Nome e cognome? posidonia oceanica. La storia di una pianta straordinaria.

Nome e cognome? Posidonia oceanica.

La storia di una pianta straordinaria.

Nel territorio di Alghero ci sono alcune piante che avrebbero lunghe ed interessanti storie da raccontare. Certamente le due piante tipiche del mondo mediterraneo: la vite e l’ulivo. Solo da poco si stanno scoprendo dettagli sulla produzione di vino in età nuragica, ma quello che si sa è affascinante. Nel nono secolo a.C. parte della Nurra era coltivata a vite, ed il vino veniva sigillato in anfore di produzione locale e venduto ai commercianti che arrivavano via nave a Sant’Imbenia, nello splendido scenario di Porto Conte. Mentre, la coltivazione dell’ulivo fu una delle poche cose positive ereditate dalla feudale dominazione catalano-aragonese, ed ancora oggi disegna il paesaggio intorno ad Alghero.

Ma anche la palma nana avrebbe tante storie da raccontare. Pianta di clima caldo, come tutte le palme, è riuscita a superare un lungo periodo glaciale e ad arrivare fino a noi. E’ tipica del paesaggio, da Monte Doglia a Capo Caccia, e non sono lontani i tempi in cui se ne mangiava il cuore o la si tagliava e la si lavorava in ben 8 industrie locali del crine. Serviva non solo per imbottire i materassi, ma anche per produrre cordami, sporte e cestini in una cultura dell’intreccio ormai in estinzione.

O il ginepro di Fenicia, il cui legno profumato e compatto serviva per i solai delle case. O il giunco del Calich, con cui i pescatori, annodandolo all’olivastro, costruivano le nasse per le aragoste e le cantare.

Ed ancora la fitolacca del lungomare, arrivata dal sudamerica, o il tanto odiato e bistrattato eucalipto, arrivato sin qui dalla lontana Australia e che disegna le linee dritte dei paesaggi delle bonifiche.

Ma c’è una pianta che ha una storia davvero incredibile, e che, pur appartenendo al mondo del mare, riesce a disegnare e modificare i paesaggi costieri. E’ una pianta, chiamata genericamente “alga” e che molto probabilmente ritroviamo nella stessa origine del nome Alghero: s’Alghera, s’Alighera, Algeri, Alguer… E la ritroviamo anche in altri toponimi di luoghi costieri italiani come Torrevaldaliga (Civitavecchia) o Cava d’Aliga (Ragusa). E’ così famosa perché non si limita a vivere nascosta nei fondali marini, ma produce, ogni anno, grandi quantità di foglie che le correnti spezzettano ed accumulano su molte spiagge mediterranee. Questi mucchi di foglie secche, poste all’incontro tra il mare e la terra, non passano inosservati agli occhi degli umani. Come gli immigrati clandestini di oggi, le foglie arrivano dal mare e non sempre sono gradite. Anzi sono diventate l’incubo degli impianti balneari che, per fare reddito, vogliono che le spiagge siano sempre perfette e bianchissime come le cartoline che arrivano dalle Maldive. Ma torneremo su questo aspetto.

Spiaggia di Punta Negra

Stiamo raccontando la storia di una pianta marina che caratterizza il Mediterraneo sommerso proprio come l’ulivo e la vite caratterizzano i contorni geografici del “mare tra le terre”. Si chiama Posidonia oceanica. Come si sa, classifichiamo le piante e gli animali del pianeta con due nomi scientifici latini, che corrispondono più o meno al nome e cognome degli umani. Il naturalista svedese Carl Linnaeus, a metà del 700 la denominò “oceanica” perché, ricevendo a casa, per posta da ogni parte del mondo, migliaia di organismi sconosciuti da classificare si confuse tra il Mediterraneo e l’Atlantico (dove la pianta non c’è). In seguito il botanico francese Alire Raffeneau Delile, nel 1813, la descrisse definitivamente dandogli la denominazione attuale. Ed è lui che scomoda il dio del mare, Poseidone, nel dargli il nome generico. Ma, tolta la “e”, il nome diventa posidonia, dolce e femminile, come sono femminili quasi tutti i nomi dei vegetali e degli animali marini.

