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Egle Dessole

Biografia

Egle Dessole si avvicina alla fotografia fin da giovane, attratta dal suo potere espressivo e dalla possibilità di trasformare le emozioni in immagini. Questa passione la spinge a formarsi accanto ad alcuni tra i più importanti maestri della fotografia sarda, tra cui Bruno Manunza, Gigi Olivari, Marco Sanna e Marco Ceraglia, affinando nel tempo una visione personale e autentica.

Il suo linguaggio visivo si sviluppa prevalentemente in bianco e nero, una scelta stilistica che riflette il suo modo di osservare il mondo e diventa parte integrante della sua identità artistica. Le sue fotografie si concentrano su tematiche legate all’interiorità, all’identità e al rapporto profondo tra essere umano e ambiente, offrendo una lettura emotiva e simbolica della realtà.

Nel corso degli anni, Dessole riceve numerosi riconoscimenti partecipando a prestigiosi concorsi fotografici, e le sue opere vengono esposte in Sardegna e nel resto d’Italia, a testimonianza di un percorso artistico coerente e in continua evoluzione.


Da annoverare le mostre “Tra buio e luce” presso la biblioteca comunale di Como nel 2011


“Legàmi”
Prima esposizione presso la sala del castello dei Doria a Castelsardo nel 2012

Con il tempo, l’approccio spontaneo di Egle Dessole alla fotografia si evolve in una ricerca più consapevole, orientata all’esplorazione dei legami tra interiorità e mondo esterno. Dal 2010, il suo lavoro indaga come l’essere umano abiti lo spazio, fisico ed emotivo, dando forma a riflessioni visive sull’identità, la relazione e il senso di appartenenza.

Legàmi segna la prima tappa significativa di questo percorso, esplorando le connessioni invisibili tra identità, corpo e contesto.

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“Se ne legge, se ne parla, se ne scrive, ed ora lei è là, manichino di carne animato da un flusso di corrente, sotto il nostro sguardo, essenza animale, ignuda abitatrice di una stanza illuminata da acquario e odorosa di pollaio. Magra della magrezza delle vergini, incisa nella carne da parole note e ignote.

Ride. Ride sempre. E il suo riso sfrenato è il suo pianto a dirotto.

Psiche, creatura delusa e liberata dall’amore, racconta la sua verità terribile, e il perché Amore non vuol essere guardato negli occhi.

Senza fare in tempo a dirci cosa sia il vero amore. Un clic, e della nostra anima spenta non resta che la breve percezione di un bagliore, la vita in differita e nessun bisogno, neppure quello di piangere.”

Alberto Savinio “La nostra anima


“Desvelos”
Un importante lavoro sul carnevale ancestrale di Lula esposto presso il Museo Sanna, a Sassari nel 2013

Egle Dessole esplora il Carnevale ancestrale di Lula, uno dei riti più arcaici e intensi della tradizione sarda. Con questo progetto, continua la sua ricerca sul rapporto tra identità e appartenenza, catturando un momento in cui l’individuo si dissolve nel mito, nel suono e nella materia grezza del rito. Un viaggio visivo tra sacro e profano, dove ogni scatto è un frammento di memoria viva.

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“Spazi”
lavoro presentato al Bi foto festival 2014 a Mogoro, il festival di fotografia più importante della Sardegna,

La sperimentazione emotiva della fotografa continua a studiare come il corpo umano si trasfiguri nell’ambiente circostante, continuando il suo percorso rigorosamente in bianco e nero.

Questa volta il discorso si apre sullo sdoppiamento, la flessibilità e l’adattabilità, con l’utilizzo di superfici riflettenti e altri simboli polivalenti. Questa ricerca porta a considerare la capacità di ogni individuo di modificare il proprio comportamento e i propri processi mentali, per adattarsi alle nuove esigenze del contesto anche nelle situazioni più avverse traendone dei benefici.

