Sant’Antonio Abate

di Giovanna Tilocca

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LA CHIESA E L’OSPEDALE DI ALGHERO

Ben pochi algheresi sanno che ad Alghero in via Cavour esisteva un antico ospedale attiguo ad una chiesa. Passando per la strada non si nota alcun segno evidente che possa darci delle informazioni e allora dobbiamo riferirci a vecchi documenti e a testimonianze.

Nel Carrer de Sant’Antoni (Via Cavour) nel punto in cui la via incrocia il Carrer de la Rora si trovava la prima chiesa edificata ad Alghero che nel periodo genovese era intitolata a Santo Stefano1 e che aveva preso la denominazione di Sant’Antonio abate nel 1400, con l’arrivo dei Catalano-Aragonesi.

Il nuovo appellativo indica la presenza di un ospedale dato che il santo è sempre abbinato ad una struttura ospedaliera. Possiamo dunque affermare che i locali adiacenti alla chiesa sono la sede documentata del primo ospedale di Alghero.

Sulla facciata prospiciente i Bastioni è presente una nicchia con la statuina di S. Antonio Abate accompagnato da un maialetto. La statuina viene rimossa nel periodo invernale.

Statuina di sant’Antonio abate (Foto 9 giugno 2014)
Facciata di sant’Antonio abate (Foto 26 febbraio 2018)

Sappiamo che la facciata della chiesa, d’ispirazione neoclassica, è stata rifatta nell’Ottocento. Le quattro lesene ancora ben individuabili terminano in una linea marcapiano che taglia la costruzione al di sopra del primo piano. Le pietre di arenaria usate per la costruzione non sono regolari e la facciata era intonacata.

1) In un documento del 1720 è citato “lo carrer del Sant Antoni eo de Sant Esteva” - Budruni, Storia di Alghero. Il Settecento, Edizioni del Sole, Alghero, 2010, p. 68.

Scendendo per la Via Cavour, sulla sinistra della chiesa si vede un edificio più basso dove si trovava l’ospedale.2

Vecchio ospedale, oggi sede della Società di Mutuo Soccorso (Foto 10 gennaio 2013)

Il canonico Antonio Michele Urgias riferisce che nel 1637 l’Ospedale di S. Antonio Abate «era diretto da sacerdoti secolari a carico del Magistrato Civico».3

Nel 1640 la struttura viene affidata ai religiosi dell’ordine di San Giovanni di Dio, i Fatebenefratelli, con l’incarico di sostenere oltre gli ammalati, quasi sempre cronici e derelitti, gli illegittimi e gli infermi mentali.

Nell’Archivio di Stato di Cagliari si trova una copia completa della Convenzione tra l’Ordine ed i «nobili e magnifici Giurati della città di Alghero del Regno di Sardegna» stilata il 15 giugno 1640.

Dai documenti si apprende che il 31 marzo 1640 il Consiglio di Alghero delibera di concedere l’ospedale esistente ai Fatebenefratelli.

Nel primo articolo si afferma che il Consiglio generale di Alghero, col consenso del vescovo e di tutti gli Ordini religiosi presenti in città concede ai Fatebenefratelli «il governo perpetuo di detto ospedale, senza alcuna soggezione, dominio o sovrintendenza che possa essere in pregiudizio della detta Religione, promettendo che all’arrivo dei Religiosi che saranno inviati per detto governo, saranno loro consegnati per inventario tutti i mobili, suppellettili, paramenti, vasi sacri e tutte le altre cose spettanti all’uso e al servizio dell’ospedale, come si troveranno allora, senza nessuna eccezione, né detenzione di alcuna di esse».4

DESCRIZIONE

Il Priore frate Giovanbattista Kalb nel 1837 compila un inventario e fa una dettagliata descrizione dell’ospedale conservata nell’Archivio Generale dell’Ordine – Provincia di Sardegna.

