Ricordo di Sergio Bolgeri

di Franco Ceravola Rosella

Ho conosciuto Sergio Bolgeri nei primi anni Cinquanta, quando frequentavo le Scuole Medie. Infatti suo padre Lorenzo aveva preso in affitto il magazzino che si trovava di fronte all’ingresso delle ex Scuole Medie nell’angolo tra il Corso Carlo Alberto e la Piazza Ginnasio, e lì lavorava insieme al figlio. Il padre dipingeva paesaggi e faceva il restauratore per quelle decorazioni che erano state di moda tra il 1800 e il 1900 all’interno dei palazzi della borghesia algherese. Incuriosito, mi avvicinavo spesso a quel negozio per vedere i nuovi lavori e così chiacchieravo con Sergio in quanto anch’io ero molto interessato, già da allora, al disegno e alla pittura.

Magazzino nel quale Lorenzo Bolgeri svolgeva la sua attività

In quel periodo operava in città anche Fortunato Busonera, venuto da Cagliari, che alloggiava in una stanza dell’Albergo “La Lepanto” di Cecchini e dipingeva soprattutto personaggi, pescatori, venditori di ricci, ma tra i due pittori non vi erano rapporti. In realtà gli artisti algheresi non si frequentavano tra di loro, e ciascuno faceva il proprio lavoro individualmente. Talvolta si organizzavano mostre collettive ma questi eventi non spezzavano l’isolamento culturale.
Ricordo che passando davanti al palazzo del dentista Pinna vedevo dentro l’ingresso i muri decorati con i bei pannelli di Sergio che raffiguravano uccelli svolazzanti realizzati con la tecnica che poi sarà la sua particolare maniera di dipingere. Infatti Bolgeri era puntato ad avere un prodotto caratterizzato da elementi costanti che lo distinguesse dalle opere allora in voga in città.

Opera monocromatica di Sergio Bolgeri

Era partito dal figurativo classico, alla moda di Busonera, e ricordo specialmente un quadro con le raccoglitrici di olive; ma ben presto è andato cercando un suo stile proprio, una pittura monocromatica con un soggetto ripetitivo basato su due elementi: l’uomo che cammina sulla terra e gli uccelli che volano in cielo. All’Aeroporto di Alghero si trova un suo pannello.
Sergio ha continuato a dipingere una forma quasi scheletrica con un impasto di vernice, colla e altri elementi, così che la figura viene fuori dalla tela in rilievo. Ha organizzato varie esposizioni nelle quali alla pittura abbinava i versi delle sue poesie pubblicate in varie raccolte.
Non ha mai abbandonato il lavoro di restauratore e di decoratore. Lui stesso si definiva scherzosamente “un imbianchino” ed era un modo per riportare la sua opera ai livelli concreti della creatività umana che si esprime nel fare, nel manipolare e nel plasmare la materia anche a fini molto pratici. Era una persona solare in contrasto con i suoi dipinti, forse voleva prendersi in giro per smitizzare la credenza che lui fosse uno scorbutico e scherzava continuamente con molta ironia. La sua vita è stata tutta dedicata al lavoro che lo assorbiva completamente.
Quando ci incontravamo scambiavamo due parole ma non parlavamo mai di pittura. Forse il senso artistico è così individuale che è difficile metterlo in discussione con altri e ciascuno lo tiene in un mondo appartato e solitario dove può sconfinare senza limiti.

Sergio è morto domenica 16 febbraio 2020 e il suo funerale si è svolto nella chiesa di San Michele, a pochi passi dal magazzino nel quale suo padre Lorenzo gli insegnava il mestiere di pittore.
Bolgeri ha trasmesso la sua passione per l’arte al figlio Renzo, che da alcuni anni lavorava con lui nella bottega di via Manzoni, e ora continua l’attività paterna nella tradizione di famiglia.

Diversi anni fa ho dedicato alcuni versi a Sergio e alla sua pittura. Mi interessava molto il suo modo di esprimersi che si discostava decisamente da quanto veniva prodotto in quel periodo dai pittori  algheresi i quali nelle tecniche e nei soggetti seguivano la tradizione del figurativo.
Ciò che mi aveva colpito del lavoro di Sergio Bolgeri era la ricerca della spiritualità dell’uomo percepito come elemento dello spazio universale.

opera floreale di Bolgeri
Dedicate a Sergio

Scheletri di pasta bianca
dalle ossa di duro granito
soli sul cielo delle città

Così, Sergio Bolgeri,
dalla figura allampanata,
cerchi il colore dell’anima.

I fantasmi del silenzio
nascono dalla tua nervatura inquieta
come lontani soli
circondati da oceani di spazio.

Teschi dalle occhiaie vuote
attraverso le quali si legge,
in fondo a un cuore di nebbia,
la solitudine,
emanano luci meccaniche
piene di tristezza.

Le ombre in putrefazione
consumano un’esistenza
di fibra acrilica.
Con pudore nascondi all’occhio profano
il lucido acciaio delle tue verità,
mentre strisce di nero seppia
creano atmosfere di foschia trasparente
impastate dal desiderio di verità.

Rapaci si librano in cappe di nerofumo
con arcobaleni esausti.
Esistenze monocromatiche
trafitte dalla miseria,
quali comete alla deriva,
che conservano al disotto
la geometria piana dell’esistenza.

Franco Ceravola Rosella

Condividi sui social