Bastioni di Alghero

E’ una pianta antichissima, parente delle graminacee, e viveva un tempo nei prati calpestati dai dinosauri. I suoi antenati (Posidonia cretacea) hanno la stessa età delle rocce di Capo Caccia, ovvero circa 120 milioni di anni. E’ in quel periodo che succede un fatto singolare. Le piante iniziano a colonizzare le lagune e gli ambienti salmastri per poi adattarsi definitivamente alla vita marina. Hanno fatto esattamente quello che, molto tempo dopo, faranno alcuni mammiferi che oggi chiamiamo genericamente delfini o balene. Un ritorno al mare non facile per una pianta: basti pensare che il polline dei fiori, prima trasportato dal vento, deve ora essere trasportato dalle onde, ed che i semi che prima cadevano a terra, ora devono galleggiare per potersi allontanare con le correnti dalla pianta madre.

Ma non è tutto. La posidonia ha dovuto trovare il modo di vincere la competizione con le alghe, da sempre padrone assolute dei fondali marini. Ed ha sviluppato un’idea vincente. Da delicata pianta erbacea si è trasformata in “albero”. Ovviamente un albero in miniatura ed in versione acquatica, ma pur sempre dotato di robuste radici, di fusti striscianti e di fasci fogliari. I posidonieti mediterranei sono quindi dei veri boschi sommersi, anche se, agli occhi di chi li guarda con maschera e pinne, hanno l’aspetto di una verde ed ondeggiante prateria erbosa.

Per la pianta, possedere radici e fusti ha fatto la differenza nei confronti delle alghe, perché queste ultime non riescono a crescere sui fondi incoerenti di sabbia o di fango. La posidonia, invece, si crea da sola il basamento su cui crescere. Le lunghe foglie, tenute ben sollevate da piccole sacchette aeree, rallentano le correnti e fanno cadere verso il basso le particelle solide trasportate dall’acqua. Si crea così un insieme compatto di radici, fusti e sedimento sabbioso che è la struttura di sostegno dell’intero bosco di posidonia.

Lido di Alghero, 2010. Piante di posidonia spiaggiate.

E l’intera struttura (chiamata matte dai naturalisti) si accresce lateralmente e verso l’alto, un po’ come fanno le barriere madreporiche degli atolli tropicali. Viene smorzata l’energia delle onde e delle correnti e in questo modo il bosco sommerso protegge la costa antistante dall’erosione. Inoltre le piante producono grandi quantità di ossigeno e tantissima sostanza organica che viene regalata all’ecosistema marino. Ma soprattutto, proprio come un bosco terrestre, le piante creano un “habitat” dove vive una straordinaria e numerosa comunità di batteri, alghe ed animali. I pescatori sanno da sempre che i posidonieti sono ambienti ricchi di fauna. Ci gettano le reti e le nasse e, se riescono, ci passano sopra illegalmente con lo strascico o con il gangaro. Sanno, ad esempio, che i ricci salgono la notte sulle foglie per mangiarsi le piccole alghe che le ricoprono o che banchi di pesci nuotano tra le posidonie per nutrirsi o riprodursi. Sanno che tra le foglie vive la nacchera, il grande bivalve del Mediterraneo. Inoltre, un intero mondo vive sopra una foglia di posidonia, o al di sotto, tra i fusti. Ma proprio come le foreste tropicali, il bosco di posidonia è delicatissimo, e dove scompare i fondi marini diventano dei deserti. Per molti milioni di anni queste piante si sono adattate al sale del Mediterraneo e hanno addirittura superato il momento in cui, 6 milioni di anni fa il Mediterraneo si è prosciugato. Capo Caccia svettava allora come fosse la cima di una montagna e la Sardegna aveva quella continuità territoriale così richiesta oggi. Si sarebbe potuto andare a piedi verso i monti delle Baleari o in Francia o in Liguria.

Posidonia spiaggiata a San Giovanni

Eppure i boschi di posidonia sopravvissero anche a questo, adattandosi  perfettamente al loro ambiente poco profondo e vincendo la competizione con le alghe. Ma dopo milioni di anni di storia, oggi sono arrivati allo scontro finale con gli umani. E’ uno scontro diverso da quello che ha portato, soprattutto nel periodo sabaudo, alla distruzione delle foreste sarde ad opera dei carbonai, cambiando per sempre il territorio. E’ uno scontro dove l’uomo sta distruggendo i boschi del mare inconsapevolmente, per incuria ed ignoranza. In mare vale la regola che i problemi che sono sotto la superficie non si vedono, e se non si vedono non esistono. Nel mondo terrestre, invece, tutti sanno che se si elimina il bosco sopra una collina, l’erosione porterà via la terra e, col tempo, la collina diventerà solo roccia.

