Vincenzo Sulis, L’uomo della torre di Alghero

L’uomo della torre di Alghero

di Roberto Barbieri

Ad Alghero, nelle sere d’estate, i turisti passeggiano lungo i bastioni e passando sotto la grande torre sul mare qualcuno si chiede perché si chiami Torre Sulis. Chi sa chi era mai, questo Sulis…

E’ difficile raccontare in poche righe un personaggio da romanzo come Vincenzo Sulis. Figlio povero della Sardegna settecentesca, Sulis è stato molte cose insieme. Una testa calda, un avventuriero, un balente, un capopopolo, un tribuno, un uomo d’azione. E’ stato il difensore di Cagliari durante il tentativo di conquista francese e colui che, dopo la cacciata dei piemontesi, aveva in mano le sorti della Sardegna. E’ stato l’uomo che ha letteralmente salvato dalla polvere i Savoia e la loro gretta monarchia, ricevendo come ricompensa un durissimo carcere a vita. Sulis diventa quindi un ergastolano di stato ma, duro a morire, vede, nel corso della sua travagliata vita, il passaggio di ben sei re di Sardegna e trova anche il tempo di regalare ai posteri le sue memorie.
Ma soprattutto Sulis è stato uomo d’onore, fedele alla parola data ed alla sardità, ingenuo e semplice come solo i grandi sardi sanno essere, e, lontano dalle idee rivoluzionarie che stanno nascendo in Europa, finirà per essere schiacciato da una casa reale oscurantista e feroce, vittima di persone false e meschine.

Nasce, figlio del popolo, nel rione cagliaritano di Villanova, in una casa non lontano dalla via che oggi prende il suo nome. E’ re di Sardegna Carlo Emanuele III, quello che concesse ai tabarkini di insediarsi a Carloforte, ma anche quello che cacciò gli abitanti dell’Asinara per affidarla a due imbroglioni francesi.

Carlo Emanuele III (foto web)

Il giovane Sulis frequenta cattive amicizie e si guadagna da vivere facendo traffici loschi. Ha mille avventure, come quando, sorpreso dagli sbirri mentre traffica in tabacco, viene inseguito tra le vie del Castello sino a Santa Croce. E pur di non farsi catturare non esita a buttarsi giù dal bastione. Poi, rimasto incolume, fugge nei vicoli di Stampace.
Poi gli viene l’idea di “chiedere”, armi in pugno, ad un signore benestante di farlo diventare il suo uomo di fiducia. Come un bravo di manzoniana memoria, assolve bene il suo compito e quando questi muore, trova un altro “padrone” che gli affida il controllo della peschiera di Santa Gilla. Ma non vuole essere solo un avventuriero e trova il tempo di studiare per diventare notaio. Ora ha 35 anni, è ricco, ha una posizione rispettabile, una moglie giovane e bella ed una vita diventata, suo malgrado, tranquilla.
Ma poi, siamo all’inizio del 1793, accade qualcosa. Arrivano davanti alle coste di Cagliari decine di navi da guerra della flotta francese. Le comanda un uomo di valore, il contrammiraglio Laurent Truguet. La Francia, fresca di Rivoluzione, sta attuando una politica espansionistica e, già proprietaria della Corsica, pensa che la Sardegna sia un buon obiettivo strategico. Ma l’attacco avviene senza convinzione e con una flotta ridotta perché molte navi andranno a Carloforte (che verrà conquistata dando vita a pochi mesi di repubblica) ed alla Maddalena (dove l’attacco sarà respinto grazie anche alle storiche imprese dei Millelire e di Zonza).
Nel gennaio del 1973 le navi francesi bombardano Cagliari e si apprestano a sbarcare i soldati, mentre gli ufficiali piemontesi non preparano nemmeno la difesa, dando già la città per perduta. E’ intanto re, l’inetto ed incapace Vittorio Amedeo III. Come i suoi predecessori, che hanno il titolo di re grazie proprio alla Sardegna, governa l’Isola tramite un vicerè. Preferisce la dorata reggia torinese alla primitiva terra sarda. Preferisce i salotti dorati ed anche la camera da letto, visto che avrà 12 figli. Gli avvenimenti sardi lo interessano poco.