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“Diario di bordo”

Diario di bordo nasce nel 2016 come raccolta di appunti visivi, annotati giorno dopo giorno, soprattutto durante i percorsi quotidiani a piedi attraverso la città per raggiungere il lavoro. Al posto di un taccuino, Egle Dessole sceglie una fotocamera compatta digitale, leggera e discreta, da portare con sé come fosse una sciarpa: un’estensione silenziosa dello sguardo, pronta a cogliere frammenti di realtà e riflessione lungo il cammino.

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“Il nido del cuculo”
Esposizione tenutasi presso la sala espositiva della Libreria Dessì, a Sassari nel 2022.

Il nido del cuculo è un’espressione del gergo statunitense che fa riferimento agli ospedali psichiatrici.

Durante la selezione delle immagini, Egle Dessole riconosce nel proprio volto lo stesso sguardo vuoto e alienato che aveva osservato anni prima in una persona a lei molto vicina durante l’adolescenza, affetta da disturbi psichici. Il processo creativo la conduce in uno stato di profonda intimità con sé stessa, riattivando un senso di estraniazione che, un tempo, aveva vissuto come spettatrice e che ora riaffiora come traccia emotiva nelle sue fotografie.

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“ Tu non sai quante volte bacio i cancelli di casa mia che si aprono soltanto se citofono alla pazza della porta accanto. E lei mi lascia fuori come un mendico. Ma io servo la sua nudità, la sua avarizia, il suo vangelo assassino. “

Alda Merini


Sempre nel 2022 a Thiesi, partecipa alla rassegna fotografica dedicata al mondo femminile “Immagini d’Autrice”.


“Crocevia”

Presentato a Thiesi nel 2024 Crocevia di Egle Dessole si compone di opere in bianco e nero, in cui l’individuo perde i propri tratti riconoscibili per dissolversi nello spazio costruito dall’uomo. La presenza fisica si annulla, lasciando emergere l’essenza immateriale di un’anima sospesa, al confine tra visibile e invisibile.

Si tratta del sesto progetto dell’autrice, un punto d’incontro tra luoghi e legami già esplorati nei lavori precedenti. Le immagini, osservate nel loro insieme, formano un mosaico di sensazioni che convergono in un pensiero unitario: da qui il titolo Crocevia, simbolo di sintesi e attraversamento interiore.

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Già precedentemente vincitrice di alcuni concorsi fotografici,

nel febbraio 2025 vince il primo premio della giuria tecnica per il contest fotografico ” Oltre l’immagine” organizzato dal comune di Parete.

A Febbraio 2025 espone a Palazzo Ducale a Sassari “Confini”, un estratto di tutti i suoi lavori in bianco e nero dal 2012 al 2025.

Nel Maggio 2025 espone al Parco delle arti Molineddu assieme alla scultrice Ebe Tirassa. “ Col corpo capisco “ a cura di Mariolina Cosseddu, unisce fotografia e scultura dove l’ autrice espone il suo ultimo lavoro dal titolo “Aperta Serrada ”.

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Alghero, sulle Tracce della preistoria

di Paolo Lombardi.

Nell’immaginario collettivo, Alghero occupa un posto di primo piano nelle mete turistiche più blasonate della Sardegna.
La città portuale così carica di profumo di storia medievale, ci fa vivere un’atmosfera magica, mentre si percorrono i suoi stretti vicoli racchiusi nelle possenti mura che affacciano i bastioni e le torri sul mare a ovest verso la penisola iberica. Il soggiorno ad Alghero offre la vacanza ideale, per gli amanti del mare l’offerta di spiagge dalla sabbia bianchissima e l’acqua verde smeraldo, non mancano certo di aspettative. Continua la lettura di Alghero, sulle Tracce della preistoria

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Fertilia e il Museo della Memoria