«All’ingresso si trova un cancello di legno, e subito si accede ad un grande salone con tre finestre coi loro vetri, corredate da scuri di legno e ferri. Vi si trovano sei letti di ferro con le loro tavole vecchissime, sei sacconi, e tre materassi, sei coperte dette coltri, e sei tavolette per comodo degl’infermi, un banco a spagliera vecchio, la cisterna con serratura e chiave, un altare intonacato di gesso, un Crocifisso grande con tendina di teletta, un quadro dell’Arcangelo S. Raffaele, un tavolino, un guardaroba con serrature e chiave, dentro del quale vi esistono sette paja (di) lenzuoli, otto camicie di tela rozza, una cassetta contenente due abbiti (sic) del Santo patriarca (Giovanni di Dio), lo stendardo di legno colla bandiera per seppellire i morti».

1) In un documento del 1720 è citato “lo carrer del Sant Antoni eo de Sant Esteva” - A. Budruni, Storia di Alghero. Il Settecento, Edizioni del Sole, Alghero, 2010, p. 68
2) Deriu – R. Barbieri, Alghero e dintorni, Itinerari tra storia e natura, Alghero 1998, p. 62.
3) Serra, Le cappelle della cattedrale di Alghero nelle fonti archivistiche, in Revista de l'Alguer , p. 81 Cfr. http://revistes.iec.cat/index.php/RdA/article/viewFile/35790/35781
4) G. Russotto, I Fatebenefratelli in Sardegna, 1956, pp. 189-190

«Spedale delle donne. – Si trovano tre letti con piedi di legno, e tavole molto vecchie, uno composto di saccone e materasso, gli altri con saccone solo, un guanciale, due coperte di lana e due lenzuoli, una cassa vecchia. In questa stanza vi è una finestra di legno nuova; da questa stanza si passa al coro, ove vi è una porta con serratura e chiave; da questa stanza finalmente si passa al campanile per una scala di legno col suo paramano similmente di legno nuovo; nel campanile vi esistono due campane: una grande ed una piccola».5

Cupola ottocentesca di Sant’Antonio abate in una cartolina del 1930

Nell’Inventario del 1837 è descritta anche la chiesa.

«La chiesa aveva tre altari. L’altare maggiore era composto di quattro colonne, mensa e gradini, tutto intonacato a gesso color marmo. In una nicchia si trovava la statua di Sant’Antonio con diadema d’argento. Il secondo altare era dedicato a San Giovanni di Dio raffigurato in un grande quadro, e un altro altare era quello dell’Arcangelo San Raffaele, anch’egli raffigurato in un quadro.»

La chiesa era stata ampliata pochi anni prima dal p. Giuseppe Arimondi, quando ricopriva la carica di Priore in Alghero, spendendo 370 scudi.

Nell’archivio dell’ospedale si conservava il contratto dei lavori datato 29 aprile 1824. I lavori da eseguire erano: demolizione e ricostruzione della facciata in modo da fare il coro «tra il rimanente della vecchia facciata e la nuova», costruzione della volta a cupola, chiusura di una porta della sacristia ed apertura di una finestra per la luce; apertura di una porta di comunicazione tra il reparto femminile ed il coro; costruzione di una scala per scendere in chiesa.6

LA FESTA

Ad Alghero nel giorno della festività di S. Antonio Abate, la via Cavour diventava un centro di divertimento popolare. Dopo le funzioni religiose svolte nella chiesa, sulla strada tutta festonata, si celebrava una cerimonia con cui si rinnovava la benedizione degli animali. Cavalli, buoi, vacche, pecore, capre … venivano benedette mentre si eseguivano canzoni algheresi e canti sacri. Le bestie erano lasciate libere di correre tra la folla festante, ma il divertimento per loro durava poco perché erano destinate ad essere macellate e distribuite ai poveri della città il giorno dopo la festa.7

5) Russotto, I Fatebenefratelli in Sardegna,1956, pp. 195-196. 
6) Ivi, p. 197.
7) Chessa, Racconti Algheresi, La Celere, Alghero, 1976, Vol I, p. 8.