Scomparsa ormai da parte del Mediterraneo orientale e dal mare di Alboran (Gibilterra), questa pianta è quasi ovunque in regressione per via delle somma di molte attività umane che la danneggiano. E purtroppo non può scappare dagli esseri umani andando, come fanno molti pesci, verso fondali più alti e più sicuri. E’ una pianta dalle foglie esclusivamente verdi e non possiede quei pigmenti, rossi o gialli, che consentono a molte alghe di vivere nella penombra degli alti fondali. I boschi di posidonia hanno bisogno di luce intensa e pertanto di acque limpide e trasparenti (è raro che superino i 30/35 metri di fondo). Hanno bisogno di acque salate, e non salmastre o quasi dolci, e di un apporto continuo di materiale in sospensione. Se manca il materiale in sospensione le onde vincono sulle piante e le trascinano via, se è troppo le piante vengono ricoperte e soffocate.

Da ragazzo nuotavo tra i boschetti di posidonia nel piccolo e mal riparato porto di Alghero. E durante le mareggiate le foglie si accumulavano persino davanti alla stazione da dove partivano le littorine. Poi, negli anni 70 sono state realizzate le barriere di massi a protezione del lido, ma solo sul lato est della baia. Ciò ha causato una forte erosione della spiaggia sommersa e della costa dalla fine del lido fin quasi a Fertilia, ed una conseguente zona di accumulo di sabbia tra il lido e San Giovanni.

Cumuli di foglie a San Giovanni

Nella rada di Alghero, oltre all’erosione sul lato ovest creata dalle barriere, la laguna del Calich (con a monte la diga del Cuga) non apporta nuovo materiale perché questo rimane intrappolato sul fondo della laguna stessa e nel porto canale di Fertilia. A peggiorare le cose, dalla laguna fuoriesce acqua salmastra ricca di azoto e fosforo (in arrivo dal depuratore). Queste sostanze favoriscono la crescita di vari organismi sulle foglie di posidonia, ma diminuiscono l’efficienza fotosintetica della pianta e la indeboliscono, mentre la bassa salinità peggiora ulteriormente la situazione.

L’importanza dei boschi sommersi di posidonia è tale che l’uomo dovrebbe averne cura più ancora del giardino di casa propria. E qui si vedono tutti i limiti del fatto che mare e terra, dal punto di vista normativo e gestionale sono due compartimenti stagni. Mare e terra hanno “padroni” diversi” (Ministeri, Regione, Comuni,…) e siamo lontanissimi da una gestione integrata. Il mare ed i suoi fondali non sono gestiti poco e male, e questo è la causa di tanti problemi.

La Direttiva Habitat dell’UE (ratificata anche dall’Italia), ha stabilito che la posidonia è specie protetta e che i suoi habitat sono di importanza prioritaria. Ma non facciamo nulla per tutelarli. E ci dimentichiamo che dal mare e grazie al mare arriva la salute delle nostre coste, il pesce che mangiamo, l’attrazione turistica, la difesa dal cambiamento climatico. Sarebbe necessario istituire un “corpo forestale marino” che si occupi della salute del mare e della posidonia e che, proprio come viene fatto a terra con le nostre foreste, effettui reimpianti e crei difese per i boschi sommersi, vigilando severamente sugli ancoraggi. Nella rada di Alghero i boschi sommersi sono aggrediti dagli interminabili ancoraggi estivi e addirittura dalle ancore e dalle catene delle navi da crociera. Ogni ancora crea una ferita nella matte, che viene progressivamente indebolita e smantellata dalle onde e dalle correnti. Spesso, dopo le mareggiate, arrivano in spiaggia centinaia di piante ancora vive. Queste fragili piante dovrebbero essere recuperate e reimpiantate in mare a opera di una squadra forestale subacquea.

Ma purtroppo, salvo miracoli, i posidonieti sardi sono condannati: troppe grandi dighe (una cinquantina) trattengono i sedimenti impedendo che raggiungano il mare, troppe attività umane incontrollate lungo la costa (ancoraggi, inquinamento, vernici antifouling, opere costiere, pesca,…), e troppe alghe in arrivo da altri mari che cercano di togliere spazio ai nostri boschi sommersi.

E veniamo a quello che per la Natura è marginale, ma per l’uomo è un problema: i mucchi di foglie spiaggiate. Esistono tre possibili situazioni.

