Ma dove sono finiti i rivoluzionari sardi?

di Roberto Barbieri

E’ il 1713 quando ai duchi della Savoia, per un gioco di equilibri internazionali (Trattato di Utrecht), viene affidata la Sicilia.

Le potenze europee si stanno dividendo tra loro parte dei possedimenti spagnoli e per il sig. Vittorio Amedeo II, duca delle montagnose terre della Savoia, è un colpo fortunato. Ottiene Nizza, varie terre in Piemonte e soprattutto la Sicilia. Non perde tempo, e nel dicembre di quello stesso anno si precipita nella cattedrale di Palermo per acquisire il tanto desiderato titolo di Re.

Ma le cose si mettono subito male. La Spagna non ci sta, e con una grossa flotta tenta la riconquista della Sicilia ed anche della Sardegna (nel frattempo diventata possedimento austriaco). E così, solo sette anni dopo, nel 1720 con un altro trattato internazionale, il neo re deve abbandonare, suo malgrado, la ricca Sicilia ed accontentarsi della Sardegna.

Si, proprio la Sardegna, isola arretrata e montagnosa, abitata da barbari che non si sono evoluti dai tempi della dominazione dei Romani. Mentre loro, i Savoia sono “raffinati”, parlano in francese e scimmiottano la corte di Versailles. Non ci fanno nulla tra le pecore e i pastori della Sardegna. Ma l’Isola può dare almeno una cosa ai Savoia: possono fregiarsi del titolo regale. Sono diventati Re di Sardegna.

Purtroppo però i sudditi sono pochi (allora come oggi l’Isola era molto meno popolata della Sicilia). Quindi per ricavarci qualcosa, i sudditi sardi dovranno essere spremuti come limoni. Dopo quasi quattro secoli di pesante dominazione spagnola, la Sardegna cambia padrone e prosegue la sua storia con l’oscurantista e medievale dominazione sabauda.

Però i re Savoia, per non infangarsi le scarpe, non metteranno piede sull’Isola, ma la governeranno con un vicerè da loro nominato. Il lavoro sporco di riscuotere tasse e prodotti, sedare le rivolte ed infliggere pene verrà fatto dai funzionari piemontesi e dai barones, i nobili proprietari terrieri. Grano, vino, olio, formaggi, legname e schiene e braccia dei sudditi… la Sardegna e le sue risorse vengono sfruttate il più possibile. Ed il popolo sardo, come sempre ha fatto dai tempi della sconfitta di Amsicora, china la testa e subisce il nuovo usurpatore.

Passano settant’anni e arriva la Rivoluzione francese. Ma le idee di libertà, uguaglianza e fratellanza, che pur iniziano ad infiammare i popoli europei, sono sconosciute in Sardegna. Si vocifera che i giacobini francesi distruggano le chiese, stuprino le donne e ghigliottinino allegramente i nobili, i preti e i monarchici.

Così quando la flotta francese arriva nel golfo di Cagliari e si predispone a conquistare l’Isola, i sardi si oppongono. E non gioca a favore dei francesi il fatto che, proprio nei giorni in cui iniziano a bombardare Cagliari (fine gennaio 1793), arriva fresca fresca la notizia che il 21 di quello stesso mese i rivoluzionari, a Parigi, avevano tagliato la testa al loro re, Luigi XVI.

E dato che il re Vittorio Amedeo III non intende difendere Cagliari, lo faranno i sardi stessi, guidati dal capopopolo Vincenzo Sulis.

