Rosa Sanna “La Gliavarora”

Ha messo al mondo 6.000 bambini

di Nino Monti e Carmelo Murgia

Uno dei personaggi algheresi più conosciuti della prima metà del novecento è stata sicuramente Rosa Sanna, più nota come Cià Rosa la Gliavarora (llavarora): una popolarità che gli derivava dall’essere stata la prima ostetrica di Alghero e dall’aver fatto nascere migliaia di algheresi nella lunga carriera durata circa 50 anni.

Ad Alghero nei primi decenni del XX secolo, i parti avvenivano quasi sempre in casa: l’ospedale era utilizzato solo nel caso di problemi seri insorti durante la gravidanza o , come allora si vociferava, dalla povera gente perché durante il ricovero la mamma poteva godere di un vitto abbondante.

Alghero ai primi del ‘900, vista dal “Bagnetto”

La sua adolescenza non è stata semplice: Rosa nasce nel febbraio del 1884 da genitori ignoti e affidata direttamente all’orfanotrofio delle suore francescane, cosi come il fratello Antonio Giovanni cinque anni prima. Questa procedura era stata possibile grazie a contatti diretti avuti con le suore prima del parto, evitando quindi l’abbandono del neonato nella cosiddetta ruota degli esposti presente in Alghero.

La prima “ruota” in Italia, secondo la tradizione, compare nel 1198 grazie al Papa Innocenzo III, turbato per il ritrovamento di numerosi cadaveri di neonati ripescati nel Tevere.
In Alghero la ruota che rimane impressa nella memoria è quella posizionata in una traversa del Carrer del Carmen nel 1837: da cui il nome Carrer de la Roda.

Carrer de la Roda

Così la descrive Michele Chessa nei suoi Racconti algheresi:

La ruota era dentro una nicchia scavata nel muro e nell’interno ci stava un tamburo fatto di legno aperto per un tratto tanto da poter adagiare un bambino. Il tamburo (la ruota) girava su se stesso. La nicchia dove stava il tamburo era chiusa da uno sportello sul lato della strada, mentre dalla parte interna era aperta e corrispondeva con il locale piano terra in cui viveva la custode retribuita dal comune. Il bambino veniva portato di notte, chi ne era incaricato apriva lo sportello e lo metteva dentro la ruota, poi la faceva girare in modo che l’apertura della ruota stessa andasse dalla direzione della custode del locale. Il bambino di solito piangeva, svegliava la custode che se lo andava a prendere. La mattina dopo portava il bambino in comune nell’ufficio dello stato civile dove veniva registrato all’anagrafe. La custode teneva il bambino fino a quando qualche buona persona lo richiedeva per allevarlo.
Il comune corrispondeva al dotatore un compenso mensile fino alla maggiore età. Spesso i dotatori per avere il bambino andavano a raccomandarsi prima dalla custode della ruota e poi in comune. La ruota ha funzionato fino agli anni Trenta (del Novecento)»1.

 1M. Chessa, Racconti Algheresi, La Celere, 1976, Vol I, p. 12.
Ruota degli esposti

Nel 1885 la madre, Michela Sanna (1851-1893) riconosce i due figli: Rosa (già chiamata Camelia) e Antonio Giovanni.
Occorre precisare che Rosa (Camelia) e Antonio Giovanni erano nati da una relazione (tenuta nascosta) che Michela aveva intrattenuto dopo la morte del marito avvenuta nel 1872 col quale aveva avuto altri due figli.
Era evidente che le condizioni economiche di Michela non consentivano il mantenimento di quattro figli, pertanto sia Rosa che Antonio Giovanni rimasero presso le suore.

Nel 1892 Michela contrae un secondo matrimonio con Antonio T. di 55 anni, vedovo anche lui e probabile padre naturale di Rosa e Antonio.
Un anno dopo purtroppo, all’età di 42 anni, Michela muore e i bambini rimangono presso le suore.

Come da prassi, le suore francescane tenevano le ragazze sino ai 18 anni e i maschietti sino 12-14 anni, l’età giusta per iniziare a lavorare.

Rosa a 18 anni si sposa con l’agricoltore Vittorio Antonio Aloi col quale avrà 8 figli, mentre il fratello Antonio Giovanni dopo qualche anno emigrerà in Brasile; di lui nonostante ricerche fatte dalla sorella si persero completamente le tracce.