1 – La foglie morte si accumulano sul litorale, come ad esempio dopo villa Las Tronas, ma non danno fastidio a nessuno perché non sono in zona di balneazione. Si crea così un paesaggio che muta di continuo in funzione delle onde. Il mare si diverte a realizzare effimeri promontori in miniatura e piccole insenature. E’ un manto soffice e lascia orme profonde in chi lo calpesta. Davanti si crea un breve strato scuro di foglie galleggianti, un po’ inquietante per i bambini, da attraversare per raggiungere l’acqua trasparente. Ma da sempre, il mare di Alghero è stato così. E lentamente le foglie si sgretolano e vengono riciclate o formano le palle del mare (i buric)

“Buric”

2 – Le foglie si accumulano in un litorale balneabile ed esposto, come nella spiaggetta di Punta Negra. In questo caso proteggono la spiaggia dalle mareggiate invernali e dall’erosione e andrebbero rimosse solo con grande delicatezza e solo nei mesi estivi. Aver asportato eccessivamente per anni le foglie dalla spiaggia ha contribuito a causarne la sua quasi scomparsa. Ricordo la spiaggia integra negli anni 60. Era addirittura presente, sulla falesia a sinistra, una piccola grotta. Ora affiorano le rocce sottostanti la sabbia e la grotta è stata completamente smantellata dal mare. Molto meglio sarebbe stato se le energie spese in tanti anni per eliminare le foglie dal litorale con le ruspe, fossero state spese nel curare e proteggere la posidonia a mare. L’equazione è semplice: scomparsa o riduzione del bosco di posidonia a mare uguale erosione della spiaggia antistante. E immettere altra sabbia nel sistema (ripascimento) in questo caso non serve, perché il mare si porterà via pure quella.

3 – Le foglie si accumulano in un litorale balneabile e non esposto. E’ l’esempio di San Giovanni e del lido. In questo caso i mucchi di foglie non contribuiscono a difendere la spiaggia che non è in erosione. Si tratta comunque, come già detto, di un habitat identificato come prioritario dall’UE,(convenzione di Barcellona). E’ un ambiente litorale che, allo stato naturale, ha il suo ciclo di degrado (batteri, funghi e animali che demoliscono la sostanza organica e la rimettono nel sistema).

Foglie di posidonia

Se non è possibile lasciare lo stato naturale per motivi di balneazione, si può rimuovere delicatamente le foglie spiaggiate, ma dal punto di vista naturalistico non ha nessun senso spostarle provvisoriamente per rimetterle in situ d’inverno, come da norme attuali. La soluzione più accorta dal punto di vista ambientale è quella di raccogliere il materiale in primavera, setacciarlo in acqua per recuperare completamente la sabbia, e restituirlo al mare nei fondi poveri oltre 50 metri che hanno un gran bisogno di sostanze organiche. Questo detrito vegetale ha una grande importanza per l’ecosistema marino costiero. Non è difficile, inoltre, con tecniche di sorbonatura, recuperare le foglie che si depositano in mare, tra la prateria e la spiaggia, e che creano accumuli che le mareggiate porteranno in seguito sul litorale.

In alternativa, una volta asportato e setacciato, lo si può destinare ad usi terrestri come si faceva in passato, (agricoltura, imballaggi, coibentazioni,…) anche se la discontinuità di apporto del materiale e la necessità di desalinizzarlo, difficilmente potrebbero supportare un’industria del settore economicamente vantaggiosa. In ogni caso quest’ultima soluzione contrasta con le norme vigenti. Norme che però dimostrano quanto siamo lontani da una gestione attenta ed integrata della fascia costiera, dimostrano quanto poco sappiamo delle complesse dinamiche del mare. I litorali sono stupendi luoghi di incontro tra il mare e la terra, ma per l’uomo sembra siano ancora barriere e linee di confine tra due compartimenti stagni mal gestiti.

Insenatura del Trò

E’ comunque singolare che l’uomo trovi piacevole passeggiare in un bosco autunnale tra le foglie morte cadute dai rami degli alberi, ma non abbia lo stesso slancio pindarico per le foglie morte arrivate dal mare. E se qualche volta, a San Giovanni, si sente troppo “odore di mare” non è colpa delle foglie, ma degli scarichi urbani che finiscono tra le foglie e causano putrescenza.

Mi scuso se sono stato troppo “tecnico” in questo racconto, e mi dispiace che sembra proprio non esserci un lieto fine per i verdi boschi sommersi del nostro mare.

Roberto Barbieri

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