La necropoli di Cuguttu

Associazione Tholos
Associazione Tholos

Alle spalle dell’Ospedale Civile si trova la necropoli di Cuguttu e Taulera.

Questo antico cimitero del periodo eneolitico ormai è illeggibile nel territorio. Le erbe nascondono da decenni gli ingressi degli ipogei che furono le sepolture degli antichi abitanti della zona nell’età del Rame. Le sue vicende sono ignorate da molti, soprattutto da coloro che utilizzano il luogo come discarica per ogni sorta di rifiuti.

Ma noi non potevamo dimenticarlo perché sappiamo che una parte della nostra storia è legata a quella località, che per gli antichi sardi era un’area sacra, un luogo di culto, di raccoglimento e di preghiera.

Il ritrovamento della necropoli di Cuguttu è opera dell’ufficiale dei Bersaglieri Roberto Melosi che per studi geologici ha esplorato i litorali di Alghero a sud della città con particolare interesse per le grotte verso il Cantar e la Cala Ballantino.

Durante le sue visite Melosi si è spostato nella zona nord, nei terreni attualmente alle spalle dell’Ospedale Civile.

Consapevole dell’importanza del suo ritrovamento e molto incerto sull’uso e sul periodo di quelle antiche strutture, comunica le sue scoperte al canonico Spano al quale invia una lettera della quale pubblico la parte che ci interessa.

Lettera in data 22 marzo 1873 Roberto Melosi al canonico Giovanni Spano.

“Né debbo tacere di un’altra grotta artificiale che trovai precisamente nel territorio di Cuguttu, poco distante da Alghero, nella quale vennero ritrovate delle ossa umane. Negli strati tufacei di quel luogo trovasi un’apertura a guisa di pozzo, e che altre volte deve esser stato nascosto con cura, perché anche oggi passa inosservato. Discesi in questa specie di pozzo del diametro di circa 80 centimetri, si trova un’apertura quadrata regolare: la quale mette ad un piccolo stanzino, e da questo in una specie di sala larga circa 2 metri, e lunga 3 metri.

Sulle tre pareti di questa sala sono altre aperture quadrate di 70 a 80 centimetri, le quali mettono ad altre piccole stanzine perfettamente quadrate; da una di queste aperture si penetra in una stanzina alla quale tien dietro altra assai larga, e che forma il punto più recondito di questo strano appartamento. Sul pavimento di ognuna di queste piccole stanze trovasi una pietra quadrangolare, la quale serviva ad otturare ermeticamente le aperture, essendo stata praticata nell’orlo dell’apertura stessa a questo scopo una specie d’intaglio affinché la pietra combaciasse perfettamente.

Una di queste stanze ha un buco nel soffitto per mezzo del quale penetra l’aria, e vedonsi segni evidenti che quivi furono accesi dei fuochi. Il suolo si compone di un sedimento fino della specie di quello che ho accennato per la tomba antecedente. Tutta questa sotterranea dimora è tagliata nel tufo con una regolarità ammirabile, ma per quanto mi facessi a lambiccare il cervello, non mi fu possibile indovinare a qual uso servisse ed a quale epoca potesse spettare.

Sortito da questa caverna, e girando su quei dintorni, scoprii, sulla parete di una specie di dirupo un’altra apertura tagliata come quella del detto sotterraneo, ma tutta piena di terra. Fatta portare una scala, trovai con mia sorpresa, nello scavare questo sedimento che l’otturava, una quantità di ossa umane, teschi, frammenti di crani, etc.

In questi dintorni trovai pure altri frammenti di ossidiana, ed una punta, che sembravami lavorata, di quarzo. Sarebbe stato necessario operare degli scavi, specialmente nella caverna, ma fu una disgraziata combinazione d’esser venuta a mia notizia l’esistenza di questa località il penultimo giorno della mia dimora ad Alghero. Non ostante potei rilevare una pianta con tutte le misure della caverna in questione.”1

Sarebbe interessante vedere la pianta disegnata dal Melosi.

Nel 1909  l’archeologo Antonio Taramelli, che era impegnato negli scavi di Anghelu Ruju, si recò a visitare Cuguttu in quanto già a conoscenza della lettera di Roberto Melosi.  Egli descrive la zona con le seguenti parole:

“A breve distanza dalla città di Alghero, presso la chiesetta di s. Agostino vecchio, dove la ferrovia per Sassari interseca la strada provinciale di Porto Conte, a poca distanza dalla spiaggia del mare, si elevano… una serie di leggeri rialzi composti di una roccia tenera … nella quale sono aperte le cave numerose per il materiale di costruzione. La regione porta il nome di Cuguttu. Questi rialzi, antiche dune del litorale quaternario, hanno fornito il materiale per gran parte della città d’Alghero, compresi i monumenti, i bastioni aragonesi e spagnuoli; ma ancora adesso questi materiali sono usati; e le cave per ottenerli hanno perforato in ogni senso ed in parte sino ad una profondità talora di sei o sette metri, specialmente nel tratto vicino alla chiesetta di s. Agostino e prossimo alla strada accennata.”2

Quando vide le tombe si accorse che erano state tutte frugate ed ampliate dai cavatori di tufo e dai pastori che vi ricoveravano il bestiame.

