Itinerario semiserio tra le peggiori bettole algheresi

  • di Roberto Barbieri

E’ una sera qualunque del mite, ma ventoso, inverno algherese. Sono con alcuni amici nella sede dell’ANMI (l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia). ANMI? Associazione ché? E dov’è? Chiamata così, pochi la conoscono. -Ah, ma certo, ho capito, vuoi dire il Circolo marinai? Quello che era in piazza Civica? -. Ma si, proprio quello!

Una volta la sede storica del “Circolo Marinai” era, appunto, in piazza Civica, al piano terra del Palazzo Comunale. Una sede prestigiosa, posta proprio sotto la sala elegante del Municipio, quella dove ancora oggi si celebrano matrimoni, e che ha un bel balcone rivolto a piazza Civica da cui si tenevano un tempo i comizi importanti (vi parlò pure De Gasperi, nel maggio del ’46, per far votare “Repubblica” al Referendum, ma gli algheresi non gli diedero retta e votarono compatti per la “Monarchia”).

Nei locali, più umili, del piano terra, sede appunto dell’ANMI, si incontrava la marineria locale. Si beveva vino o birra e si giocava a carte o a biliardo. Quando non erano in mare o sulla banchina portuale, i marinai e i pescatori si ritrovavano al “Circolo” e vi passavano ore ed ore, mentre le mogli li aspettavano a casa. Ma il “Circolo” era anche la sede istituzionale degli avvenimenti che riguardavano il mare e la marineria, come la festa per Santa Barbara, il 4 dicembre, o l’arrivo di qualche nave militare, o la discussione di problematiche riguardanti la pesca o le attività portuali, o la festa di saluto per un Ammiraglio importante.

Associazione Marinai in piazza Civica, si riconoscono Giovanni Spadolini, Moreno Cecchini e Gianvittorio, Vacca, fine anni 70

Il “Circolo” sapeva d’antico, con due grandi saloni dagli alti soffitti, una saletta con il banco bar e persino un cortiletto interno. Quando si entrava, si era avvolti dal fumo dei toscani o delle Nazionali esportazione (quelle con un veliero disegnato sul pacchetto) tra il rimbombante vociare dei giocatori di briscola. Le lampadine, impiastrate di nicotina, illuminavano poco i vasti ambienti e la penombra era accentuata dal pavimento scuro e dal vecchio rivestimento in legno delle pareti, fatto di doghe flattinate come fossero la coperta di una barca.

ex sede Associazione Marinai, festa di carnevale, 1991

Quando si entrava si percepiva subito un odore caratteristico: era un misto di umido trasudante dalle pareti e dal legno, di vino spuntato, di sporcizia e di sigaro.

Era il luogo d’incontro di tutti gli uomini di mare, algheresi o di passaggio, simile se non uguale a quelli che ci sono in tutti i paesi costieri del Mediterraneo.

Piazza Civica era il centro pulsante della città che, ancora negli anni ’60, era vissuta soprattutto nel centro storico. I pescatori che frequentavano il “Circolo” dovevano solo attraversare l’arco di Porto Salve (con la Madonnina inghirlandata di corallo per proteggerli e il barometro e il termometro per prevedere il tempo) e raggiungere così la banchina di approdo e gli scivoli di alaggio. Se invece un pescatore faceva pochi passi verso la salita della cattedrale, poteva entrare nella chiesa della Madonna del Rosario, la chiesa, appunto dei pescatori. Mentre all’uscita del “Circolo”, prima del palazzo nobiliare che ospitò per una notte Carlo V, c’era il negozietto che vendeva ciò che serviva per le barche e per la pesca: dalle vernici alle reti, dai cordami ai piombi e ai sugheri. E poco più in là, oltre la pescheria, iniziava la salita verso Porta Terra con i cantieri nautici che operavano dentro all’ex forte della Maddalena. Vi si costruivano gozzi e spagnolette, ma si riparavano anche le vecchie barche, sostituendo i legni marciti o danneggiati, in un’economia povera ed accorta. Pertanto piazza Civica, la piazza dei palazzi nobili, era anche, con l’antistante porto, il luogo della vita quotidiana degli uomini di mare.

