La spinosa questione del riccio di mare

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Pesca del riccio viola con specchio e canna

Se si parla un po’ con gli anziani pescatori algheresi, quelli che una volta stavano a giocare a carte o a biliardo nello storico Circolo Marinai di piazza Civica, emergono le tante storie di un mondo di pesca che ora non c’è più. Storie di un mare molto pescoso che sopportava pazientemente i tanti attrezzi da pesca che oggi definiremmo “poco sostenibili” e che le attuali norme in vigore vietano o regolamentano: l’ingegno per il corallo rosso, i tramagli per le aragoste, lo strascico, la pesca ombra, il gangaro, il martello per i datteri, le bombe di fabbricazione artigianale per i pesci, le trappole luminose, i forchettoni per le nacchere, il solfato di rame per i polpi, la pesca con le bombole…

Erano i tempi (prima metà del secolo scorso) in cui i pescatori algheresi si spingevano lungo tutta la costa occidentale sarda per la pesca all’aragosta, che veniva poi commercializzata anche a Barcellona e a Marsiglia. Ma si pescava molto altro, dai pesci costieri a quelli d’altura come pescispada, verdesche o pizzognie, e poi seppie, polpi e calamari, granchi, gamberi e così via. Praticamente si pescava di tutto e in tutti i modi possibili. Però il mare non era quello di oggi.

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Gli anziani raccontano di quando vedevano le foche monache aggirarsi davanti alle grotte di Capo Caccia, pronte a portarsi via il pesce dalle reti, o raccontano delle succulente granseole grandi come la testa di un bambino (ora solo un ricordo), delle grosse cicale o degli enormi astici. E non c’è famiglia di pescatori che non abbia a casa, come soprammobile, almeno una grande conchiglia di tritone (la conchiglia dove si sente il rumore del mare), oggi anche loro scomparsi. Erano i tempi (anni 50 e 60) in cui i primi subacquei si portavano a casa cernie grandi come maiali e combattevano con gronghi grossi come anaconde. In alto volava il falco pescatore (scomparso pure lui), ed i gabbiani non avevano bisogno di andare a nutrirsi nelle discariche come fanno oggi.

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D’inverno, nelle famose secche di gennaio, caratterizzate da un periodo di mare calmo e cielo sereno, i pescatori facevano scivolare in mare gozzi e spagnolette per la pesca del riccio di mare, o meglio del bogamarì. Lo si pescava, soprattutto con la canna e lo specchio, a bassissima profondità nei dintorni di Alghero, o con il gangaro sulle praterie di posidonia nelle ore notturne.

La vendita era a chilometro zero, direttamente sulla banchina dello scalo Tarantiello. Ed il fine settimana la vendita avviava un vero mercato stagionale ed un clima di festa: era la Sagra del Riccio.

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Come per le altre specie marine oggetto di pesca, non esistevano allora regolamentazioni (si vendevano al mercato bistecche di delfino, nacchere, datteri, lumache di mare,…). Ma, come già detto, erano altri tempi ed i ricci di mare venivano in realtà pescati in modica quantità e solo tra gennaio e marzo.

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Per nostra fortuna è rimasto un ricordo di quegli anni. Il cortometraggio Bogamarì, realizzato in 16 mm da Arturo Usai nei primi anni 60. Un autentico piccolo capolavoro cinematografico. Durante il duro inverno algherese, con frequenti mareggiate e qualche volta anche con la neve (1956), i pescatori erano costretti a fermare l’attività e mettere le loro piccole barche al riparo sulle banchine. Ma le secche di gennaio davano loro l’opportunità di dedicarsi alla pesca del riccio e arrotondare il lunario di un’economia di sussistenza.

Tra le preziose immagini del lavoro di Usai, viene descritta anche l’antica pesca con l’olio, direttamente tra gli scogli con l’aiuto di qualche goccia d’olio per fermare la superficie dell’acqua e poter vedere più chiaramente il fondale.

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Pesca del riccio viola con l’olio

Oggi la pesca al riccio di mare si è diffusa moltissimo e si è allargata a tutta la Sardegna. E’ una pesca che ha implicazioni economiche non solo per chi la pratica (legalmente con licenza regionale), ma anche per i ristoratori. Infatti la vendita del riccio di mare si è allontanata dalla banchina del porto ed è arrivata nei ristoranti, con ricci già aperti come antipasto oppure sopra i crostini di pane , negli spaghetti o addirittura nella pizza ai ricci.

Succede quindi che la richiesta aumenta di anno in anno e, conseguentemente, aumenta anche la pesca (legale e non) di questo animale, scatenando ogni anno numerose polemiche tra i “conservazionisti” e i “predatori”, una faccenda spinosa.

E come spesso succede, chi ha il potere di decidere (in questo caso la Regione Sardegna) cerca di accontentare tutti emanando provvedimenti discutibili e poco efficaci.

D’altronde, dal punto di vista degli uomini la situazione sembra semplice: i ricci ci sono perciò peschiamoli, sia pure con qualche limitazione. Dal punto di vista del mare la situazione è più complessa. Il riccio viola commestibile è una specie animale tra tante altre specie marine, legate tra loro da delicati equilibri ed ognuna con il suo ruolo e il suo perché. Si nutre prevalentemente di alghe (è pertanto erbivoro) e frequenta sia gli ambienti rocciosi superficiali sia le praterie di posidonia. In questi ambienti ha pochi competitori in quanto la stragrande maggioranza degli animali marini sono carnivori predatori (pesci, cefalopodi,…) o filtratori (spugne, bivalvi,…). Inoltre, come è normale per gli erbivori, tendono a riprodursi con numeri elevati e ad avere tempi di crescita relativamente veloci (si stima 3/5 anni). Proprio come in una savana dove ci aspettiamo di trovare molte più gazzelle (erbivore) che leoni (predatori delle gazzelle).