Così l’Enciclopedia Popolare (edita a Torino nel 1848) racconta quei giorni …arrivò una flotta imponente sotto gli ordini dell’ammiraglio Truguet. I Sardi però si erano preparati alla resistenza, ed i Francesi si trovarono sotto un fuoco molto vivo, che veniva loro dai forti e dalle batterie, e che fe’ gran danno ai loro vascelli. Ciò non ostante cinquemila uomini sbarcarono vicino Quartu, ma furono vigorosamente respinti dagli indigeni, che sono la maggior parte buoni cacciatori, ed avvezzi alle armi da fuoco… L’ammiraglio francese, dopo aver inutilmente bombardata la città per parecchi giorni, s’imbarcò di nuovo co’ suoi soldati, ed andò via lasciando molte migliaia di uomini tra morti e prigionieri. Il re di Sardegna contento de’ suoi sudditi permise loro di domandare quel che avessero creduto utile per l’isola. I Sardi allora chiesero… (le famose 5 richieste). …ma i ministri piemontesi dissuasero il re di dar retta a questa petizione: una rivoluzione ebbe quindi loco nel 1794 e 1795, ed il comandante in capo, insieme coll’intendente generale furono uccisi dal popolo di Cagliari. In seguito colla mediazione dell’arcivescovo di questa città e del papa, nel 1796 fu proclamata un’amnistia generale, ed alcune domande degl’isolani furono accordate…

In realtà la delegazione sarda (tra cui l’algherese Domenico Simon) che portava a Torino le 5 richieste fece mesi di anticamera e non venne neanche ricevuta. Quando poi la risposta arrivò, negativa, per bocca del vicerè Balbiano, si scatenò la rabbia popolare. Il vicerè e centinaio di corrotti funzionari piemontesi vennero cacciati dall’isola.

Ma, all’interno degli Stamenti, il gruppo dei progressisti (Giocchino Mundula, Gavino Fadda, Francesco Cilocco,…) fu messo quasi subito in minoranza dai conservatori. La monarchia non veniva messa in dubbio, si lottava solo per “mitigare la tirannia baronale”, come recita la bella lirica di Francesco Ignazio Mannu.

Solo 4 mesi dopo la cacciata del vicerè (28 aprile 1794 e giorni successivi) ne arrivò un altro senza che nessuno avesse da eccepire. E meno di cinque anni dopo, nel 1799, torna con tutti gli onori lo stesso re Carlo Emanuele IV, il cui “regno”, divorato dalle conquiste napoleoniche, si era ridotto alla sola Sardegna.

In altre parole, il nuovo vicerè e gli stessi Stamenti (il parlamento sardo) si opposero da subito ad una svolta troppo progressista dei moti libertari del 1794 e di quelli del 1795 (che causarono l’assassinio dei conservatori Pitzolo e Paliaccio) .

Ma è soprattutto nel nord della Sardegna, ove era più duro il dominio baronale, che continueranno ancora per molti anni le rivolte antifeudali. Sul finire del 1795 gli Stamenti cagliaritani inviano a Sassari Francesco Cilocco, repubblicano convinto, che sposa subito la causa popolare. Insieme a Gioacchino Mundula guidano un’armata di 3000 contadini armati di forconi alla conquista di Sassari.

Nel febbraio dell’anno successivo, anche Giovanni Maria Angioy, verrà inviato a Sassari dagli Stamenti che gli conferiscono pieni poteri. Al suo arrivo a Sassari fine accolto da una folla festante. E come Cilocco, anche Angioy sposa la causa popolare.

Ma la “rivoluzione” sassarese dura meno di tre mesi ed il tentativo di esportarla nel sud dell’isola fallisce. Giovanni Maria Angioy, eroe e patriota sardo, è costretto a lasciare per sempre la Sardegna.

Ma i moti libertari, più o meno antimonarchici, per quanto repressi nel sangue, andranno avanti ancora parecchi anni. Se Cagliari, gli Stamenti e la nascente borghesia isolana si piegano alla monarchia, i paesi del Logudoro, dell’Anglona e del Mejlogu si rivoltano con forza contro i baroni: Ittiri, Uri, Pozzomaggiore, Bonorva, Sorso, Banari, Ozieri, Nulvi, Osilo, Sedini, Bessude, Semestene, Torralba, Cheremule, Mores, Thiesi.,… Nella lotta antifeudale si distinsero, tra gli altri, Cosimo Auleri ed il frate di Bonorva Francesco Muroni.