Associazione Marinai, sede odierna

Da una ventina d’anni il “Circolo Marinai”, sfrattato dal palazzo comunale, ha una nuova sede davanti al mercato civico (a “lato dei cartelloni del cinema” direbbero gli algheresi doc). E’ una sede più piccola, anonima e dimessa, ma pur sempre viva di pescatori ed ex marinai. Vi bazzicano personaggi più algheresi delle stesse ginchette dei vicoli. Si beve vino bianco e rosso, oppure birra, si chiacchiera e si canta. Si incrociano anche, ogni sera, le tante piccole storie dell’Alguer vella, quelle che sono, in fondo, le pagine di un libro mai scritto ove si rispecchia l’anima di una comunità. Storie che si incrociano, che si raccontano e si cantano, per poi disperdersi nel vento salmastro. Si, perché qui, nel Circolo Marinai, si radunano gli ultimi cantautori delle musiche e delle canzoni locali. Gli echi di un’Alghero anni ’50 e ’60 che ormai non esiste più. Gli ultimi sopravvissuti di un centro storico fatto di osterie di basso rango, dove ogni sera era festa e si ripassava il repertorio delle canzoni locali. L’Alghero delle vecchie cartoline e delle vecchie foto.

Stasera sono insieme a Berto Prubunaru, l’attacchino comunale ormai in pensione, e sono con Pietro Barabba l’ultimo dei Tupamaros della muraglia, con Franco (insieme a Berto il tenore del gruppo), con Cristian (giovane, ma tosto con la fisarmonica), con Mario (e la sua chitarra), con Raffaele (l’algherese di Mamoiada e la sua chitarra), con Ignazio La Ciampina, e con tanti altri amici di una vita tra cui Piero che, oltre a suonare la chitarra e mescere vino, ha pure il difficile compito di tenere a bada l’intera ciurma fino all’ora, sempre variabile, di chiusura. Dietro al banco, tra i crest militari e i poster di navi da guerra, ci sono anche le foto di chi non c’è più, ma che vive sempre nei nostri ricordi: Bruno (l’autista del trenino turistico), Massimo (il ragazzo dal sorriso, insuperabile nell’intrecciare palma nana e fare sculture di coralli e conchiglie). Mario Camarrau (l’indiscusso capo guerriero dei Tupamaros) e tanti altri che ora navigano in oceani lontani. Tra chi non c’è più, anche l’artista Gianvittorio Vacca, grande amico del “Circolo” e che non mancava mai alle serate canore del “Gruppo della Muraglia”.

Associazione Marinai, momenti conviviali

La band degli amici che ho citato è formata da quattro o cinque chitarre, un mandolino, una “cassetta tamburo” inventata da Berto e altri strumenti non convenzionali quali cucchiai, scatole e pentole. Barabba, il direttore d’orchestra e direttore artistico, canta e suona di tutto. Oltre alla chitarra, suona il violino, l’arpa, l’armonica a bocca, il mandolino, il pianoforte e altro ancora.

Associazione Marinai, momenti conviviali

Il repertorio spazia sulle canzoni tradizionali algheresi (Pasqual Gallo, Pino Piras…), ma poi diventa internazionale per ripercorrere l’intero impero di Carlo V, dalla Spagna alle Canarie, da Cuba all’America latina, fino a ritornare ad Alghero, con qualche sconfinamento in territorio sassarese.

Associazione Marinai, momenti conviviali

Poi, in un momento di pausa tra una canzone e l’altra, il vociare assume una forma definita e le chiacchiere diventano racconto. Si torna agli anni ‘60 ed inizia a girare la ruota dei ricordi. L’argomento sono le osterie storiche dei vicoli di Alghero. Anzi, proprio le bettole della città vecchia, entro le mura.

Associazione Marinai, momenti conviviali

E allora, sul filo dei ricordi, Berto mi propone di accompagnarmi in un giro semiserio tra le bettole che furono. Un tour tra i vicoli della vecchia Alghero per ricollocare nello spazio, tra un vicolo e l’altro, le bettole di una volta.

Associazione Marinai, momenti conviviali

Usciamo quindi dall’Associazione Marinai e giriamo in via Simon. Giochiamo a riportare indietro il tempo di mezzo secolo. A sinistra la caserma dei carabinieri con il via vai di gazzelle. A destra arriva da via Machin l’intenso profumo dei dolci all’anice del forno di cià Caterina Duturi. Sono i cavallucci e gli ous de buciaca. (il negozio di dolci, di Raffaela Senatore, esiste ancora oggi).

Strade di Alghero ai tempi delle tavene, fotogramma da un 16 mm di Arturo Usai

Ancora pochi passi e arriviamo in vicolo Buragna, prima tappa del nostro itinerario.