Vittorio Amedeo III (foto web)

Ma Sulis non ci sta e organizza la difesa della città per conto suo, anche perché corre voce che i francesi tagliano teste, uccidono i preti e violentano le donne. Recluta, tra Cagliari e dintorni, una milizia popolare fatta di giovani con cavallo e moschetto. E provvede alle necessità del “suo esercito” anche con le proprie personali risorse. Lo organizza per quanto può e gli infonde il coraggio necessario per contrastare il nemico.
E, se da una parte, gli uomini di Truguet pensavano di trovare i sardi pronti a condividere festanti gli ideali della Rivoluzione, dall’altra Sulis è fermamente intenzionato a contrastarne lo sbarco.
Le azioni militari francesi sono comunque goffe e improvvisate, mentre Sulis si dimostra un buon organizzatore ed un buon comandante. Soprattutto riesce a respingere lo sbarco nel litorale di Quartu la notte del 13 febbraio 1793.
Alla fine, complice anche l’arrivo di una mareggiata, la flotta francese desiste e si allontana.

Flotta francese schierata di fronte alle coste cagliaritane (foto web)

Sulis, in questo nuovo capitolo del romanzo della sua vita, diventa un eroe, il salvatore di Cagliari e della Sardegna intera. Gli viene affidato il comando delle forze militari dell’Isola e grazie al suo prestigio ed ascendente sul popolo, ha di fatto in mano i destini dell’Isola. Sull’onda della vittoria, si decide di chiedere al re alcune blande concessioni libertarie, ma il re rifiuta. Si arriva quindi nell’aprile del 1794, alla famosa cacciata dei piemontesi da Cagliari.
Intanto gli avvenimenti incalzano anche fuori dalla Sardegna. Nella primavera di due anni dopo, il giovane Napoleone conquista il Piemonte ed annette alla Francia la Savoia e Nizza. E’ la fine dei Savoia, costretti a mendicare ospitalità in Emilia e in Toscana.
I francesi, inoltre, non rinunciano all’idea di conquistare la Sardegna. Infatti il generale Caulaincourt invia una lettera a Sulis, proponendogli danaro, gloria ed il governatorato se consegnerà l’Isola alla Francia.

Ritratto di Vincenso Sulis (foto web)

Ma Sulis, che non ha ambizioni politiche, e che si sente fedele alla monarchia, rifiuta. Anzi prende una decisione che cambierà per sempre il destino della Sardegna e persino quello della futura Italia.
Una decisione che gli causerà anche indicibili sofferenze personali. Prende la decisione di consentire al nuovo re Carlo Emanuele IV, diventato esule e pezzente, di rifugiarsi a Cagliari nel suo ex regno. Gli organizza un arrivo in sicurezza e si preoccupa addirittura di fagli trovare un palazzo viceregio arredato ed accogliente. E’ il 3 marzo del 1799.

Carlo Emanuele IV. Per questo personaggio insulso, Sulis rinuncia a diventare Governatore dell’Isola e si farà venti anni di prigionia nella torre

Sulis è servile, fiducioso della sua buona fede e delle amicizie di cui non dubita, in particolare con il viscido Duca d’Austa (Aosta), che subentrerà come re al fratello, nel 1802, col nome di Vittorio Emanuele I.

Vittorio Emanuele I, Duca d’Aosta al tempo dell’arresto di Sulis (foto web)

A lui mostra la lettera del generale di Napoleone, pensando di confermare, se mai ce ne fosse bisogno, la sua onesta e totale fedeltà. Ma ai Savoia, quest’uomo onesto e di parola, trascinatore di folle e capo di una milizia, non può che far paura. Gli propongono un consolato a Smirne, in Turchia, ed intanto gli fanno arrestare i suoi fidati amici, sottocomandanti della milizia. Sulis non capisce il senso della proposta e rifiuta la scappatoia offerta. Agli occhi dei Savoia, quest’uomo che gode di grande prestigio, questo trascinatore di folle, non può che essere un pericolo. Potrebbe ributtarli in mare in ogni momento, proprio come ha fatto con i 4000 soldati francesi sbarcati al Poetto. Gli inganni ed i raggiri di cui i Savoia sono maestri fanno il loro gioco. E quando infine Sulis si rende conto di che razza sono fatti i Savoia e fiuta il pericolo, è troppo tardi. Tenta una rocambolesca fuga notturna via mare, ma viene tradito per danaro da un suo cognato. Viene quindi arrestato, rinchiuso nella Torre dell’Aquila, e gli si organizza un processo farsa con un verdetto scontato: la pena di morte. Però Sulis, anche se prigioniero, è pur sempre un capopopolo, e quindi, per paura delle eventuali conseguenze di una pena capitale, alla fine gli viene inflitto il carcere perpetuo da scontarsi nella lontana Alghero, dentro la Torre dello Sperone. Sono passati solo pochi mesi dall’arrivo del re a Cagliari.

