I Tupamaros

di Salvatore Pinna

Tutto iniziò nel 1968 e forse il famoso maggio francese non ebbe alcun impatto. Tre ragazzi iniziarono a farsi crescere i capelli, a mettere orecchini, ad usare rumorosamente zoccoli che si fabbricavano da soli.
Non passavano di certo inosservati e tutti li guardavano con un misto di ammirazione e paura. Non erano attaccabrighe, ma la mosca doveva volare ben lontano dal loro naso in quanto non temevano rivali nel menar le mani se provocati. Alcuni sostenevano che amavano provocare la provocazione.
Spinsero al massimo l’amore della libertà dei ragazzi della muraglia ed andarono a vivere nella Torre dei Cani.
Ad un lavoro sicuro, anche allora quasi impossibile da trovare, preferivano vivere di pesca e di espedienti. Erano maestri nella pesca subacquea e a lenza, ma era per loro molto importante l’aereo delle 13.30, che con il suo rombo era molto utile per coprire il rumore di potenti caltoccius che facevano tremare i vetri delle case dei bastioni. Si mormora che una volta l’esplosione, troppo potente e troppo vicina all’uscita della bassa,  fece risalire i liquidi nei bagni con grande sorpresa di qualcuno comodamente assiso sul trono.
Il pesce era poi rivenduto nel Bronx, come amavano chiamare il quartiere di Sant’Agostino.

I soldi servivano per i blu jeans, magliette e discoteca, generi di sopravvivenza. Nessuno dei tre fumava. I blu jeans venivano lavati dentro la torre con l’arenaria e scolorivano in modo meraviglioso e invidiato. Le lavatrici, che allora già si incominciavano ad usare, non potevano certo competere nel dare quel particolare colore slavato.
La Torre dei Cani era l’unico punto in cui d’estate c’era sempre l’acqua, utile soprattutto per cucinare. Si poteva anche usare quella del pozzo tra gli scogli tra uglietta e oglia miggiana (per i più giovani davanti alla catapulta).
Pane e vino erano cortesemente messi a disposizione dal Ristorante La Lepanto, il pesce dai tupamaros e non erano rare feste con turiste, cui  partecipavano  trenta e sinanche quaranta persone. Complice il vino i tre, tutti stonatissimi,  si lanciavano in canzoni di Agostino l’Ozio, “Cartocci rossi contro queste salpe, L’Arittu Attattu, Pissi Pissi Gagna ed altre.
I tre andavano poi in discoteca anche con un barbagianni addomesticato, detto Barnard per il viso a forma di cuore,  ed un falco.
Mal incolse una volta al Commissario di Polizia che si divertiva ad accarezzare i capelli al biondo facendo finta che fosse una donna, per ritrovarsi sotto un tavolo sospinto da un potente cazzotto.
I tupamaros si costruirono anche una barca dentro la torre, usando qualsiasi tipo di legno, sopratutto vecchi armadi.  Come spesso succede presero male le misure, anche per mancanza di un metro, e il primo modello non riuscì a varcare la piccola porta a mare. Miglior sorte ebbe “Mariuccia l’Andò” anche se utilizzata per il piccolissimo cabotaggio.
Per un certo periodo si unì al gruppo anche un quarto, un bravissimo ragazzo che poi userà i soldi guadagnati nella Nettezza Urbana per aiutare la famiglia e le sorelle.
Sempre nel 1968 presero una iniziativa molto in anticipo sui tempi. Coinvolgendo tutti i ragazzi della muraglia,  ripulirono accuratamente scogliere e spiaggette dal porto alla Villa Las Tronas, raccogliendo una quantità impressionante di brande, testiere di letto forse anche preziose, copertoni, ferrivecchi e chi più ne ha più ne metta.
Allora si usava “asprafundà tot adabash de la marina” e l’unica cornacchia che frequentava di mattina i bastioni si limitava a mangiare qualche involto di carta straccia con resti di pesce  o di carne, compito impari alla bisogna.
Furono portati su anche parecchi proiettili in pietra di catapulta messi a piramide nello spiazzo dove ora c’è proprio l’orribile catapulta.

Quando tutto fu accuratamente ripulito fu piantato il giardinetto sul mare dove ancora si vedono fichidindia e agavi, che ben si sposano con il finocchio marino, mentre il pancrazio, giglio di mare, allora ancora presente, è sparito. Furono usate piante che ben si adattano al mare.
L’idea partì da una bustone pieno di piante di agave buttato giù al mare e dopo le agavi vennero i fichidindia ed altre piante.
La pesca non si fermava nemmeno d’inverno con i muggini presi con il ral e arrostiti nel vicolo di Santa Barbara in un grosso braciere. Tutti potevano partecipare ai banchetti e venivano anche da Sassari, Non c ‘era tempesta che potesse fermare gli intrepidi tupamaros.
Negli anni settanta si misero d’accordo per fare le ferie,  anche per sfuggire alle eccessive attenzioni della polizia. Raccolsero  un gruzzolo  di circa 300 mila lire.  Una notte che i tre erano diciamo ancesus com lu fanc, il biondo tirò fuori il pacco dei soldi dal cirillo dove li conservava  e li voleva bruciare con un accendino, asserendo che venivano dal demonio. Tutti disperati a cercare di fermarlo e  la maggior parte delle banconote fu salvata grazie ad un opportuno placcaggio degno della futura squadra di rugby d’Alghero.
Il nome  Tupamaros non è legato al culto di Tupac Amaru ma al modo in cui i ragazzi usavano chiamare la polizia, che spesso riteneva di dover intervenire. Tupamaros ben si addiceva loro e gli rimase, anche se il termine venne esteso a tutti i muraglieris.
Poi vennero tempi difficili, passati anche in galera per una accusa di estorsione rivelatasi poi infondata.
Ed ecco i nostri partire per la Germania, grazie al gruzzolo salvato dall’accendino,  dove uno si fece notare per un maxi cappotto viola. Si presentarono all’improvviso in un piccolo villaggio tedesco dove il fratello di uno dei tre gestiva una discoteca. Questi  si affrettò a comprare loro tre completi per mimetizzarli meglio, ma le avventure continuarono anche in terra teutonica.
Riuscivano a bere quantitativi spaventosi di birra, si parla di un bidone di settantacinque litri in due in una sera.
Mantenevano tra i tedeschi il loro comportamento spavaldo e ci fu una volta una memorabile rissa dove i teutonici fecero ricorso a gas e due dei tre furono ricoverati in ospedale con una frattura rispettivamente alla mano e in testa.
Due rimasero in Germania per alcuni anni, uno ritornò quasi subito, non poteva stare senza la Muraglia, dove era abilissimo a pescare sia con il ral che a lenza, conosceva tutti i buchi ed i pesci che poteva trovare in ognuno.

La fama dei tupamaros, per il quali scrissero anche una canzone, si sparse subito a macchia d’olio e ancora se ne parla. Riuscirono a vivere per alcuni anni a modo loro, fuori da ogni schema e in piena libertà,  accontentandosi di un poco che dividevano con tutti.
E proprio per rispetto alla loro libertà non si è voluto rivelare il loro nome, lasciando che altri godano immeritatamente della loro fama!

Condividi sui social