Le tante bettole dell’Alghero di una volta, erano mescite popolari di vino. Possiamo chiamarle osterie, taverne, cantine, ma il nome più appropriato, ce lo ricorda Michele Chessa nei suoi Racconti Algheresi, era tavena. Venivano a volte gestite dagli stessi proprietari di vigne, che vi vendevano direttamente la loro produzione. Il centro storico di Alghero ne aveva tante. Erano mescite di vino, con clientela molto popolare,

che cambiavano spesso sede e gestione. Rimanevano aperte un po’ di anni e poi chiudevano. Alcune finirono per trasformarsi in vinerie/bar, ma alla fine nessuna sopravvisse. E oggi rimangono solo nei ricordi degli algheresi non più giovani.

Ora sono qui, con Berto, in vicolo Buragna. Subito a sinistra, spalle a via Simon, c’era una delle più tipiche cantine algheresi, la tavena de la Parrocchia. Nonostante il nome, manco a dirlo, qui non si recitavano preghiere, ma si beveva vino spillato direttamente dalle botti. L’insegna che stava appesa fuori, sopra la porta d’ingresso, e illuminata la notte da una tenue lampadina, era una bandiera bianca e rossa. Un marketing pubblicitario chiarissimo che stava a significare: qui si serve vino bianco e vino rosso.

Il nome la Parrocchia derivava dal soprannome (cistu) del proprietario, Francesco Candido Tavera che lì abitava con la numerosa prole.

Mi viene da sorridere pensando a quei mariti che la sera uscivano dicendo alle loro mogli: só anant a la Parrocchia

Scendiamo ora lungo il vicolo fino alla piazza, aperta dalle bombe del ’43, all’incrocio tra via Gilbert Ferret e via Carlo Alberto. Pur non presente nella toponomastica, gli algheresi la chiamano, senza perifrasi, piazza Sventramento. E qui c’erano un altro paio di bettole.

Una era la tavena di ciù Salvarò Nicu, gestita poi da un certo Alfonso e considerata “di lusso”.

Nell’altra si vendeva il vino della cantina di Mamuntanas. Il locale era abbastanza ampio, con sottoscala dotato di cucina, così da consentire la preparazione di piatti caldi. Quasi sempre si trattava di un gran pentolone con fave e cotiche di maiale.

Sempre da quelle parti c’era un’altra taverna/bar gestita dal fratello del pugile Tore Burruni.

Pochi passi lungo via Ferret e si raggiunge via Principe Umberto, l’antico carré de Bonaria. Qui, subito a sinistra guardando il campanile di Santa Maria, c’era una delle bettole più popolari e frequentate. Era la tavena di ciù Pauricu Bulzighì, (Paolo Silanos). Tra un bicchiere di vino e l’altro, si suonava e si cantava l’intero repertorio delle canzoni algheresi. Questa bettola divenne poi la tavena di ciù Marieddu. All’ingresso, sopra un pezzo di cartone, campeggiava la scritta: VINO MERAVIGLIOSO.

Le bettole algheresi si somigliavano tutte. Erano formate da un unico locale, ricavato in un sottano o in dabasc (ambienti fronte strada tipici centro storico algherese), con qualche tavolino, qualche sedia, un bancone in mattoni o in legno per la mescita e dietro la spazio per le botti del vino.

Proseguiamo verso il campanile per poi scendere, con il mare che ci fa da sfondo, lungo la dabasciara de Ricciu fino ad incrociare via Doria, una delle strade più popolari di Alghero, che era allora abitata da pescatori e contadini. Sulla vita che rallegrava questa via, facciamo dire qualcosa a Michelino Chessa: “…in questa strada si formavano i circoli notturni davanti alle case per fare quattro chiacchiere. C’era anche qualche cantina all’algherese, Tavena, ma spesso il vino lo vendeva direttamente la moglie del vignaiolo che prendeva il nome di Casurana. E nel periodo del vino novello algherese, via Doria era invasa dal profumo dei pesci arrosto cotti sulla graticola sopra un braciere: a damunt de una grieglia de un bracé anzes. Nella notte i bevitori intonavano le belle canzoni algheresi, alcune si improvvisavano come gli stornelli. La cantina Tavena di giorno era segnata con una bandiera rossa alla porta, di notte si appendeva una lanterna ad olio, una gliantegna a ori…”

Erano anni un cui il centro storico era densamente abitato, e intere famiglie vivevano in singole stanze o nei sottani. Via Doria, la vicina via Cavour, ma anche la zona di via Sant’Erasmo e dell’ex quartiere ebraico, erano abitate da tantissime famiglie di modesto ceto sociale. L’unica fonte di riscaldamento erano i bracieri, che venivano accesi in strada e poi portati dentro casa. All’occorrenza servivano anche per arrostire qualche pesce, se la pesca era stata fortunata.