Qualcuno ricorda ancora una cantilena che si ripeteva ai bambini della quale riporto una strofa.

Sant’Antoni baglia baglia

n’ès calgut de la muraglia la muraglia

del bastiò Sant’Antoni bagliarò

Sembra che la filastrocca sia nata in seguito ad un curioso episodio: nelle processioni che si svolgevano ai Bastioni durante i festeggiamenti di gennaio la statua di Sant’Antonio veniva portata in modo da farla “ballare”. Un giorno, a causa di un ballo un po’ troppo vivace, il simulacro è caduto giù dalle mura. Gli algheresi hanno colto subito l’occasione per mettere in versi l’evento.

Alghero ha perso la memoria di questa antica festa che è stata ripresa nella borgata di Gutierrez dove si trova la chiesetta di sant’Antonio abate e dove nel periodo pre-covid si accendevano grandi fuochi.

Borgata di Gutierrez: chiesa di sant’Antonio abate (Google Heart 15 giugno 2022)

Un articolo del quotidiano Nuova Sardegna del 18 gennaio 2018, firmato da Sergio Ortu, parla della festa e nella chiusura ci dà alcune notizie sulla chiesa.

Come ricordano gli abitanti più anziani della zona, la chiesetta è stata realizzata intorno al 1934 e oggi viene aperta solo per la ricorrenza del santo, per la mancanza di sacerdoti, ma è attivissimo un comitato di abitanti della zona che tiene vivo il rito dell’obriere che si occupa della festa religiosa e della gestione della chiesetta. La chiesa ricade sotto il governo della parrocchia di Fertilia8

In alcuni centri della Sardegna il culto di sant’Antonio abate è molto sentito e vi sono paesi nei quali la preparazione dei fuochi della notte tra il 16 e 17 gennaio impegna molte persone per diverso tempo. Infatti da un luogo all’altro cambia il tipo di legna impiegato e la forma che si dà alla catasta. A Torpè, un centro lontano dalla costa, le essenze mediterranee come il cisto, il rosmarino, ed altri arbusti vengono messi insieme a forma di nave alta fino a 8 metri che è poi completata da una croce realizzata con arance. Ad Olzai si erge un maestoso albero alto e sottile che viene decorato con una coroncina. Nel 2022, nonostante il problema covid, nel paese non si è rinunciato all’accensione del fuoco che è avvenuta quasi in sordina per rispettare le norme sanitarie. Si è così rinnovata la fede nel santo protettore, temendo che forse non avrebbe capito le motivazioni covid.

In altre zone si utilizza un tronco cavo scelto con cura nel periodo precedente la festa. Si riempie la cavità con pezzetti di legno e si accende il fuoco soltanto all’interno. In tal modo si ricorda che Sant’Antonio è sceso nell’inferno ed è riuscito a rubare il fuoco ai diavoli per darlo agli uomini nascondendolo dentro un bastone di ferula. Ci sono altri luoghi dove si fanno delle semplici cataste. L’importante è che nella notte tra il 16 e il 17 gennaio alte fiamme si alzino verso il cielo per testimoniare la devozione al santo che deve garantire prosperità e benessere a tutti. Lascio agli antropologi lo studio di un culto così radicato e così ricco di varianti ma non posso fare a meno di notare che ancora oggi persistono usanze provenienti da un lontano passato, nate per rassicurare le divinità sulla gratitudine umana che sapeva riconoscere tutti i benefici dei quali godeva. Coloro che si sentivano in balia di una natura capricciosa e spesso crudele cercavano in tutti i modi di renderla più benevola. Il cristianesimo ha lottato a lungo con tali usanze, ma poi ha dovuto cedere e le ha incorporate istituendo feste come ad esempio quella di San Giovanni Battista, cercando di epurarle dagli elementi meno assimilabili.

