Un allarme per la grande nacchera

Un allarme per la grande nacchera

di Roberto Barbieri

Insieme al corallo rosso ed all’aragosta, la nacchera, con la sua splendida conchiglia, è sempre stata una specie simbolo del mare di Alghero. Una volta i ruspanti locali vicino al mare, pizzerie o bar, avevano sempre, appesa su qualche muro, una rete da pesca con ammagliati astici, aragoste, tritoni e valve di nacchera. Ed appese c’erano allora anche le grandi granseole, sparite da tempo dai fondali di Capo Caccia.

A Porto Conte, con il mare calmo del primo mattino, è ancora oggi possibile vedere da sopra una barca le ampie distese verdi della posidonia e le grandi nacchere che vi spuntano come cozze giganti. La punta della loro doppia conchiglia è ancorata al fondo grazie ad un robusto filamento chiamato bisso e da cui deriva la leggendaria “seta di mare”. L’arte di questa lavorazione è caparbiamente conservata, a Sant’Antioco, dall’ultima artigiana: Chiara Vigo. Le valve della nacchera possono superare il metro di lunghezza e pertanto questi splendidi animali sono i più grandi bivalvi dei mari europei, anzi, sono i bivalvi a forma di pinna (Pinnidi) più grandi del mondo. Infatti, a dispetto della regola che dice che le specie oceaniche sono di norma più grandi di quelle dei mari chiusi, con la nacchera accade il contrario. La bella e nobile nacchera o Pinna nobilis L. per la tassonomia biologica (la elle maiuscola sta per Carl Linné, il naturalista svedese che per primo descrisse la specie nel lontano 1758), è una specie esclusivamente mediterranea. La si trova soprattutto tra le verdi foglie di posidonia entro poche decine di metri di profondità. Come tutti i bivalvi si nutre filtrando l’acqua. E per quanto non abbia né una testa né un vero e proprio cervello, sa riconoscere molto bene da dove arriva il cibo e pertanto ogni individuo è capace di ruotare su se stesso e mettersi a favore di corrente. Date le sue dimensioni e la lenta crescita, i grandi individui adulti possono avere un’età di varie decine di anni.
Ma, inutile ribadirlo, i rapporti tra le specie marine e la specie umana non sono mai facili. In passato le nacchere venivano abbondantemente pescate. Si usava soprattutto un semplice attrezzo formato da un lungo bastone con all’estremità un ovale di ferro di dimensioni adatte per avvolgere le valve e poi scalzarle dal fondo. Il muscolo si mangiava. Si cercava anche la piccola perla bruno rossiccia che serviva da portafortuna (pochi in realtà le conoscono, e fino a poco tempo fa ne erano esposte alcune nel Museo del Corallo di Alghero). Le valva servivano come decorazione ed essendo semitrasparenti erano anche perfette come paralume. Venivano poi dipinte ad olio al loro interno ed appese al muro come quadri o vendute ai turisti come souvenir. Ma se oggi non vengono più pescate, non sono ancora al sicuro dallo strascico sotto costa (o dal micidiale gangaro che veniva usato per la pesca notturna dei ricci di mare). Ma soprattutto non sono al sicuro dagli ancoraggi sulla posidonia. Una sola catena di ancora può, ruotando, uccidere molti individui.