Vittorio Antonio

Di Rosa, oltre a fare figli, emergono presto anche i molti tratti positivi del suo carattere.
Dimostra di essere una giovane donna intelligente, precoce e particolarmente emancipata; capisce che per rendersi indipendente economicamente occorreva trovare soluzioni che fossero diverse dal tradizionale lavoro domestico cui erano destinate allora quasi tutte le donne.

Nel 1908 si iscrive a un corso tenuto dal prof. Costa dell’Università di Sassari e consegue il diploma di ostetrica; Rosa raggiunge il suo primo obiettivo: è la prima ostetrica di Alghero.

Sono tempi nei quali i figli sono tantissimi, i soldi pochi; Rosa è molto impegnata col suo nuovo lavoro; spesso deve seguire nello stesso giorno due o tre nascite ma sempre con molta passione e soddisfazione personale.

I guadagni non sono sempre proporzionali all’impegno profuso: a volte il parto viene seguito gratuitamente o remunerato con qualche derrata alimentare, ma per Rosa, memore della sua condizione giovanile, va bene così, anzi in qualche occasione ha avuto modo di fare piccoli prestiti (spesso mai restituiti) a persone bisognose.

Per soddisfare al meglio le richieste di assistenza, Rosa si avvale della collaborazione di una donna semi paralitica, nota in famiglia col nome di “Mamai” che le sarà di grande aiuto per seguire le faccende domestiche.

Maria Santa Aloi primogenita di Rosa
Rosa con la nipote Maria Carmen figlia di Maria Santa

Viene assunta dal Comune di Alghero come ostetrica e può contare finalmente su uno stipendio fisso che le da una certa tranquillità economica; lavorando sodo e con uno stile di vita parsimonioso, riesce a comprare 5 appartamenti in via Principe Umberto (distrutti dai bombardamenti e poi ricostruiti), due in vicolo Adami, e alcuni terreni agricoli da destinare ai figli maschi. Manterrà per lei un piccolo appartamento dove vivrà con il figlio Angelino (noto Sagarineta) sino alla morte avvenuta nel 1974.

Sagarineta con la sorella Pinuccia

I cinque appartamenti di via Principe Umberto sono destinate alle figlie due delle quali prenderanno il diploma di maestre elementari e le altre saranno avviate verso l’arte del cucito. Un chiaro desiderio di rosa di voler costituire e tenere unito il nucleo familiare che a Lei era tanto mancato e, cosa altrettanto importante, quello di renderle economicamente indipendenti.

Bombardamento via principe Umberto

Si stima che i neonati che Rosa aiutò a nascere siano stati almeno 6.000; un’attività durata anni che la rese molto popolare al punto da rendere quasi del tutto anonino il cognome Sanna: per tutti era “cià Rosa la Gliavarora”, ostetrica e donna molto stimata dai suoi concittadini per la sua generosità e disponibilità, mai negata soprattutto alle persone umili.

Cià Rosa

Nel 1941 muore tragicamente il marito Vittorio Antonio: si pensa per un avvelenamento dopo aver bevuto acqua prelevata da una botte che aveva subito un lavaggio con prodotti non idonei (probabilmente a base di zolfo).
Rosa continua il suo lavoro di ostetrica e, avendo acquisito nel tempo grande esperienza, non mancava anche di formulare critiche quando, a suo dire, in ospedale dove era stato aperto il reparto di ostetricia, i parti non venivano seguiti con la dovuta attenzione e professionalità.
Proprio per la sua riconosciuta bravura, racconta la nipote Carla Ginesu, spesso veniva chiamata come consulente, in occasione di parti difficili, dal ginecologo dottor Renato Lobrano  per offrire i suoi preziosi consigli, anche dopo la sua collocazione in pensione.

Nel corso della sua lunga attività di lavoro non mancarono naturalmente anche episodi curiosi, come quando ricevette la visita di un pastore che le chiedeva di visitare la moglie incinta.
Rosa che aveva 80 anni spiegò al brav’uomo che era in pensione e quindi di rivolgersi al ginecologo dell’ospedale. Le insistenze del pastore furono tali che fu praticamente costretta a visitare la donna. Rosa stimò che la nascita sarebbe avvenuta un paio di mesi dopo, precisamente nel mese di febbraio; raccomandò ancora una volta di rivolgersi all’ospedale per il parto.
Due mesi dopo, a febbraio, verso le due di notte sentì bussare violentemente alla porta: era il pastore che disperato diceva che la moglie stava per partorire e che richiedeva il suo urgente intervento.
A nulla valse la rinnovata richiesta di portarla in ospedale: il disperato atteggiamento del marito e la preoccupazione che nel frattempo maturasse qualche tragedia, costrinse Rosa a prendere i ferri del mestiere e, sulla canna di una sgangherata bicicletta, raggiungere l’ovile situato ai piedi delle colline di Scala Piccada.