Il ricordo delle tragedie della storia non è mai facile. E diventa, a volte, il più importante scopo di vita per chi quelle tragedie ha vissuto. Ovvero ricordare, per mantenere e trasmettere quella memoria, con la speranza che l’uomo impari, capisca, rifletta, e non torni a ripetere le tragedie e le sofferenze del passato. Un messaggio per le nuove generazioni. Continua la lettura di Fertilia e il Museo della Memoria

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Dimmi chi c’è nel Canto 33 dell’Inferno…

di Roberto Barbieri

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Qualche sera fa, quasi per caso, sono stato invitato ad assistere ad una pièce teatrale nel mitico Lo Teatrì di Alghero. Lo Teatrì è probabilmente il teatro più piccolo al Mondo. Ma per quanto in miniatura, è una vera bomboniera artistica, una fucina di idee ed anche un capolavoro di soluzioni tecniche adattate allo spazio disponibile. Piccolo in dimensioni, ma grande in contenuti ed emozioni.

Ideatore e deus ex machina del teatro, ma anche attore, presentatore, regista, attrezzista, scenografo, organizzatore,…è Ignazio Chessa, geniale e vulcanico personaggio algherese.

L’ho incontrato per caso e mi ha invitato, quella sera stessa da lui, ad uno spettacolo teatrale. Un monologo di una ragazza. Altro non sapevo. Non il titolo, non il contenuto.

Ma, seguito lo spettacolo, non ho potuto fare a meno di prendere carta e penna e buttare giù queste righe. Titolo del lavoro, CANTO 33. Scritto e interpretato da Federica Seddaiu, diplomata all’Accademia di Arte Drammatica, con musiche di Luigi Frassetto.

Brava, simpatica e coinvolgente, Federica Seddaiu (cognome decisamente sardo) in questo lavoro racconta suo nonno Peppe, appunto di origini sarde, ma in seguito trapiantato a Roma. Peppe, nato del 1910, si scontra subito con una vita dura e difficile, comune a quasi tutti quelli della sua generazione che hanno vissuto fascismo e guerre. Bambino di sei anni è già servo pastore, costretto a dormire da solo nei boschi ed affrontare da solo paure e pericoli. Ma è intelligente e coraggioso e saprà sempre cavarsela nonostante le mille difficoltà della vita. Finisce in Abissinia, partecipa alla guerra di Spagna (costretto dalla parte sbagliata) e pure alla seconda guerra Mondiale.

Alla fine sposa una ragazza sarda ed a Roma, dove vivono, arrivano figli e nipoti. Riesce a dedicarsi alle sue passioni. In particolare ha un innamoramento per la Divina Commedia, letta per la prima volta da militare. Impara a memoria interi canti e registrerà le sue recitazioni nelle cassette magnetiche che si usavano negli anni ’80.

E quei nastri, ritrovati 40 anni dopo dalla nipote Federica, uniti ai suoi stessi ricordi, diventano l’ispirazione per la pièce teatrale. Una ricerca a ritroso nel tempo verso le proprie radici famigliari. E da qui anche il titolo del lavoro. Era lui, nonno Peppe, che le chiedeva sempre: dimmi chi c’è nel Canto Quinto? E nel Canto Ventiseiesimo? E nel Trentatreesimo? Brunetto Latini? Farinata? Ma, no. Chi c’è nel Canto 33?

Questo spettacolo mi ha fatto anche venire in mente, ed era naturale, le vicende di vita di miei nonni, in particolare del mio nonno paterno. Un uomo del 1892 che, nel 1911, a nemmeno vent’anni, fu sottratto ai campi e spedito nella guerra di Libia. Farà ritorno a casa dopo sette anni, nel 1918, senza mai un solo giorno di licenza, nemmeno quando morì la mamma, mia bisnonna. Era già una fortuna essere rimasto vivo. E in cambio di sette anni di guerra ricevette un pensione da miseria. Non gli bastavano due anni di risparmi per comprarsi un paio di scarpe…

Il secolo scorso è stato molto difficile, soprattutto la prima metà. Ma noi “nipoti” arriviamo dopo e quel passato tende a sfuggirci.