Tempera su Valva di Nacchera, Alghero fine 800

Bella ed elegante, la conchiglia della nacchera inizia la sua vita nascosta tra la vegetazione e le pietre del fondo. Da giovane è trasparente e fragile come vetro. Come unica difesa ha degli appuntiti dentelli su tutta la sua superficie. Poi lentamente cresce e si irrobustisce. Mano a mano che si alza dal fondo, dopo molti anni, le valve diventano spesse e quasi lisce. Al loro interno, la parte fissa sul fondo è madreperlacea mentre il resto è di colore bruno rossastro.
In realtà sappiamo poco di questi animali e della loro ecologia e biologia. Come tantissimi altri molluschi i sessi sono separati e la fecondazione è esterna. Dopo qualche settimana di vita errante, la giovane larva di un nuovo individuo si insedia da qualche parte sul fondo, forse attirata da messaggi chimici.
Quello che è certo e che, date le grandi dimensioni dell’animale e la sua longevità, diventa anche per tante altre specie un luogo solido su cui insediarsi. Proprio come una roccia in un fondo di sabbia o fango. Ed allora la grande nacchera si ricopre di spugne e ascidie colorate, di fragili briozoi, di alghe, di chitoni (piccoli molluschi corazzati) e di tanti vermetti che vivono dentro tubicini calcarei. In questo modo la conchiglia della nacchera diventa un micro mondo sommerso ricco di vita. Ma non è tutto. All’interno della conchiglia, l’animale ospita alcuni piccoli crostacei che vi trovano un rifugio sicuro e rimediano un po’ di cibo. Si tratta di piccoli e molli granchietti (Pinnotheres pinnotheres e Neopinnotheres sp.) e di un altrettanto piccolo e simpatico gamberetto (Pontonia pinnophylax). Inoltre sopra il mantello del mollusco vivono anche alghe unicellulari che contribuiscono a produrre sostanza organica con la luce solare.
Perciò quando muore una nacchera scompare un intero piccolo mondo.
E i problemi non mancano di certo. In un recente passato, quando veniva intensamente pescata, era quasi scomparsa dal mare di Alghero. Poi, dagli anni ’90, grazie a precise norme di tutela a livello europeo, la specie ha ripopolato i fondali. Nella grande prateria di posidonia al largo di Mugoni o al Tramariglio ci sono straordinari e bellissimi campi di nacchere con centinaia di grandi individui.
La specie adulta è quasi priva di predatori naturali. I pescatori però raccontano che viene insediata con astuzia dal polpo. Si dice che il polpo si avvicini con attenzione a una nacchera e che incastri un sassolino tra le valve affinché non si chiudano. Poi, lentamente infila i tentacoli all’interno della conchiglia per mangiarsi l’animale. Vero o no, il vero pericolo per la specie è invisibile e arriva da lontano. Come tutti i bivalvi, la nacchera per vivere deve filtrare l’acqua. Centinaia di litri al giorno. E da li arriva il problema. Il mare è sempre più inquinato. Dai fiumi e dalle città costiere arriva di tutto nel mare. Inoltre, ogni giorno, le acque di zavorra delle navi mercantili spostano migliaia di piccole specie marine (o le loro uova) da un mare all’altro di tutto il pianeta. Migranti clandestini non sempre innocui per la fauna locale. Sembra infatti che un protozoo (forse di origine atlantica) sia da poco arrivato sulle coste spagnole e abbia scatenato una terribile epidemia tra la Pinna nobilis, con mortalità vicine al 90%, ed in certe aree purtroppo anche del 100%. Inoltre sembra che l’epidemia stia procedendo velocemente verso est, trasportata dalle correnti del Mediterraneo. Il protozoo, prima sconosciuto alla scienza, è stato battezzato dai ricercatori spagnoli Haplosporidium pinnae. Quello che è certo e che anche nel mare di Alghero le nacchere stanno morendo velocemente. Si ammalano, non riescono più a nutrirsi, e muoiono in poche settimane. Già all’inizio dell’estate 2018, in occasione di Goletta Verde in Sardegna, Legambiente ha lanciato un “Allarme nacchera”, proprio ad Alghero.

Sembra anche, e non è chiaro perché, che si sia molto ridotta la presenza di individui giovanili, almeno a Porto Conte e rada di Alghero. In altre parole, se oltre all’epidemia la specie ha problemi riproduttivi, potrebbe sparire, o quasi, dai nostri mari.
Per approntare un piano di difesa della specie è necessario studiare in fretta il problema, creare una cooperazione internazionale tra ricercatori (Spagna, Italia, Tunisia,…) e capire se ci possono essere soluzioni, nel breve e nel lungo periodo.
E’ impossibile controllare la migrazione del protozoo, se di questo davvero si tratta, ma potrebbe essere messa a punto una terapia antibiotica o un vaccino. Certo, se così fosse, si dovrebbe periodicamente andare ad iniettare il vaccino o il farmaco in ogni singolo individuo. Un lavoro enorme e difficile. Ma sicuramente, data la bellezza e l’importanza della specie, sicuramente i subacquei di tutto il Mediterraneo, algheresi e sardi compresi, non si tirerebbero indietro.

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