Foto storica della Torre dello Sperone (foto web)

Dopo un viaggio per mare di due settimane, scortato da un mezzo esercito, entra ad Alghero il 5 maggio del 1800. E qui inizia un altro capitolo nel romanzo della vita di Sulis.
La grande torre è buia e tetra come una tomba. L’ingresso era diverso dall’attuale, e si accedeva da una scala in pietra chiusa da quattro porte. Ad una certa altezza c’era un ballatoio in legno, si vedono ancora oggi i fori di sostegno sul muro.

Interno della torre dove sono visibili i fori delle travi del ballatoio

Sulis rimane rinchiuso li, in condizioni disumane, per più di vent’anni. Ma tenterà di scappare due volte. La prima volta taglia le sbarre nel foro del soffitto, a otto metri di altezza, ma viene tradito dalle guardie che hanno fatto finta di assecondarlo solo per prendergli dei soldi. La seconda volta ci riesce. Dimostrando una forza di volontà fuori dal comune, finge di essere paralizzato. Sopporta senza fiatare ogni tentativo dei medici di verificare l’assenza di reazione con spilloni nelle carni e candele accese. E quando viene trasferito a Sassari, complice un fratello, fugge verso la Corsica. Ma, dopo che minacciano di arrestare e decapitare tutti i suoi parenti, si riconsegna spontaneamente.

Lucernaio della torre, la via di fuga di Vincenzo Sulis

Esce dalla Torre dello Sperone, in un tripudio di folla algherese, il 24 luglio del 1820, giorno del compleanno del suo “amico” Vittorio Emanuele I, che finalmente gli concede la grazia.
Rimane un po’ di mesi ad Alghero e cerca di rifarsi una vita. E’ difficile perché i suoi beni sono stati sequestrati, gli amici perduti, ed anche la bella moglie gli è stata portata via da qualcuno durante la prigionia.
Però Sulis non è tipo da arrendersi, ed inizia a commerciare in granaglie. Ma passano solo pochi mesi ed arriva il 1821, anno di moti libertari. Ad Alghero, luogo di fame e miseria, nel marzo di quell’anno ci sono i moti del pane. La folla inferocita uccide barbaramente un fornaio e sua figlia. La repressione delle autorità è durissima. Oltre a secoli di carcere ci saranno una quindicina di impiccagioni. E’ adesso re Carlo Felice, altro fratello di Vittorio Emanuele I, che era vicerè di Sardegna dal 1802. Sulis, da poco uscito dalla torre, viene sospettato di essere l’istigatore occulto dei moti del pane. Ma, dopo un processo, appare evidente la sua estraneità. Non verrà però lasciato libero. Per il nuovo re, gretto e sanguinario, Sulis è ancora un pericolo.

Siamo al penultimo capitolo del romanzo della vita di Sulis. Viene condannato al confino perpetuo nell’isola della Maddalena. Trascorre alcuni mesi nei terribili sotterranei della Guardia Vecchia, ed infine viene lasciato libero. E’ ormai anziano e senza risorse. Vive in una casupola in una piccola via che oggi porta il suo nome. Eppure la gente si ricorda di lui e lo va a trovare. Conosce anche i fratelli Domenico e Agostino Leoni, noti Millelire, che per aver difeso La Maddalena dai francesi ricevettero, nell’aprile del 1793, le prime medaglie d’oro delle Forze Armate del futuro Regno d’Italia.
Poi, un giorno (siamo nel 1829), sbarca nell’isola il letterato sassarese Pasquale Tola. La sosta è casuale, dovuta a una tempesta che costringe il vascello che sta andando da Porto Torres a Genova a rifugiarsi alla Maddalena. I due si incontrano e Tola propone a Sulis di scrivere le sue memorie. La cosa è difficile e pure vietata dalle autorità. Sulis non può neppure “detenere” carta, penna e inchiostro. Ma forse il vecchio capopopolo, quasi ottantenne, vede in queste sue memorie il riscatto, tanto aspettato, di un’intera vita e si mette al lavoro.
Scrive di notte, alla luce di una candela, e manda al Tola un capitolo alla volta per paura che i fogli si possano perdere durante il viaggio. Infine l’opera è compiuta.
Sulis è vecchio, ma sopravvive a Carlo Felice ed al ramo dei Savoia. E’ ora re Carlo Alberto Carignano.

