Cultura del mare e la marineria ad Alghero

Il 4 novembre scorso, Storie di Alghero, insieme al Comitato per il Museo del Mare, Associazione Lo Frontuni, L’Omnium Cultural e altre, ha organizzato il convegno LA CULTURA DEL MARE E LA MARINERIA AD ALGHERO.

Ci si è posti la domanda: dove è finita la marineria algherese? E non è una domanda retorica. La storia culturale umana, lo sviluppo dei mestieri e la lingua parlata hanno sempre un legame stretto con i luoghi in cui le cose avvengono. Nel cuore di Alghero, tra i vicoli della città antica e dentro la cinta muraria, si è andato evolvendo per secoli, il particolare rapporto culturale ed economico tra gli algheresi ed il mare.

La conformazione urbana di Alghero, nata come base logistica per le rotte commerciali genovesi e presto diventata una chiusa fortezza militare catalano-aragonese,volutamente priva di un porto, ha forgiato la storia della marineria locale, ne ha specializzato i mestieri, dai maestri d’ascia ai fornitori di biscotto per gli equipaggi, ha evoluto la lingua in una parlata in uso ancora oggi, con i suoi tanti toponimi e con il particolare gergo dei pescatori. La pesca stessa, come poi avviene in tutto il Mediterraneo, si è dovuta adattare ai luoghi, alla conformazione costiera, alle specie vegetali del territorio (giunco del Calic per le nasse, palma nana per i cordami,…), ed alla infida meteorologia della Sardegna occidentale, con tempestosi inverni e traversie di libeccio e di maestrale.

Dove è finita la marineria algherese? Negli ultimi decenni del secolo scorso si è spezzato il rapporto storico tra la marineria locale ed i luoghi. La città vecchia non è più il luogo di residenza dei pescatori ed i vicoli non odorano più di zuppa di pesce o di frittura, la banchina di approdo non ha più gli scivoli di alaggio e le barche da pesca addossate ai bastioni, ļo scalo Tarantiello è vuoto, i sottani in cui erano ammassate le nasse e le reti sono ora ristoranti e negozi di chincaglierie, il forte della Maddalenetta non ospita più l’arsenale ed i maestri d’ascia, piazza Civica non è più il luogo del dopolavoro dei pescatori e le chiese del Rosario e di Santa Chiara non sono più le loro chiese, ed oggi sono addirittura sconsacrate.

Eppure, ed è questo il paradosso, i pescatori locali esistono ancora e sono attivi con un centinaio di imbarcazioni, ancora tradizionali in legno. Esiste una forte tradizione di pesca da diporto. Esiste una cantieristica tradizionale, traferita addirittura in regione San Marco, lontanissima dall’area portuale.

I luoghi, insomma, si sono separati dalla loro storia. Via Sant’Erasmo (il santo protettore dei marinai) e che, non a caso, era una volta la via più importante della città (conduceva dall’ingresso a mare alla cattedrale), oggi non ha più un pescatore. E la Madonna in bronzo, Stella Maris, posta sulla torre di Sant’Elmo (sempre Sant’Erasmo), sorveglia dal 1954 un porto privo di anima diventato un commercio di pontili e un grande parcheggio di barche di plastica.

Eppure la storia della marineria locale è importante ed antichissima. Già tremila anni fa, a Porto Conte, sul finire dell’età del Bronzo, esisteva un fiorente commercio di metalli, vino ed altri prodotti della Nurra. Navi da carico arrivavano e partivano da quello che, a detta degli archeologi, era il primo insediamento commerciale costiero dell’intero Mediterraneo occidentale: Sant’Imbenia.

Nei lunghi secoli seguenti il mare di Alghero, avamposto costiero ligure, diventerà il più importante luogo, nel mondo, per la pesca del corallo rosso. Durante la dominazione catalano-aragonese centinaia di barche coralline operavano, durante la bella stagione, tra Capo Caccia del il Sinis. Ed una tale presenza di imbarcazioni, unita alla sporadica presenza di navi da guerra, richiedeva, quanto meno, la presenza di una cantieristica locale per le piccole riparazione e la produzione  di gallette per gli equipaggi.

In tempi più recenti, si sviluppò anche la pesca all’aragosta, e la marineria algherese, aiutata dalle conoscenze nautiche di importazione campana, si specializzò nella costruzione di gozzi e spagnolette. I pescatori partivano dall’insicuro approdo algherese per operare lungo tutta la costa occidentale della Sardegna. E d’inverno le barche a vela, tirate a secco, erano parte del paesaggio cittadino: lungo le banchine, in piazza civica e nello scalo Tarantiello. Mentre nei sottani del centro storico si accumulavano le reti e le nasse. Il mare di Alghero, durante l’inverno era troppo infido per poter operare, ma anche nel periodo estivo non mancavano le improvvise tempeste. Ed allora ci si affidava alla Madonna di Valverde, alla Stella Maris, e alle Madonnine di Porto Salve e di Capo Caccia. E proprio sull’effige di quest’ultima si legge la scritta: Benedite e pregate per gli ardimentosi navigatori.

Ma, ci chiediamo ancora, dove è finita ora la marineria algherese? Dove sono finiti gli ardimentosi navigatori? E dove è finita la cantieristica tradizionale? E’ stato forse tutto spazzato via in nome del progresso e di una città che cambia e che deve mostrare un nuovo volto turistico?

I luoghi dove stavano le barche servono ora per i passeggio, e la banchina antica del perto serve per i concerti rock e per le sfilate delle macchine da corsa.

Il convegno, che si è inserito nell’annuale festeggiamento per la Madonna del Frontuni (con, il primo ottobre scorso, la tradizionale processione a mare delle barche dal porto di Alghero fino a Capo Caccia) ha cercato di dare delle risposte.

Tra gli intervenuti: Tonino Budruni (con un interessante quadro storico della religiosità marinara nel periodo catalano), Luciano Deriu (con una inedita descrizione del periodo in cui, a fine 300, la marineria algherese fu contretta per fame a darsi alla pirateria), Giuseppina Pascalis (che ha descritto la sua teai di laurea sul gergo dei pescatori), Sandro Alfonso (che ha proiettato foto d’epoca di barche e pescatori algheresi), Carlo Catardi (che ha trattato il tema delli tanti napoletani arrivati ad Alghero per la pesca o per la costruzione di barche), Luca Feniello (che ha portato testimonianze del nonno, il maestro d’ascia Giuseppino Feniello), Giovanni e Gavino Delrio (testimonianze dirette delle attuali problematiche della pesca professionale in mare ed in laguna). Infine Antonello Bilardi ha dialogato con l’ultimo maestro d’Ascia locale in attività, Michele Iavazzo.

Ha coordinato Roberto Barbieri. Le conclusioni sono state affidate all’architetto Tore Frulio.

Roberto Barbieri

Foto raccolte da Sandro Alfonso

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Foto raccolte da Sandro Alfonso
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Foto raccolte da Sandro Alfonso
Foto raccolte da Sandro Alfonso
Foto raccolte da Sandro Alfonso
Foto raccolte da Sandro Alfonso

 

La cultura del mare e la marineria ad Alghero

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