Incrociamo ora via Roma e risaliamo costeggiando la chiesetta di San’Anna e la cattedrale con il suo splendido portale gotico. Siamo subito in via Ardoino. Qui, a sinistra, la bettola/bar di Begnamino. E’ un locale stretto e lungo, sempre trafficato ed il vino vi scorre a fiumi. Berto mi dice che dopo Beniamino, la bettola continuò per un po’ ad esistere gestita da uno della famiglia Sang de Bou.

Vicino anche l’irresistibile profumo di dolci all’anice algheresi. Arriva da un forno che ora non c’è più.

Più avanti, sempre a sinistra, oltre piazza del Teatro, c’era un locale bar nell’attuale sede dell’Obra Cultural, e poi c’era un’altra bettola/vineria chiamata la Tavena dell’Aceto. Era un locale seminterrato in cui si scendevano due gradini e dove, a destra e a sinistra, si trovavano due lunghi sedili in muratura per i clienti.

Ma torniamo in via Roma e scendiamo verso via Maiorca. Ecco un’altra piazzetta sventramento. Ci viene ancora in aiuto Michele Chessa che racconta:

“…in questa casa, distrutta in tempo di guerra dalle bombe, c’era a piano terra un grande tinello per la vinificazione chiamato lu cup. Questo tinello possedeva tutte le apparecchiatura per vinificare: c’erano due grossi tini chiamati lus cuz, a forma di tronco di cono per pigiarvi l’uva. Poi c’era lu brascat, che serviva a pigiare l’uva con i piedi. Aveva la forma di una vasca, era di legno con il fondo a strisce distaccate per far passare il mosto, le bucce e i vinaccioli. Al centro ci stava un buco quadrato e uno sportello apribile che serviva ad eliminare completamente le vinacce chiamate la brisa. Sotto lus cuz ci stavano lus lacus, altri recipienti in legno, di forma allungata, che servivano per raccogliere il mosto scolato con la vinatura. Accanto a lus cuz ci stava il torchio con una grossa spirale in legno e la base in granito con un foro per la scolatura del mosto lu branzat. C’erano poi las pultaroras fatte in legno a forma troncoconica che servivano a trasportare l’uva appena vendemmiata. Ogni pultarora conteneva circa 20 chili d’uva. Due pultaroras facevano un barriu.

Las masinas erano dei barilotti e servivano a trasportare il mosto svinato dal cup alle botti in cantina, specialmente quando i due locali erano lontani. Ogni masina conteneva 25 litri di mosto, e quattro masinas facevano un caval de vi. Questa denominazione di caval nasce dal fatto che, una volta, il mosto con las masinas si portava a cavallo col basto. Il carico era di quattro masinas, due per parte, ovvero un caval.”

Attraversiamo via Maiorca e arriviamo a las Quatras Cantunaras. Lungo via Carlo Alberto, l’antico carrè Maggior, ci stavano altre mescite di vino: la tavena de cià Franzisca de Sella & Mosca e la tavena de Costa.

Tra vicolo Serra e via Columbano c’era la tavena de ciù Firiceta. Facciamo di nuovo parlare Michelino Chessa: “…era un seminterrato in cui ci stavano allineate quattro file di botti. Una tradizione algherese voleva che il vino, svinato dal cup, passasse nelle botti in cantina per la fermentazione lenta, dopo quella tumultuosa fatta nel cup. Finita la fermentazione lenta, il vino rimaneva nelle botti fino alla vendita. Qualche volta il vino si vendeva prima che finisse di fermentare e allora veniva chiamato lu pirizoru. Questo vino lo si beveva accompagnandolo con sardine arrosto. Gli “intenditori” dicevano che lu pirizoru con la saldina arrustu era la combinazione perfetta…”

Nello stesso incrocio c’era l’Associazione Ex Combattenti e Reduci, chiamata anch’essa “Circolo” come quello dei Marinai. Qui i veterani di guerra ricordavano le passate battaglie, tra un bicchiere e l’altro.

E sbuchiamo in piazza Civica. Passiamo davanti alla vecchia sede del Circolo Marinai, superiamo il palazzo Albis/De Ferrera ove soggiornò Carlo V, all’angolo del quale c’era il malfamatissimo bar Carlos Primero (ristrutturato poi da Gianvittorio, e oggi diventato un elegante Caffè).

