Buon anno, Dama dama

di Roberto Barbieri

Fotografie di Daniele Sardu

Il rapporto degli umani con gli animali selvatici e difficile in quasi tutto il pianeta, e la Sardegna non fa eccezione. Di recente, il caso di una povera balenottera che si è spiaggiata nel litorale di marina di Sorso è finito sui giornali nazionali ed in vari programmi tv. Per un mese e mezzo una quindicina di enti diversi si sono messi a discutere su chi doveva fare cosa. Un teatrino, una malaburocrazia che pretendeva che il sindaco di un piccolo paese costiero (Sorso), risolvesse con le sue forze il problema di 17 tonnellate di animale finite su una battigia di competenza, peraltro, demaniale. E dire che l’intero Golfo dell’Asinara è all’interno del Santuario Pelagico dei Cetacei, con vari Istituti internazionali che li studiano. Inoltre, solo nel nord Sardegna, ci sono quattro parchi marini e due parchi nazionali con personale esperto. Ci sono i mezzi delle Capitanerie, Protezione Civile, Forestale, che avrebbero potuto con facilità rimuovere l’animale, ecc ecc… Ma mentre i tanti enti discutono, come in una favola, il mare cerca di riprendersi quello che è suo. Le onde smantellano la carcassa, mentre granchi, pesci, uccelli e batteri lavorano per riciclare la sostanza organica.

Forse un giorno lo scheletro finirà in un bel museo del mare (che per ora manca in Sardegna), e forse il caso servirà da insegnamento per essere più preparati ed organizzati una prossima volta. Inoltre, dato che i cetacei solitari, di solito si avvicinano a riva quando hanno qualche problema, sarebbe stato interessante capire le cause della morte. Probabilmente l’ingestione di grandi quantità di plastiche, uno dei peggiori regali che il mondo moderno sta consegnando ai mari ed agli oceani del nostro pianeta.

Ma se il nostro rapporto con il mare è pessimo, a terra fortunatamente va un po’ meglio. E’ fuor di dubbio che, in questi ultimi decenni, il nostro rapporto con gli ambienti naturali terrestri e con la fauna selvatica è decisamente migliorato. Lo dimostra anche la storia che segue, e che è decisamente a lieto fine.

A Porto Conte, proprio in questi giorni di inizio anno, un daino, finito in una grossa buca piena d’acqua, ed in pericolo di vita, è stato salvato all’ultimo momento. Il proprietario del terreno ha notato che l’acqua della pozza era insolitamente torbida. Poi, sporgendosi e guardando meglio, ha intravisto, seminascosto in un piccolo anfratto, l’inconfondibile sagoma di un daino maschio, riconoscibile per la presenza dei due palchi (corna) sulla testa. Avvisato un amico (Daniele Sardu, autore delle fotografie) hanno cercato aiuto, Contattando il dott. Marco Muzzeddu del Centro Recupero Fauna Selvatica di Bonassai, Persona di grande competenza ed esperienza (anche nell’intervento su animali marini come le tartarughe).

Il daino algherese imprigionato e stremato

Organizzata la squadra, non si è perso tempo. Gli uomini sono tornati sul posto con funi e con l’apposito fucile sparafiale sedative. L’animale, visto da sopra, appariva denutrito e stressato. Probabilmente era caduto nella buca da più giorni. Inoltre, tra i palchi aveva del filo elettrico (quello usato da alcuni agricoltori per tenere lontani i cinghiali dai campi). Forse era rimasto imprigionato dal filo in qualche scorreria notturna e aveva lottato a lungo per liberarsi, finendo poi nella buca.

Attualmente i daini presenti alle “Prigionette” sono 200/300 (230 secondo un censimento del 2010). E sono tenuti in stato semi-brado. Il loro nome scientifico della specie è Dama dama (in sardo cabriolu, da cui “escala del cabirol” la nota scalinata che raggiunge la Grotta di Nettuno).

Forse la specie arrivò millenni fa in Sardegna portata dai Fenici o dai Romani, nessuno lo sa con certezza. Quello che però è certo, è che, contrariamente a quelli che pensano che la caccia faccia bene all’ambiente, si estinse totalmente in Sardegna negli anni ’60. Vale a dire che furono cacciati tutti, tutti fino all’ultimo esemplare. Non bastarono a proteggerli nemmeno le più impervie forre del Supramonte. L’attuale popolazione di Capo Caccia e Punta Giglio deriva da una reintroduzione di esemplari dalla tenuta di San Rossore. Una storia simile ai grifoni di Punta Cristallo e di Marargiu, anche loro sterminati dall’uomo, e reintrodotti negli ultimi decenni dalle sierre spagnole.

Simile al cervo (appartiene alla famiglia dei Cervidi), ma un po’ più piccolo, il daino è un animale agile ed elegante. Salta facilmente muretti e recinzioni, e lo si può vedere facilmente nei campi intorno a Monte Timidone o a Monte Doglia. Le femmine non hanno palchi, mentre ai maschi ricrescono ogni anno sempre più ramificate. Come i cavallini della giara, vivono in gruppi (di solito harem) e la stagione degli amori dura un mesetto, tra ottobre e novembre. Ormai sono a pieno titolo parte del paesaggio di Porto Conte.

Ma torniamo al giovane daino maschio in difficoltà. L’anfratto dove si è rifugiato è stretto ed angusto. C’è acqua e fango dappertutto, il che rende difficile e scivoloso avvicinarsi all’animale. Ma il daino, mammifero evoluto ed intelligente, collabora con i suoi soccorritori. Non tenta di scappare nuotando nel fango e rischiando di annegare. Sembra capisca che gli umani sono li per aiutarlo e che il fucile del veterinario non è una minaccia. Rimane fermo in attesa.

Tutto va bene, l’animale viene leggermente sedato ed una robusta cima viene passata tra i palchi sopra la testa. Con attenzione lo si solleva lungo le sponde scivolose della buca ed è finalmente libero. Rimosso il filo elettrico tra i parchi, ci si accorge però che l’animale non potrà essere rilasciato subito nella macchia, perché è debole e provato da vari giorni di digiuno. Dovrà farsi perciò una breve vacanza riabilitativa nel centro di Bonassai, seguito con cura dall’infaticabile dott. Muzzeddu, per poi tornare libero a Capo Caccia solo quando si sarà ben ripreso. Ma, comunque sia, il 2018 per lui è iniziato bene.

Condividi sui social