Il parto si dimostrò piuttosto complicato in quanto gemellare e con uno dei neonati in una posizione molto difficile. Grazie alla sua professionalità tutto andò per il meglio e l’episodio rimarcò, ancora una volta, non solo la sua bravura ma anche il suo notevole coraggio.

Ma per Rosa Sanna non mancarono anche episodi che la toccarono nel profondo del suo animo; come già detto lei, appena nata, era stata affidata alle suore francescane da madre ignota: ovviamente l’abbandono di neonati non era così raro soprattutto nel periodo della guerra quando la miseria, unita alla vergogna “consigliava” l’abbandono dei “frutti del peccato”.
In molte occasioni i neonati venivano abbandonati frettolosamente di notte alla porta delle chiese e spesso morivano perché ritrovati tardi. Il comune, per ovviare a questo pericolo, aveva realizzato una “ruota” in un appartamento comunale abitato per consentire un soccorso immediato.

Il problema nasceva quando, al momento dell’utilizzo della ruota si aveva il timore di venire individuati da occhi indiscreti.
In questo caso molte giovani donne si rivolgevano, disperate, direttamente all’ostetrica perché non solo le assistesse nel parto ma, cosa più delicata, provvedesse alla sistemazione del bambino nella ruota.
Poteva Rosa Sanna, memore del suo passato, negare questa richiesta? Evidentemente no.

Un altro episodio particolare viene raccontato dalla nipote Carla Ginesu:
“Si presentò a casa di mia madre Francesca (figlia di Rosa) un giovanotto sui trenta anni che affermava di essere stato affidato, appena nato, alle suore francescane dopo l’abbandono nella ruota”.

Il giovane, adottato in seguito da una famiglia continentale, era tornato ad Alghero col forte desiderio di conoscere la vera madre.
Attraverso una verifica presso l’anagrafe, dove venivano registrate la data di nascita e alcuni particolari (vestitino indossato e spesso un biglietto della madre con il nome del neonato), il giovane aveva scoperto che l’ostetrica che aveva provveduto alla consegna del pargolo era Rosa.
Il motivo della sua visita era quello di conoscere finalmente, attraverso la testimonianza dell’ostetrica, il nome della madre.

“Nonna Rosa, continua la nipote Carla, era mancata qualche anno prima e, solo dopo le insistenze del giovane, mia madre Francesca disse che avrebbe consultato gli appunti lasciati da cià Rosa, impegnandosi a informarlo, dopo qualche giorno, se fossero emerse notizie sul caso. Naturalmente era una scusa per prendere tempo perche mia madre aveva capito subito, appena il giovane aveva pronunciato il suo nome (molto inusuale in Alghero), che la madre era una donna che abitava vicino alla loro casa.

Non senza qualche preoccupazione e in modo molto riservato, prese contatto con lei chiedendole se voleva incontrare suo figlio.
La signora, che era sposata, acconsentì e l’incontro fu organizzato, ovviamente con grande circospezione”.

Per quanto si è saputo in seguito i contatti tra madre e figlio, sia pure molto sporadici e riservati, continuarono nel tempo.

Francesca e Carluccio Ginesu sposi
Angelino Aloi per tutti Sagarineta, insieme alle nipoti Carla, Rosangela e Bianca Maria.

Rosa dopo anni di servizio andò in pensione anche se non mancò di dispensare sempre buoni consigli e, come nel caso del pastore di Scala Piccada, anche fornire prestazioni fuori dall’ordinario.

Nel 1973, all’età di 89 anni, gli fu conferita dal Collegio Provinciale delle Ostetriche di Sassari una medaglia d’oro per gli alti meriti conseguiti nel corso della sua lunga professione.

La medaglia conferita dal collegio provinciale delle ostetriche di Sassari

Un giusto e doveroso riconoscimento alla persona di Rosa Sanna, doppiamente meritato anche per aver saputo testimoniare, in quei tempi difficili, il ruolo di donna generosa ed emancipata, che ha saputo, non senza difficoltà, rendersi autonoma economicamente e socialmente: una condizione che il mondo femminile avrà pienamente raggiunto solo dopo qualche decennio.

Cià Rosa la Gliavarora muore nel 1974 dopo una vita di lavoro: per seimila algheresi la prima immagine della loro vita.

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