Novembre 1942: tragedia nel mare di Alghero

di Antonello Bilardi e Nino Monti

Fin da tempo immemorabile i pescatori algheresi, allora molto numerosi, esercitavano la pesca con imbarcazioni di piccola stazza: normalmente  gozzi e  spagnolette  armate a vela latina che richiedevano una particolare abilità nelle manovre e un grande affiatamento da parte dell’equipaggio.

La pesca veniva praticata in parte con le reti dai cosiddetti razzaioli, in parte con le nasse (nassaioli), altri con i palamiti ( palanguisaros) e in minima parte con le lenze.

In certi periodi dell’anno, durante la fase di accoppiamento (lu muntuni) non pochi facevano mattanza di pesci con mezzi non propriamente leciti (utilizzo di esplosivi).

Tra tutte le imbarcazioni, faceva mostra di se la spagnoletta del comandante Efisio Bradi, pescatore abile, abituato, come molti altri, ad affrontare il mare anche in condizioni difficili per la necessità di procurare il cibo per il vivere quotidiano.

 Così avvenne nel mese di novembre del 1942 quando Efisio Bradi e il suo equipaggio, composto da  Francesco Fiori e Antonino Pinna (noto mengia peuss), decisero di  recarsi in un’area di pesca conosciuta  dagli algheresi come lo scoglio del  mangagliò ed ivi  salpare le nasse.

All’alba, Francesco Fiori  ed Efisio Bradi si recarono nell’abitazione dell’altro membro dell’equipaggio che abitava in lo quarter. Il caso ha voluto che Antonino, la sera prima avesse fatto abbondante uso di vino novello (lu pirinzolu) i cui effetti, purtroppo, non erano stati ancora smaltiti.

Era la condizione di molti pescatori che durante le serate invernali, trascorrevano le serate nelle taverne, allora numerose, del centro storico.

 Tra le tante  la più frequentata era quella della famiglia Peretti (l’attuale Refettorio) gestita da una donna, la Sagnora Antonietta la tavanera.

La bettola, oltre che da pescatori, era frequentata da contadini e pastori e da un personaggio spassoso e simpatico (noto Troiani) che abitava a Sassari ma tutti i giorni prendeva il treno, la famosa littorina, per gustare il vino novello prodotto dalla famiglia Peretti.

Il signor Troiani era molto abile nel cantare e suonare la batteria. Usava come strumento musicale una botte che tambureggiava con le nocche delle mani e utilizzava come cassa armonica la bocca. E’ in questo divertente contesto che Antonino, intrattenutosi nella taverna oltre il dovuto e avendo esagerato col pirinzolu, quella mattina non era in condizioni di andare in barca.

Non essendo possibile, per motivi di sicurezza, governare la spagnoletta con due soli membri dell’equipaggio il comandante ritornò a casa sua per svegliare il figlio Giuseppe, appena quindicenne, per completare così l’equipaggio.

 La spagnoletta, sospinta da una leggera brezza di grecale, giunse in breve tempo in prossimità del pedagno dove erano state posizionate le nasse. Essendo ancora buio il comandante dette l’ordine all’equipaggio di fare silenzio. Il pedagno (olza) era costituito da un pezzo di sughero sopra il quale veniva attaccata  una bottiglia di vetro all’esterno della quale venivano legati dei piombi che col moto ondoso tintinnavo e segnalavano la presenza delle nasse. Detto strumento era chiama lo tintinnu, strumento semplice e geniale.

Mentre erano intenti a salpare le nasse il comandante Efisio si accorse che da libeccio avanzava un turbinio di  nuvole carico di pioggia sospinto da un forte vento (bafonya). Quando la burrasca raggiunse l’imbarcazione, allarmati,  i pescatori cercarono riparo vicino alla costa e in questo tentativo, per effetto di un’onda anomala generata da questa violentissima e improvvisa burrasca, l’imbarcazione si rovesciò procurando una letale ferita a Francesco che si vide cadere addosso l’albero maestro della barca.

 Quando scoppiavano questi temuti  temporali le famiglie dei pescatori, allarmate, correvano al porto in attesa dei loro cari.

Dopo tanta attesa i familiari di Efisio, Giuseppe e Francesco  si resero conto che mancava la loro l’imbarcazione. Allarmati si recarono in capitaneria di porto  dal capo Lobrano e presso la locale stazione dei carabinieri comandata dal maresciallo Baita, uomo imponente e piuttosto severo. Finita la tempesta i marinai della capitaneria si recarono con un proprio mezzo presso lo scoglio dove fu rinvenuta l’imbarcazione rovesciata con il comandante Efisio e il figlio Giuseppe aggrappati all’imbarcazione in attesa di soccorso.

Di Francesco nessuna traccia. Passati diversi giorni un corpo, quasi irriconoscibile,  fu rinvenuto nel golfo. I familiari, che ritennero di riconoscere in quel corpo il povero Francesco, chiesero che venisse consegnata  la salma per dargli una degna sepoltura.

 La autorità di allora non avendo elementi validi per un riconoscimento certo si rifiutarono di attribuirlo al povero pescatore con la discutibile motivazione che  essendo in corso la guerra era frequente il ritrovamento in mare di  cadaveri di persone decedute a seguito  da scontri tra navi militari e bombardamenti aerei.

Una triste storia dove un bicchiere di troppo ha evitato a Antonino di essere presente in un tragico naufragio  dove avrebbe potuto perdere la vita e la tragica fine di Francesco cui un destino crudele non ha riservato la stessa fortuna.

Francesco Fiori
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