Torniamo però a CANTO 33.

Il monologo è autoironico e divertente, con numerosi riferimenti alla Sardegna, con il simpatico coinvolgimento del pubblico e con la recitazione di alcuni famosi passi dell’Inferno.

Ma quello che mi ha colpito e sento straordinario, al di là dello spettacolo, è l’atto d’amore che questa nipote ha fatto per suo nonno. A lei il passato non è sfuggito. Ha costruito e gli ha dedicato questo lavoro teatrale, arrivando persino a commuoversi quando, proprio in chiusura, chiama affettuosamente suo nonno per nome, Peppe…

Tanti di noi, forse tutti, hanno avuto nonni eccezionali a cui leghiamo con molto affetto la nostra infanzia e adolescenza. Nonni che ci hanno insegnato tanto e dato tanto amore.

Ma quanti nipoti arrivano a restituire questo amore così come ha fatto Federica? Quanti nipoti riescono a mantenere vivo e presente il ricordo del nonno quando non c’è più?

Viviamo in un tempo in cui non esistono neanche più gli album fotografici, e le vecchie foto ingiallite dei nostri nonni si perdono tra i nostri sbiaditi ricordi. Nonni vissuti in un tempo lontano quando non c’erano nemmeno i telefonini.

Certo qualche nipote va a portargli dei fiori ogni tanto. Qualcuno lo fa solo il 2 di novembre. Qualcuno neanche questo. La vita continua, ognuno di noi nipoti alle prese con la propria quotidianità, con i mille problemi della quotidianità.

Ma Federica non è stata una nipote qualsiasi, non si è nascosta dietro l’alibi della quotidianità. Ha trovato il modo, con intelligenza e sensibilità, di rendere omaggio a suo nonno Peppe. Quel bambino che, in tempi lontani e difficili, costretto a badare al gregge sui monti invece che andare a scuola, aveva poi, da grande, studiato gli autori classici e imparato a memoria la Divina Commedia.[/responsivevoice]

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Ignazio Delogu

Ignazio Delogu

un grande intellettuale algherese che pochi conoscono

di Roberto Barbieri

Ignazio Delogu (foto da web)

Grazie infinite al regista Marco Antonio Pani per aver realizzato un documentario sulla figura di Ignazio Delogu, uomo di cultura, scrittore, poeta, professore universitario, traduttore… e molto altro. Nato ad Alghero nel 1928, ma cittadino del Mondo, Ignazio Delogu è stato davvero un intellettuale multiforme ed un attivo protagonista della vita culturale e politica italiana.

Studioso soprattutto di letteratura catalana, spagnola e latino-americana, ha conosciuto personalmente e tradotto scrittori del calibro di Gabriel Garcia Marquez, Pablo Neruda, Rafael Alberti, Ernesto Che Guevara e tanti altri. Come Nanda Pivano importa in Italia la grande letteratura nordamericana, ed in particolare le opere della Beat Generation (J. Kerouac, A. Ginsberg, G. Corso…), Ignazio Delogu traduce in italiano grandi autori di lingua spagnola o catalana e di molti ne diventa amico.

Erano gli anni delle proteste contro la guerra in Vietnam e contro il regime dei colonnelli in Grecia, ma anche dell’entusiastico sostegno al Cile democratico di Salvator Allende, altro amico di Ignazio Delogu. Un sogno, quello cileno, che si infrange per sempre l’11 settembre del 1973. Per la mia generazione, eravamo adolescenti in quei primi anni ’70, le immagini in bianco e nero dell’assalto armato al palazzo presidenziale de La Moneda non potranno più essere dimenticate. E non potrà essere dimenticata la scia di sangue che ne seguì, tra cui, pochi giorni dopo l’assassinio di Allende,  la misteriosa morte di Pablo Neruda.