Oggi questi riti hanno un grande fascino perché ci portano indietro nel tempo e mettono in evidenza le radici di un pensiero che da sempre è alla ricerca di risposte impossibili. Quelle lingue di fuoco che si spingono verso il cielo illuminandolo con lunghe fiammate ondeggianti e imprevedibili e quelle scintille che fuggono intorno veloci creando uno spazio invalicabile e magico, catturano lo sguardo e ancora suscitano emozioni primordiali che millenni di civiltà non sono riusciti ad attenuare.

8) https://lanuovasardegna.it/alghero/cronaca/2018/01/17/news/nella-borgata-di-gutierrez-si-festeggia-sant- antonio-1.16366001
Il 7 ottobre 1933 fu creato l'Ente Ferrarese di Colonizzazione che aveva il compito di insediare in Sardegna famiglie originarie della provincia di Ferrara. Nacquero così Fertilia ed alcune borgate, tra le quali Gutierrez. Cfr. M. le Lannau, Pastori e contadini di Sardegna (prima edizione 1941).
Olzai 16 gennaio 2022 L’albero decorato con una coroncina sulla cima viene bruciato in onore di Sant’Antonio abate

LA VITA DEL SANTO

È arrivato il momento di conoscere il santo che ha ispirato un culto così diffuso e durevole nelle popolazioni rurali.

La sua figura storica è ben delineata nella Vita Antonii, opera del vescovo Atanasio, scritta nel 357 circa. Antonio era un giovane egiziano benestante figlio di agiati agricoltori cristiani, nato intorno al 250 sulle rive del fiume Nilo. Rimasto orfano prima dei venti anni, scelse di rinunciare ad ogni suo bene. Lasciò la sua dimora e andò a vivere nei pressi del suo villaggio dove trascorreva le giornate pregando, meditando ed eseguendo dei lavori per sostenersi. Fu continuamente oppresso dalle tentazioni dei diavoli alle quali riuscì sempre a resistere. Ben presto si sparse la voce della sua facoltà di guarire e di liberare le persone dal demonio. La sua solitudine fu interrotta da altri eremiti che lo consideravano come un padre ( abba in aramaico) e che si stabilirono vicino a lui desiderosi di avere la sua guida spirituale. Questo fa di lui il primo abate riconosciuto come capo dalla comunità dei suoi seguaci. Antonio lasciò talvolta il suo rifugio, si recò anche ad Alessandria per difendere la fede cristiana e, poco propenso a vivere in gruppo, alternò momenti di vita comunitaria a periodi di ritiro in luoghi solitari e lontani da tutti. La sua vita fu molto lunga e, ormai molto anziano, affiancò alla preghiera e alla meditazione la cura di un orto dal quale ricavava il suo mantenimento. Prima di morire a 105 anni il 17 gennaio del 356, lasciò la disposizione testamentaria che il suo corpo venisse sepolto in una località segreta perché non fosse oggetto di onori.

Certamente Antonio non avrebbe mai potuto immaginare quel che sarebbe accaduto alle sue spoglie. Iniziamo col dire che il segreto della sua sepoltura fu violato e dopo varie peripezie nell’XI secolo le reliquie furono trasportate in Francia in una località presso Vienne che prese il nome di Saint Antoine l’Abbaye che divenne ben presto meta di pellegrinaggio. Nel 1095 il nobile Gastone de Valloire domandò e ricevette dal santo la grazia della guarigione di suo figlio dall’ergotismo, una intossicazione dovuta al consumo di pane preparato con segale infettata da un fungo. L’ergotismo aveva conseguenze molto gravi sugli intossicati e poteva condurre alla morte. Al tempo se ne ignoravano le cause e veniva messo in relazione con il demonio e con le forze maligne. Gastone, riconoscente al santo per la guarigione di suo figlio, decise di dedicarsi all’assistenza dei malati e a tal fine riunì un gruppo di nobili con i quali fondò una comunità laicale con fini ospedalieri. Poco prima del 1300 la comunità laicale divenne l’ordine religioso degli antoniani che fondò ospedali in tutta Europa. L’ordine fu attivo fino al 1774 quando confluì nell’ordine di Malta.