A questo punto l’archeologo, impegnato in altri lavori, si limitò a raccomandare ai cavatori di stare attenti e di avvertirlo in caso di ritrovamenti. Poco tempo dopo egli ebbe notizia del fatto che durante l’apertura di una nuova cava, si era tagliata una tomba.

Ma sentiamo ciò che dice lui stesso. “Non fui avvertito in tempo per sorvegliare lo scavo, che disgraziatamente non fu fatto a scopo archeologico, sicché… non potei che raccogliere il materiale sfuggito alla distruzione e visitare quel poco che rimaneva delle tombe”.3

Gli ipogei si presentano con caratteristiche simili a quelle di Anghelu Ruju. Da una breve rampa si accede ad un locale centrale circolare con aperture che immettono alle celle sepolcrali situate ad un livello superiore rispetto al pavimento dell’ambiente centrale.

L'ingresso di un ipogeo. (Foto 1999)
L’ingresso di un ipogeo. (Foto 1999)

La necropoli di Cuguttu si fa risalire all’Età del Rame e del primo Bronzo.

L’analisi dei reperti fa pensare al Taramelli che: “… questa tomba di Cuguttu sia più recente di quelle di Anghelu Ruju; e così possono spiegarsi le analogie più strette e numerose che siamo venuti notando col materiale dato dai nuraghi.”

In altre parole per l’archeologo Cuguttu segna il passaggio dall’Eneolitico al Nuragico e apparteneva a genti che, “in corso del tempo, dettero forma alla civiltà nuragica”.4

Ma la necropoli nascondeva ancora un altro importante reperto. In una domus si trovò in seguito un cranio trapanato, appartenuto ad un individuo vissuto nella prima età del Bronzo (1800-1600 a.C.) . Le grotte naturali e artificiali dell’Isola, sino ad ora, ci hanno restituito una decina di crani che avevano subito questa operazione.

I reperti erano di vario tipo. C’erano frammenti di ossa umane, utensili ed armi di selce ed ossidiana, due anellini e due braccialetti di rame, pendagli ricavati da denti di cinghiali e di volpi, valve di molluschi, oltre a numerosi vasi d’argilla. Alcuni erano decorati ma in prevalenza erano cotti in maniera incompleta e lavorati senza cura dei particolari.

Il numero elevato di sepolture che compongono il sito fa supporre che nelle vicinanze esistesse un villaggio densamente popolato. Il luogo è decisamente favorevole ad un insediamento umano: nel territorio si trovano numerose risorse naturali: la laguna del Calich, il mare, e campi pianeggianti. Vi si potevano sviluppare la pesca, la coltivazione e la caccia.

Tomba nei pressi dell'IPIA utilizzata come gettito.( foto 1999)
Tomba nei pressi dell’IPIA utilizzata come gettito.( foto 1999)

Come ci dice Taramelli non fu possibile salvare le tombe dai picconi dei cavatori di tufo.

Oggi viene spontaneo chiedersi il perché di tanto spregio e indifferenza verso un luogo così significativo del nostro passato.

Il Toponimo Cuguttu

Il termine Cuguttu in sardo significa “cappuccio” e pare appropriato per indicare la cima di un rilievo. Ma la zona è assolutamente pianeggiante.

Per tentare di dare una spiegazione si può ricorrere ad un documento citato dal Padre Passionista Adriano Spina che nel suo libro “I conventi ad Alghero tra il 1600 e il 1870” (Alghero 2002, pag. 10) cita un documento che si trova a Roma al Ministero delle Finanze dove si legge: “Orto Burruni di 2 ettari, confinante con la strada Cuguttu o Cappuccini”.

Il documento risale alla seconda metà del secolo XIX quando, in seguito alle Leggi 29 maggio 1855 e 26 luglio 1866, la Chiesa dovette cedere i suoi beni allo Stato. Questo accostamento Cuguttu-Cappuccini è molto interessante e spiegherebbe l’origine del toponimo. Nella prima metà del 1700 i frati Cappuccini si trasferirono a San Giovanni dove edificarono il loro convento. Per dare maggior consistenza all’ipotesi formulata bisognerebbe  sapere se la strada 127/bis divenuta poi Via Don Minzoni si chiamava allora strada di Cuguttu. Al momento è l’unica ipotesi sull’origine del toponimo.

  1. Nuovo Itinerario dell’Isola di Sardegna di Pasquale Cugia, Tipografia Nazionale E. Lavagna e Figlio, Ravenna, 1892, pag. 144 – 145
  2. Antonio Taramelli – Scavi e scoperte – Vol. I – Carlo Delfino Editore pag.435
  3. Antonio Taramelli – Scavi e scoperte – 1903-1910 – Vol I – Carlo Delfino Editore – Pag. 435-443.
  4. Antonio Taramelli – Scavi e scoperte – 1903-1910 – Vol I – Carlo Delfino Editore – Pag. 435-443.

Giovanna Tilocca

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