Inoltre, negli ultimi decenni, la pesca costiera ed altri fattori hanno favorito le popolazioni di riccio viola rispetto ai suoi predatori naturali che sono drasticamente diminuiti quali saraghi, orate, polpi e tutti quei pesci che si mangiano le piccole larve fluttuanti dei ricci (chiamate pluteus dai biologi).

Tutti i subacquei sanno che, se sott’acqua si apre un riccio, si scatena una vera e propria frenesia alimentare tra i pesci costieri della zona. Infatti i ricci adulti si difendono con gli aculei, con dei pedicelli mobili dotati di pinzette (alcune specie possiedono tossine), scavando nicchie nella roccia e muovendosi soprattutto di notte. I ricci giovani, sono molto più vulnerabili, e rimangono sempre nascosti sotto i sassi o tra le radici della posidonia, rimanendo però preda anche loro di stelle marine ed altri predatori.

Si verifica, pertanto, che in molte aree costiere i ricci sembrano abbondanti, ma questo non deve trarre in inganno. In altre aree la pesca intensiva ed il bracconaggio li hanno fatti quasi sparire. In altre aree ancora sono diminuiti soprattutto nei livelli superficiali (entro i 10 metri) dove la pesca è più intensa.

Cosa si deve fare? Le attuali norme consentono, in Sardegna, la pesca per molti mesi e in maniera quasi indiscriminata. E’ addirittura possibile pescarli anche all’interno della aree marine protette, che sono aree deputate, per definizione, alla salvaguardia degli habitat marini e delle specie presenti. E’ evidente che questo stato di cose e questa normativa non è, a lungo termine, la soluzione. Anche perché bisogna fare i conti con l’aumentata richiesta del mercato ove le gonadi dei ricci in barattolo (polpa di riccio) è sempre più ricercata dai ristoratori e anche dai privati.

Si devono pertanto creare delle zone di ripopolamento che possono, almeno per ora, coincidere con le 6 aree marine sarde istituite (Asinara, Capo Caccia, La Maddalena, Sinis, Tavolara, Villasimius), sermo restando la possibilità di una pesca controllata in caso di sovraffollamento (come si fa a terra per i cinghiali). Le stesse aree marine dovrebbero monitorare le restanti aree costiere non protette per dare indicazioni, anno per anno, sulle quote di pesca consentite e sul numero dei pescatori autorizzati che vi possono operare. Se necessario anche altre aree essere identificate per rimanere chiuse qualche anno alla pesca e consentire il ripopolamento.

Infine, nell’ottica di aiutare il mare a difendersi, bisogna incentivare gli studi di laboratorio per la riproduzione artificiale dei ricci e per immissione nell’ambiente di giovani che hanno già superato il difficile stadio larvale. Come per l’attinia o anemone (urtigara), altra specie soggetta a forte richiesta del mercato e la cui pesca indiscriminata l’ha quasi fatta scomparire, sarebbe buona cosa pensare a impianti di acquacoltura per sopperire alle esigenze di mercato senza distruggere la risorsa e senza impoverire gli habitat in cui vive.

Solo un approccio razionale al problema, ed un’attenzione complessiva alla salute del nostro mare (pesca, trivelle, inquinamento,…) potrà consentire di organizzare anche negli anni futuri la pittoresca “sagra algherese del riccio” e le altre iniziative gastronomiche collegate con i nostri prodotti tipici del mare, dall’aragosta alle arselle del Calich.

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(Breve nota scientifica: Il riccio viola va parte di un gruppo di animali esclusivamente marini, gli Echinodermi, che comprende anche le stelle marine, le oloturie, i gigli di mare e le ofiure. L’architettura del corpo segue il numero 5 (simmetria a 5 raggi). I ricci (circa 25 specie nei mari italiani), hanno una complessa ed affascinante struttura. Il loro scheletro di sostegno si trova subito sotto la pelle (non esterno come crostacei o gli insetti e non interno come i vertebrati). Nel riccio viola è di colore verde. La forma è globosa, più o meno irregolare e schiacciata, ed è formata da tantissime piastrine saldate tra loro. Sono dotati di aculei molto mobili formati da un cristallo scanalato dai vari colori: verde, viola, rosso, marrone,… ed è mosso da una specie di perno a sfera basale. Varie serie di fori nelle piastrine consentono il movimento di pedicelli allungabili, visibili tra gli aculei, e dotati di ventose. Consentono al riccio di aderire a qualsiasi superficie, di pulirsi e anche di difendersi (alcuni ricci mordono). I pedicelli sono mossi da un particolare sistema idraulico, unico nel mondo animale. Possiedono anche una complicata bocca con 5 robusti denti ed un sistema di leve per muoverli (la lanterna di Aristotele). I sessi non sono riconoscibili dall’esterno. Le cinque “lingue” che vengono mangiate sono le gonadi, sia delle femmine che dei maschi.)

Roberto Barbieri

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