La repressione e durissima, con processi sommari e condanne a morte. Ultimo paese a cadere, nell’ottobre 1800, Thiesi (che nel 1796 aveva firmato con altri 31 paesi il Patto Antifeudale). E sono eroi sardi i 16 tiesini che moriranno (tanti altri rimarranno feriti) difendendo il loro paese dalle truppe del Conte di Moriana (fratello del re) del Duca dell’Asinara e del governatore Grondona. Molti altri verranno in seguito impiccati.

Scrive ancora l’Enciclopedia Popolare: …alcuni torbidi avvennero nel 1807 nel nord dell’isola dove il popolo è più disposto a ribellarsi che nel mezzogiorno. L’insurrezione assunse un certo carattere di guerra servile tra i contadini e i nobili. Molti palazzi baronali furono distrutti, fra gli altri quello di Sorso,… finalmente le truppe reali repressero l’insurrezione e parecchi de’ capi, che non erano tutti del popolo basso, furono condannati a morte o al carcere perpetuo.

E’ un eroe e patriota sardo il frate Gerolamo Podda che nel 1800/1801 tenta una cospirazione antimonarchica, ma viene arrestato e torturato. Muore in carcere due anni dopo.

Altri fuggono in Corsica aspettando il momento dell’insurrezione dei sardi. E’ il caso di Francesco Cilocco e del parroco di Torralba Francesco Sanna Corda. Cercano dalla Corsica di preparare l’insurrezione popolare nel nord Sardegna, e sbarcano in Gallura nel giugno 1802. Ma, proprio come avverrà un secolo e mezzo dopo con Che Guevara in Bolivia, l’insurrezione contadina non c’è.

E’ un eroe e patriota sardo Francesco Sanna Corda che viene ucciso ai piedi della torre di Longosardo (S. Teresa di Gallura).

E’ un eroe e patriota sardo Francesco Cilocco che viene catturato dagli uomini dei barones, legato ad un asino, schernito e frustato durante il viaggio verso Sassari, torturato, scarnificato, impiccato e decapitato. Le ceneri sparse al vento e la testa esposta per mesi come lugubre monito.

E’ un eroe e patriota sardo Domenico Pala, impiccato nel 1802.

Sono eroe e patrioti sardi i “Martiri di Palabanda” che, nel 1812, tentarono a Cagliari una rivolta antimonarchica: l’avvocato Salvatore Cadeddu, Raimondo Sorgia e Giovanni Putzolu, tutti e tre impiccati.

Un’altra diecina (tra cui due figli di Salvatore Cadeddu ed il fratello di Francesco Cilocco) sono condannati al carcere a vita o riescono a fuggire.

Questi moti sardi anticiparono i molti tentativi di insurrezione che si verificarono in più parti della penisola italiana per tutta la metà dell’Ottocento. Le vicende della repubblica romana, di Ciro Menotti a Modena o la disgraziata spedizione di Carlo Pisacane nel salernitano sono i fatti più conosciuti.

Quindi i veri rivoluzionari sardi ci sono, con tanto di nomi e cognomi. Ma di questi eroi e patrioti, quasi tutti uomini colti ed idealisti, o uomini di chiesa, i Savoia cercano di cancellare anche la memoria. La brutale ferocia, degna di Genghis Khan, con cui repressero i moti antifeudali sardi, ebbe lo scopo di spaventare ed agire da monito per i sudditi, ma servì anche a cancellare la memoria dei protagonisti.

Eppure oggi, dopo tanto tempo, i nomi di questi eroi sardi dovrebbero essere ben conosciuti nelle scuole di tutta la Sardegna, ed ai loro nomi dovrebbero essere dedicate vie e piazze.

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