Vincenzo Sulis anziano, nel ritratto commissionato da Pasquale Tola

Il 13 febbraio 1834 (anniversario dello sbarco francese a Cagliari) Sulis muore alla Maddalena. Non ha nemmeno una tomba. I suoi resti finiranno mischiati in un Ossario.
Per un gioco del destino, proprio in quegli stessi giorni il giovane marinaio Garibaldi, infilatosi nei moti libertari di Genova, riceve una condanna a morte da Carlo Alberto. Garibaldi sognerà tutta la vita un’Italia repubblicana e finirà per riposare in una tomba di granito a poche centinaia di metri dall’Ossario di Sulis.

Ma c’è un ultimo capitolo del romanzo. L’autobiografia di Sulis.
Pasquale Tola non troverà mai il coraggio di pubblicare il manoscritto avuto da Sulis. I tempi sono duri, l’Europa è in fermento ed i Savoia sono lugubri e sanguinari. Il giovane Efisio Tola, fratello di Pasquale, viene fucilato senza complimenti nel 1833, perché sospettato di essere mazziniano e perché deteneva in casa “libri sediziosi”.
Nel 1874 muore anche Pasquale Tola e il manoscritto viaggia nel tempo. Nell’estate del 1943 passa per la Maddalena, pure lui prigioniero del re, Benito Mussolini. Ed il re stesso, Vittorio Emanuele III, stavolta nella vera agonia del regno, si prepara a sbarcare alla Maddalena. Cambierà idea all’ultimo momento.
Infine, dopo un lungo sonno ed un viaggio nel tempo di 160 anni, le memorie di Vincenzo Sulis, scritte da lui medesimo, vengono pubblicate (Cagliari, 1994).

E’ strano che la Sardegna non abbia dedicato mai nulla a questo singolare e sfortunato personaggio. Non un film, non un Museo e nemmeno una Mostra sulla sua vita. Ma forse il suo romanzo non è ancora finito.

Intanto, da sardi, qualcosa possiamo fare.
Possiamo conferirgli simbolicamente, a 225 anni dai fatti, quella prima Medaglia d’Oro del Regno di Sardegna che a Sulis è stata negata, e conferita invece (meritata, ma per fatti avvenuti vari giorni dopo) ai fratelli Millelire.

Medaglia d’Oro al Valor Militare a Vincenzo Sulis,
per aver efficacemente e coraggiosamente difeso
la città di Cagliari e la Sardegna tutta
dalle navi e dall’esercito francese.
13 febbraio 1793

Ed ora che abbiamo simbolicamente riparato ad un torto storico di 225 anni fa, un’ultima considerazione: c’è da chiedersi cosa sarebbe successo se Vincenzo Sulis avesse avuto un maggior spirito indipendentista, un po’ come Pasqual Paoli, o avesse sostenuto le idee angioiane e lo spirito libertario figlio della Rivoluzione francese. La Sardegna, dopo secoli di dominazione aragonese-spagnola, era finita nelle grinfie della becera monarchia sabauda, ma Sulis aveva in pugno quell’imbelle re che poi l’ha fatto rinchiudere nella torre. Il popolo lo ascoltava, e avrebbe potuto traghettare la Sardegna verso un nuovo secolo e forse verso una forma di indipendentismo. Non possiamo saperlo. Sappiamo solo che i Savoia rimarranno al potere nel futuro Regno d’Italia, da quel giorno del 1799, per un altro secolo e mezzo.

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