Gli ospedali degli antoniani erano spesso affiancati da una chiesa intitolata al santo che fu molto popolare in quanto gli si attribuiva la capacità di ottenere guarigioni da ergotismo, da erpes zoster, e da altre infezioni comuni all’epoca usando come unico rimedio il grasso di maiale, animale che accompagna sempre l’ abate.

Da quanto ho raccontato fin qui si nota come lo sviluppo del culto antoniano sia complesso e articolato. Voglio qui ricordare che Antonio è uno dei più antichi santi la cui vita è storicamente accertata. Viene festeggiato nel giorno della sua morte e dunque non possiamo pensare che, come accade in altri casi, la ricorrenza abbia voluto sostituire una precedente festività pagana.

Sant’Antonio abate Francisco de Zurbaràn (1598-1664)
La tentazione di sant’Antonio (1946), opera dell’artista catalano Salvador Dalì (1904-1989)

Dal Medio Evo fino ai nostri giorni gli artisti si sono interessati alla figura di Antonio che è diventato un soggetto privilegiato delle opere pittoriche. Alcune tele ci mostrano l’eremita egiziano mentre lotta per liberarsi dalle tentazioni del diavolo che vuole distoglierlo dalla sua vita virtuosa e altre raffigurano l’anziano abate accompagnato da un maialetto che in una mano tiene il bastone dalla caratteristica impugnatura che ricorda la lettera greca tau, simbolo degli antoniani che viene anche ricamata sui loro mantelli, e nell’altra regge la campanella che il santo suonava durante le sue questue.

In occasione della ricorrenza del 17 gennaio 2022 è stato stampato in algherese il libretto Sant Antoni del foc a cura di Giovanni Strinna che ha anche illustrato il testo con gradevoli disegni ad acquerello. Il lavoro, realizzato con la collaborazione di Francesco Ballone, di Carla Valentino e di Giovanna Tilocca era destinato agli alunni e agli studenti delle scuole algheresi.

Copertina del libretto

Se vogliamo conoscere il culto di sant’Antonio abate in Sardegna nella prima metà dell’Ottocento possiamo esaminare l’opera di Vittorio Angius Città e Villaggi della Sardegna dell’Ottocento che elenca tutti i centri isolani specificando le chiese e i culti di ciascun centro abitato. Occorre rilevare che nel testo s. Antonio è indicato senza la specifica di abate mentre s. Antonio da Padova è sempre citato per intero. Questo può significare che l’abate era più diffuso rispetto all’omonimo. Ecco quel che ho trovato.

Alghero: Nella notte delle vigilie della Circoncisione, Epifania, s. Antonio abate, s. Sebastiano usasi la costumanza de lus barandons: la plebaglia divisa in varie schiere scorre per la città con campanelli, visita le case, canta delle canzoni popolari, e poi chiede qualche dono, fichi secchi, vino, acquavite, ecc. Dura questo tumulto sino alle 10.

Cagliari: s. Antonio spedale governato dai religiosi di s. Giovanni di Dio. La corsa carnevalesca nella contrada di s. Michele si inaugura nella solennità per s. Antonio abbate, poiché i cavalli furono benedetti nel passare davanti sua chiesa. Vi concorrono i più nobili destrieri co’ i più abili cavalieri.

Decimo Mannu: Parrocchia di S. Antonio abate. Per la solennità del titolare la chiesa viene adornata da moltissime corde infrascate dove si appendono non meno di 4000 ostie da messa variamente colorate e frammezzate di melarancie e limoni. Nella qual guisa è pure adornata certa gran corona, che devesi appendere presso l’altare. Sopra la qual consuetudine è una certa superstizione; conciossiachè sia cagione di gran terrore, come fosse una empiissima ingiuria al santo, alcuna negligenza.