E Ignazio Delogu fa tutto il possibile per aiutare i suoi amici sudamericani. A Roma, diventa segretario dell’Associazione Italia-Cile, e molti profughi politici verranno aiutati a scappare dal lugubre regime di Pinochet.

E sempre in quegli anni è amico ed attivo collaboratore di Enrico Berlinguer. Frequenta il mondo intellettuale italiano: Guttuso, Moravia, Pasolini, Carlo Levi… e scrive poesie. Ma scrive anche numerose opere, soprattutto saggi, dedicati alla “sua” Sardegna. Insegna in varie Università, tra cui Sassari e Bari, traduce testi e scrive anche sui giornali.

Nei libri che leggevamo in quegli anni, “noi giovani” incontravamo spesso la firma di Ignazio Delogu. Nelle traduzioni, nelle prefazioni o nelle note fuori testo.

Ricordo, tra l’altro, un libro del 1967 dedicato alla vita di Beethoven, mia imperitura passione musicale. Il libro era double-face, allora si usava, e nell’altro verso c’era la vita di Goya, scritta da uno spagnolo e tradotta da Ignazio Delogu.

Nei libri che leggevamo in quegli anni, “noi giovani” incontravamo spesso la firma di Ignazio Delogu. Nelle traduzioni, nelle prefazioni o nelle note fuori testo.

Lessi per la prima volta il suo nome, come traduttore, nel libro di G.G.Marquez: Racconto di un naufrago, edito nel 1976. Ma ricordo soprattutto un piccolo libro, uscito nel 1967, e dedicato alla vita di Beethoven, mia imperitura passione musicale. Dato il mio interesse per Beethoven, comprai ovviamente la pubblicazione che però era double-face (si trattava dei tascabili doppi “Giano bifronte”) e nella seconda metà del libro c’era un saggio su Goya scritto da un autore andaluso, José M.Moreno Galván. Traduzione dallo spagnolo, ovviamente, di Ignazio Delogu. Ma questo libro aveva una particolarità. Proprio all’inizio, come prefazione, si può leggere una lettera personale che Moreno Galván invia ad Ignazio Delogu, e che, come tutte le lettere inizia con: Caro Ignazio,…

Ricordo che quell’inizio inusuale del saggio su Francisco Goya, ove per la prima volta leggevo il nome di Ignazio Delogu, mi rimase impresso. Inoltre quella breve lettera era non solo un ricordo dell’autore per il traduttore, ma anche una finestra che si apriva sugli ultimi anni della dittatura del Caudillo Franco. Non molto dopo, era il 1978, feci il mio primo viaggio in Spagna.  Una bella terra, allora molto diversa da quella di oggi.

Ma il tempo é comunque passato ed Ignazio Delogu, intellettuale davvero multiforme, muore nel 2011.

L’amico regista Marco Antonio Pani si è cimentato nel difficile compito di realizzare un documentario di quasi un’ora e mezza, ma con a disposizione pochissime immagini disponibili del protagonista. Un compito difficile e perfettamente riuscito.

Il risultato è un lavoro di montaggio “d’alta scuola”, con un sapiente equilibrio di spezzoni d’archivio, di grafica creativa e di contributi di persone che hanno conosciuto il protagonista.

Il lavoro scorre con grande fluidità e con un’ottima scelta delle musiche, vagando tra la Carbonia dell’infanzia, l’esplosività intellettuale della Roma del dopoguerra, il Cile di Allende e la Sardegna dipinta dai capolavori di Fiorenzo Serra.

Un grazie quindi al regista ed anche a chi ha collaborato alla realizzazione del documentario, tra cui: la Film Commission sarda, la Società Umanitaria/Cineteca Sarda e l’Omnium Cultural (Ignazio Delogu è stato un fondatore dell’Omnium Cultural de l’Alguer).