Arriviamo infine in via della Minerva. In questa via c’erano numerose taverne e c’era anche la prima locanda di Alghero, attiva già a fine 800: il Leone d’Oro. C’era cià Grazieta, la bettola di cià Anita, e un’altra, verso via Columbano, dove si vendeva vino Sella & Mosca. In questa via ci stavano anche i fabbricanti delle botti per il vino. Erano uomini esperti, che lavoravano con maestria le doghe di quercia, proprio come i carpentieri del vicino Cantiere della Maddalena sagomavano il fasciame delle barche. E c’era anche un frantoio per l’olio.

ex tavena in via Minerva, vasca lavatoio

Di fronte al Leone d’Oro, resuscitato oggi come casa vacanze, c’è ancora l’insegna del mitico ristorante Uccio. Pochi passi e ci troviamo davanti all’attuale civico 20. E qui c’è davvero una inaspettata sorpresa. Ci viene incontro Nunzio Cilliano e ci apre un bel portone di legno antico. L’interno ci lascia stupiti. E’ un’antica tavena, rimasta perfettamente originale. Qui l’orologio del tempo si è davvero fermato, ed è possibile anche sapere quando. La tavena era gestita dal nonno, che si chiamava proprio Nunzio Cilliano. Il nonno muore nel 1959 e, incredibilmente, tutto è rimasto come allora. Una vera fotografia d’epoca. Si tratta, al solito, di un ambiente unico, diviso esattamente a metà da un largo bancone in legno. Il pavimento è in cemento rosso a buchettini. Le pareti sono blu carta zucchero. Il soffitto e di travi in legno ricoperte da tintura bianca per muro. All’ingresso, a sinistra una vasca tonda, in pietra e muratura, con stricaturo fisso per lavare i panni. Nunzio mi dice che serviva per la biancheria di tutto il palazzo. Mi immagino le donne chine a lavare i panni mentre gli avventori maschi bevono vino… dietro il bancone, un bagno alla turca con un piccolissimo lavandino in pietra, una scala, oggi chiusa, che accedeva al primo piano e lo spazio per le botti. Infine una giara che forse conteneva olive in salamoia. Qui in qualche modo, come nelle altre tavene, si cucinava. Spesso erano pentoloni di fave, ma probabilmente si preparava, con il pesce povero, anche la tipica zuppa di pesce algherese, da mangiare con le gallette.

Dagli anni ’50 del 900, queste caratteristiche tavene algheresi, eredità dei secoli precedenti, hanno dovuto fare i conti con una cittadina che si stava aprendo al turismo. Sono nati i primi eleganti Caffè, i primi ristoranti e i primi alberghi. Qualche tavena si trasformò in bar, ma il loro tempo era trascorso. Sono semplicemente sparite.

E anche quest’ultimo luogo fuori dal tempo, in via della Minerva 20, l’ultima tavena algherese, diventerà prima o poi un banale H24 o un negozietto di souvenir…

Giriamo a sinistra in via Columbano per raggiungere l’ultima tappa di questo giro semiserio.

A sinistra prima del locale dove c’erano le Poste, ed ora del Comune, ci stava la più famosa delle bettole algheresi: la Camera a Gas. Chiamata anche La Mancia, era gestita da Salvatore Ruju. Il Banco era stato disegnato da Gianvittorio, che qui in via Columbano aveva dei laboratori per la lavorazione del corallo.

Il posto era decisamente folcloristico. Si chiamava Camera a Gas perché, in mancanza di una cucina, erano state divelte alcune mattonelle del pavimento e sostituite con una griglia. Sotto si mettevano le braci per poter arrostire, sopra la griglia, sardine o altro. Si cucinava in mezzo alla stanza, ed era quindi il fumo delle sardine arrosto che ha finito per dare il nome al locale…

Ci lasciamo alle spalle il chiasso e il fumo della Camera a Gas e andiamo verso Porta Terra. Nominiamo soltanto ancora una bettola, dalle parti di vicolo Adami, che era gestita da Efisio Sigaretta.

Rientriamo ora al Circolo Marinai. Berto ed io abbiamo percorso poche centinaia di metri di viuzze, ma anche sessant’anni di storia minore locale. Storie mai raccontate di pesca, di amori, di barche, di sbronze e di feste. Storie che in qualche modo sopravvivono e tornano tra le parole e le melodie delle canzoni algheresi.

ex Associazione Marinai in piazza Civica, Mostra Marinara
ex Associazione Marinai in piazza Civica, Mostra Marinara
ex Associazione Marinai in piazza Civica, Mostra Marinara
ex Associazione Marinai in piazza Civica, Mostra Marinara
ex Associazione Marinai in piazza Civica, Mostra Marinara
Un monito, in olandese, per i bevitori. Annega più gente in un bicchiere che nell’oceano

P.S. Per i nomi e i luoghi citati, ho attinto dagli scritti di Michele Chessa e a quanto riferitomi dagli amici frequentatori dell’Associazione Marinai di Alghero. Ci saranno di sicuro inesattezze ed omissioni. Me ne scuso con il lettore.

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