Ghilarza: per la festa di s. Antonio abate si formano varie compagnie, vanno al salto, e ne trasportano un grosso tronco d’albero vecchio (sa tuva) per arderlo sulla piazza della chiesa del santo. Il trasporto si fa in modo trionfale tra clamori d’allegrezza e frequenti scoppi d’archibugio: poi gli uni gli altri si accompagnano a casa nello stesso modo festivo.

Nughedu S. Nicolò: Chiesa di s. Antonio abate fuori dal paese; per il santo si organizza una festa popolare in occasione della quale si fa una piccola fiera.

Oristano: S. Antonio Abate presso l’antico spedale dei frati di s. Giovanni di Dio.

Orosei: L’11 maggio si organizza una festa per sant’Antonio abate.

Ottana: S. Antonio è una chiesa minore. Si fa una festa solenne nella quale vi è gran concorso di stranieri da’ paesi d’intorno e si tiene lo spettacolo della corsa del palio.

Ploaghe: Resta a notare la chiesa di S. Antonio abbate, piccola e di tutta semplicità, che ha annesse alcune casipole per comodo de’ peregrinanti; perché anticamente i ploaghesi per imitare anche in questo i sassaresi, che andavano in pellegrinaggio al santuario dell’antica cattedrale di Torre, vi andavano due volte all’anno e vi si facevano pubbliche penitenze e flagellazioni a sangue anche nel tempo della processione. Posada: La chiesa maggiore è dedicata a sant’Antonio abate, ed ha sei cappelle senza l’altar maggiore. La festa principale del paese è per il titolare. Nel vespro si raccoglie nella piazza della chiesa un fascio immenso di rosmarino e di altre erbe aromatiche, le quali poichè sono benedette si incendiano.

Quartuccio: Vi si trova la chiesetta di s. Antonio abate, annessa ad un antico ospizio di frati spegaglieri, dove però per quanto sappiamo non mai esercitarono il loro istituto.

Antonio o Villanova Sant’Antonio: Nel 1702 alcuni abitanti di Baressa, che raccoglievano legname, trovarono un simulacro di s. Antonio abate. Nel luogo del ritrovamento si costruì un oratorio che diventò poi la parrocchiale del nuovo centro sorto con l’arrivo di alcune famiglie. In ricordo del ritrovamento i Baressani portano tutti gli anni la cera per la festa di s. Antonio e la solennizzano con molta pompa.

Sassari: La chiesa si trova presso porta S. Antonio. La festa principale è per il titolare.

Ritengo molto interessanti le notazioni dell’Angius in quanto sono una testimonianza del culto nella prima metà dell’Ottocento in Sardegna. Lo studioso riporta l’usanza del fuoco soltanto in due paesi, Ghilarza e Posada, ma penso che anche allora si accendessero dei falò in molte delle località dove era eretta una chiesa intitolata al santo.


Il 13 e 14 giugno 2022 si è tenuto un convegno internazionale dal tema “Il Culto antoniano dalla vita atanasiana alle tradizioni popolari”. Durante i lavori è stato tracciato il percorso della devozione antoniana dalle origini ai giorni nostri ponendo l’accento sui riti molto sentiti in Catalogna e cercando di trovare i segni del passaggio del culto dalla Spagna alla Sardegna. Sono stati inoltre presentati i risultati della ricerca di documenti che attestino la presenza dei frati antoniani nella nostra Isola. Purtroppo la documentazione è molto scarsa e abbiamo esigue evidenze sulla diffusione dell’ordine ospedaliero nella nostra Isola. Ad Alghero fino alla seconda metà dell’Ottocento si trovavano la chiesa e l’ospedale di Sant’Antonio abate ma non ci sono testimonianze sugli antoniani.

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