Alghero e la sua città vecchia

di Roberto Barbieri

La morte, dal punto di vista sociale, della città vecchia di Alghero, ha coinciso con la stagione propizia dei palazzinari locali. Erano gli anni ’60/70. Proprio gli anni in cui, lungo le coste galluresi, iniziavano a brillare centri turistici internazionali sorti dal nulla come Porto Cervo o Porto Rotondo. Ottime operazioni immobiliari pensate a tavolino.

Ma, a differenza della Costa Smeralda, la città vecchia di Alghero non nasceva dal nulla. Aveva già lunghi secoli alle spalle e solide mura di arenaria. Eppure sono bastati un paio di fattori negativi per stravolgerla per sempre. Il primo è stato lo stretto connubio di interessi tra la politica ed i palazzinari. Si costruivano case popolari o in cooperativa, si accendevano mutui e si convincevano gli abitanti del quartiere storico ad andarci. Il secondo fattore è stato la mancanza totale (e sicuramente non casuale) di un progetto regionale di risanamento del centro storico, di adeguate opere pubbliche di ammodernamento (illuminazione, fognature,…) e di incentivi economici per aiutare gli abitanti a ristrutturare e rimanere. Così non è stato, segnando il destino della città vecchia. Se ne sono andati tutti, con poche eccezioni. Pescatori, muratori, agricoltori,… Quasi tutti sono andati via dalla città vecchia, e le case, vendute per poco, sono ora ristrutturate da non algheresi ed abitate solo d’estate. I tanti piccoli negozi sono scomparsi, sostituiti da ristoranti e da vetrine per turisti. I bambini hanno smesso di correre tra i vicoli o lungo i bastioni e sono andati a giocare nei grigi cortili di periferia. Un’intera generazione di algheresi, che pure aveva i ciottoli della città vecchia nel proprio dna, se n’è andata. In quegli anni ormai lontani, nulla hanno potuto uomini illuminati, come l’architetto Antonio Simon Mossa o come il soprintendente Roberto Carità.

Questo spopolamento del centro storico in Sardegna è un fatto anomalo. Castelsardo ha ancora i suoi residenti, arroccati caparbiamente intorno al castello, e così Cagliari o Bosa. Ad Alghero, invece, sono bastati pochi decenni di speculazione politico-edilizia per trasformare completamente l’intera città vecchia. Ed ora gli algheresi delle periferie, forse con rimpianto, non possono fare altro se non tornare, ogni sera, verso gli antichi bastioni e fare il passeggio sopra le antiche muraglie, mentre il sole cala dalle parti di Capo Caccia.

Mattino ad Alghero 1957 Stanis Dessy

Ma il luogo che ha subito il destino più strano è il porto. Per secoli è stato solo una banchina d’approdo, per di più stagionale, perché per esigenze militari la città doveva essere circondata da scogli e non da punti di facile sbarco per i nemici. Eppure, attirate dall’oro rosso, vi confluivano ogni anno centinaia di barche coralline e vi si svolgevano, come in un vero porto, scambi e commerci.

Poi, dopo l’unità d’Italia, la città vecchia ha cambiato aspetto ed abitudini, stringendosi sempre di più intorno alla sua precaria banchina d’approdo. Gli ampi scivoli d’alaggio (erano tre) scandivano le stagioni della pesca. Le barche tradizionali, gozzi e spagnolette, si ammassavano sull’acqua o, a secco, lungo le banchine come tante iguane marine in attesa del sole e del bel tempo. Qualche grande veliero d’altura, caricava o scaricava merci.

Ancora oggi questa banchina, anche se le barche da pesca sono state allontanate, è considerata, più o meno consciamente, il vero centro della città. E’ qui che si fanno le feste di capodanno o di ferragosto, o le partenze degli eventi sportivi, ribadendo così, la centralità e l’importanza del luogo.

Eppure gli scivoli sono stati distrutti, e barche e pescatori, che pure esistono ancora, sono stati allontanati nel punto più lontano del porto. E’ bastato l’acquisto, negli anni ’70, di una piccola gru di alaggio (ancora oggi esistente e funzionante!) per legittimare gli amministratori di allora a demolire gli scivoli e modificare per sempre l’urbanistica dell’area portuale.

Anche l’ultimo cantiere nautico tradizionale, arroccato nell’ex forte della Maddalenetta, fu costretto a spostarsi, ed ora è finito a molti chilometri di distanza dal porto. Tutto è cambiato. Ed è cambiata l’intera città vecchia. Però un alto prezzo culturale e sociale è stato pagato in nome del turismo, del “progresso”, della modernità e delle nuove esigenze economiche. Ma il risultato ha un sapore amaro. E’ di fatto sparita l’immagine più bella e caratteristica della città: le colorate barche da pesca, la banchina d’approdo ed i bastioni sullo sfondo. Un’immagine fermata nel tempo da tante cartoline e da tanti importanti pittori, come il grande Stanis Dessy, per citarne uno. I suoi acquerelli corredano questo breve articolo.

Erano anni in cui la Storia ed il passato della città non erano considerati un valore. Insieme agli scivoli vennero sacrificate belle ville liberty, gli ultimi pozzi urbani o l’intera ferrovia. Ed il porto iniziava a prendere la forma di un grande parcheggio di piccole barche.

Ma, in realtà, è sparita un’intera cultura, strettamente intrecciata con il mare e con il maestrale.

Molo di Alghero. Mareggiata ad Alghero 1940, Stanis Dessy

Oggi, ad Alghero, si vuole conservare una lingua, senza capire che l’anima di quella parlata erano gli algheresi della città vecchia. La cultura locale e la lingua interagivano strettamente lungo i vicoli, nei negozietti, tra le barche del porto o nel mercato civico (anche il mercato è finito stravolto dalla modernità). L’algherese era la lingua dei vicoli e della comunità della citta vecchia. Quelle stesse famiglie sono ora disperse tra i vari rioni periferici, e magari a Fertilia o ad Olmedo. Ed i figli parlano italiano. La lingua del popolo, volgare o dialetto che sia, non si può insegnare a scuola come fosse una lingua straniera.

E senza quegli abitanti, Alghero è diventata per sempre altra cosa.

Certo, volendo si potrebbero ricostruire gli scivoli e riportarci le barche a vela latina. Si potrebbe separare nettamente il “porto nuovo” dal “porto vecchio”, come è d’uso nei centri costieri del Mediterraneo. Si potrebbero rimettere i gozzi lungo lo Scalo Tarantiello. Ma è troppo tardi. Ora sarebbe solo un restauro posticcio ad uso dei turisti, un look folcloristico come lo sono le catapulte esposte sui bastioni.

Alghero, vele nel porto 1935, Stanis Dessy

Resta soltanto un monito ed un insegnamento per il futuro. Nelle scelte urbanistiche importanti, soprattutto quelle effettuate sotto la pressione dei sempre presenti interessi privati, ed in mancanza di chiari Piani a lungo termine, gli amministratori dovrebbero sempre chiedersi: che cosa perde la comunità? E cosa realmente guadagna?

Opere di Stanis Dessy (foto da web)

 

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