Presentazione del film ad Alghero

E’ auspicabile che la cultura sarda continui su questa strada, ovvero dedicare documentari di alto valore storico-artistico ai suoi figli migliori. La Sardegna è stata per secoli molto ingrata nei confronti di tanti suoi figli che molto hanno dato, mossi da nobili ideali, nel campo della cultura. E questo perché spesso incarnavano “pericolose” idee libertarie di giustizia sociale o di autonomia dell’Isola.

E’ ormai nell’aria un film documentario sulla figura di Antonio Simon Mossa, ed è sperabile che seguano altri lavori documentaristici dedicati a figure sarde meritevoli.

Una sola nota stonata. E’ dispiaciuto notare che alla proiezione di un film dedicato ad un grande algherese di levatura almeno europea, non erano presenti il sindaco di Alghero e nemmeno un qualche assessore. Un’assenza che nulla toglie al grande valore documentaristico ed artistico del film ed alle mature capacità registiche di Marco Antonio Pani.

Presentazione del film ad Alghero sulla destra il regista
foto di copertina tratta dal film di Marco A. Pani.
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Sant’Antonio Abate

di Giovanna Tilocca

[responsivevoice_button voice=”Italian Female” rate=”1.2″ pitch=”1.1″ buttontext=”Ascolta questo articolo”]

LA CHIESA E L’OSPEDALE DI ALGHERO

Ben pochi algheresi sanno che ad Alghero in via Cavour esisteva un antico ospedale attiguo ad una chiesa. Passando per la strada non si nota alcun segno evidente che possa darci delle informazioni e allora dobbiamo riferirci a vecchi documenti e a testimonianze. Continua la lettura di Sant’Antonio Abate

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Come nasce l’ospizio marino di Alghero

Copertina del libro di Stefano Campus

Stefano Campus ha pubblicato il suo primo libro dal titolo “Come nasce l’Ospizio Marino di Alghero”. Un’opera che contiene documenti inediti dell’algherese Giuseppe Alberto Larco, il personaggio grazie al quale si dà l’avvio alla realizzazione dell’Ospizio Marino di Alghero con l’obiettivo di eliminare una discriminazione sociale nei confronti dei bambini algheresi. Continua la lettura di Come nasce l’ospizio marino di Alghero

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Angeli di Pietra

di Roberto Barbieri

E’ probabile che, sul nostro pianeta, ogni specie vivente abbia in qualche modo coscienza della morte. Della propria morte e forse anche di quella dei suoi simili. La morte dell’individuo, pur biologicamente necessaria e logica, racchiude in se qualcosa di innaturale, qualcosa che sembra in contrasto con le strategie di sopravvivenza e di difesa che regolano le azioni di un qualsiasi organismo vivente. Continua la lettura di Angeli di Pietra

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Una nuvola tinta di rosa

Una nuvola tinta di rosa©

di Alessandro Lo Curto

Ero finito ad Alghero per puro caso: l’aeroplano su cui viaggiavo era diretto a Olbia, dove mi stavo recando per un impegno di lavoro per conto di una società immobiliare svizzera. Là mi sarei dovuto incontrare con un rappresentante delle proprietà di un magnate arabo e lo scopo del mio viaggio era l’acquisto di una prestigiosa villa sulla costa smeralda. Continua la lettura di Una nuvola tinta di rosa

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Fashion Victims – Pamphlet inutile sulla morte da Coronavirus

”Il corpo snaturato dalla solitudine, dalla drammaticità del dolore rimasto ancorato nel destino amaro dei reparti di degenza o tra le mura domestiche, privato delle attenzioni necessarie e della cura dei vivi, diventa, in un adattamento creativo, pretesto per ammantarlo e rivestirlo di nuovo senso, esplorarne l’intimità nascosta, lasciare emergere una rinnovata etica dell’identità e del rispetto dinanzi al momento ultimo del trapasso.”

Continua la lettura di Fashion Victims – Pamphlet inutile sulla morte da Coronavirus

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