontano passato, le torri del litorale algherese hanno svolto bene la loro funzione di osservazione, dissuasione e difesa. Le cronache infatti riportano pochi episodi pirateschi nel mare di Alghero. Nel 1540 venne attaccata e distrutta Olmedo. Nel 1582 il già citato episodio contro Villanova. Due anni dopo, nel 1582, è segnalato un attacco a Porto Conte con un centinaio di prigionieri. Forse proprio in seguito a questo episodio le torri costiere vennero potenziate in uomini e armamenti. L’episodio piratesco successivo segnalato dagli storici è del 1813, con sbarchi nelle spiagge di Alghero e nella Nurra, con il consueto rapimento di molti abitanti. Ma siamo già nell’Ottocento, in piena epoca sabauda, e le guerre corsare per mare “le guerre di corsa” andavano mutando. Nel 1816, accordi internazionali (garante la potente flotta inglese) con i vari bey del nord Africa, posero del tutto fine alla pirateria verso la Sardegna.
E’ interessante notare, infine, come le torri costiere di Alghero, con i loro soldati e le loro spingarde, hanno esercitato anche una funzione rassicurante per chi esercitava la pesca e in particolare per i pescatori di corallo. Per lunghi periodi, infatti, gli armatori delle barche coralline contribuivano a pagare i salari alle guardie delle torri. Non a caso le calette protette dalle vicine torri erano molto frequentate nelle pause tra le uscite per la pesca. E presso Porticciolo, ma anche a Capo Galera, sono state in certi periodi attive delle tonnare, protette, nel duro lavoro di pesca, dalle vicine torri.
Torri incastonate ed integrate nel paesaggio costiero, ognuna con la sua personalità e la sua storia. Un riferimento per l’occhio come lo furono i nuraghi e come lo sono, da tempi più recenti, i fari. Torri mute e solitarie, testimoni delle stagioni del mare e del passaggio di navi e di barche. Sarebbe impossibile immaginarsi la costa senza di loro.

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