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Il misterioso ipogeo di Maria Pia

a cura di Giovanna Tilocca

Relazione della Conferenza del 27 giugno 2025 tenuta dal Prof. Marco Milanese Ordinario di Archeologia e Metodologia della Ricerca archeologica dell’UNISS

1. Capitello con doppio ordine di foglie rigonfie.

Venerdì 27 giugno 2025 nella sala Mosaico del Museo Archeologico di Alghero il Prof. Marco Milanese, Ordinario di Archeologia e Metodologia della Ricerca Archeologica dell’UNISS, ha tenuto un incontro dal titolo “Il misterioso ipogeo di Maria Pia” organizzato dall’Associazione Tholos.

La Tholos ha deciso di occuparsi dell’ipogeo di Maria Pia nell’anno 2025 per mettere in evidenza il concreto rischio di perdere un monumento che ha superato ben Cinquecento anni di vita in maniera ottimale mantenendo tutta la sua bellezza e il suo fascino, per decadere nell’arco degli ultimi 25 anni, fino a diventare inagibile. Per la verità, senza l’intervento dell’uomo, il monumento sarebbe ancora integro. Infatti la porta d’ingresso, intatta fino agli anni Settanta del Novecento, è stata demolita dalla benna di una ruspa che non si è limitata a diserbare i paraggi dell’ipogeo ma ha buttato giù anche lo stipite sinistro e la pregiata architrave.

2 Ingresso dell’ipogeo. Foto pubblicata da Vico Mossa nel 1979.
3. Foto dell’ingresso nel 2024. Negli anni Ottanta una ruspa che diserbava la zona
ha abbattuto lo stipite sinistro e l’architrave.
immagine di come probabilmente si presentava l’ingresso dell’ipogeo

Sempre per fare delle migliorie, nella zona sono stati piantati degli alberi e un gigantesco eucalipto, poi abbattuto, ha provveduto a disgregare l’interno dell’ipogeo attraverso le sue possenti radici e sembra che la loro opera demolitrice non sia ancora cessata.

4. 2001-2002: Le radici dell’eucalipto provocano i primi danni.
5. 2024: Le radici sgretolano la muratura.
6. 2024: Come si può osservare, le radici hanno sostituito in parte i costoloni ed hanno provveduto anche a staccare le parete dell’ingresso al locale circolare.
7. 2001-2002: Ingresso alla camera ancora integro.

Naturalmente non sono mancati neppure i tombaroli che, sognando un sidaru nascosto chissà da chi, hanno frugato ben bene e, delusi, hanno lasciato un buco che è anche simbolico del loro lavoro.

8. Ecco l’opera dei tombaroli (foto 2024)

Il dato di fatto è che una ricerca della Scuola Media “Grazia Deledda” del 2001-2002, ci mostra la struttura ancora in buono stato (eccettuata la porta d’ingresso); la visita fatta in quel periodo ha rivelato i primi danni provocati dalle radici dell’eucalipto, ma ci si poteva fermare lì se si fosse intervenuti tempestivamente. In un articolo pubblicato dalla Nuova Sardegna del 10 ottobre 1995 Maria Chessa Lai aveva già lanciato un allarme e aveva chiesto solleciti interventi, seri e competenti, in modo da preservare la memoria e le tracce artistiche del monumento. Suggeriva di sostituire gli alberi con essenze meno deleterie per le murature sottostanti ma, come abbiamo potuto vedere, anche quel semplice intervento non fu attuato con le conseguenze che abbiamo potuto constatare. Di fronte a tanta ingiustificabile indifferenza si rimane letteralmente senza parole.

Dopo tanti anni e tante traversie, l’ipogeo si è meritato ora un po’ di attenzione e l’Associazione Tholos, ha provveduto a segnalare le emergenze già dal Natale 2024 proponendosi di eleggerlo a monumento da salvare per il 2025. Nel maggio 2025, in occasione di Monumenti Aperti la Tholos è stata coinvolta dall’amministrazione comunale per tenere aperto il sito di Maria Pia, e i soci hanno provveduto a realizzare un pieghevole con notizie e immagini per illustrare il monumento ai numerosi visitatori. Proseguendo nel suo programma, nel mese di giugno ha organizzato una conferenza con l’archeologo prof. Marco Milanese, che conosce molto bene la storia del nostro territorio dato che ha scavato più volte in città curando puntualmente la comunicazione dei risultati ottenuti nel corso delle sue importanti ricerche con un linguaggio accessibile a tutti, attraverso conferenze e pubblicazioni.

L’incontro, dal titolo “Il misterioso ipogeo di Maria Pia”, si è tenuto venerdì 27 giugno 2025 nella sala Mosaico del Museo Archeologico di Alghero. Le sedie della prima fila erano state lasciate libere per le autorità invitate in quanto parti in causa, dato che avrebbero dovuto farsi carico della situazione del sito per individuare le modalità istituzionali di intervento al fine di fermare il degrado e di riportare l’ipogeo al suo originario aspetto. Purtroppo però non si è presentato nessuno, a causa di altri impegni istituzionali.

Sentiamo ora come l’archeologo ha affrontato l’argomento.

Il Prof. Marco Milanese ha iniziato il suo discorso ponendo l’accento sulla parola “misterioso” riferita al monumento. Per uno studioso non esistono misteri, ma si può invece parlare di soggetti da sottoporre a ricerca e indagine con l’utilizzo degli strumenti in dotazione alle varie specializzazioni.

In questa ottica l’ipogeo può dunque venire studiato sotto il profilo archeologico, storico e artistico per cercare risposte che chiariscano la datazione, la funzione e il contesto.

Ha continuato rilevando che se cerchiamo sul web, in siti come Monumenti aperti e Villa Maria Pia troviamo sull’ipogeo notizie molto sintetiche, riferite con un linguaggio giornalistico. In parole povere, chi esplora l’argomento trova in internet notizie non documentate e talvolta non attendibili, che fanno convergere l’interesse su un dato sensazionale, quello che dà per scontato che il monumento sia la tomba medievale di un personaggio molto importante. Anche il pannello situato nei pressi dell’ipogeo dall’azienda che aveva avuto Villa Maria Pia in concessione dal municipio e intendeva valorizzare il monumento, parla della Tomba del Cavaliere ma questa è un’ipotesi fondata sul nulla.

9. Le foto del pannello mostrano la cripta in un periodo precedente l’attuale degrado.

Vediamo piuttosto di ragionare su dati di fatto.

Come abbiamo detto, occorre indagare su datazione, funzione e contesto.

È fondamentale certificare la datazione dell’oggetto di studio per poter procedere oltre. Ci chiediamo poi qual era la sua funzione. Era forse una tomba? Ci sono altre ipotesi?

Infine occorre riflettere sul contesto: cosa ci fa una tomba in un territorio malsano, per qual motivo c’è questa costruzione nel nulla?

Nella nostra indagine, in assenza di documenti, dobbiamo cercare le risposte dal confronto con altri monumenti. Possiamo dunque affermare che l’apertura dell’ingresso con architrave monolitica può venire paragonata alle finestre delle abitazioni di Alghero del Cinquecento anch’esse rettangolari con architrave ricavata da un’unica pietra.

Esploriamo l’interno che si presenta di forma cilindrica con un’altezza dal piano di campagna di circa 5 metri, sei costolature ciascuna divisa in tre fasce che riportano allo stile tardo gotico con influssi rinascimentali, e un interessante oculo che illumina il vano sottostante.

10. A. M. Clemente – Rilievo del vano circolare.

Purtroppo dobbiamo constatare che al suo interno si sono stati creati gravi danni causati negli anni dagli eucalipti che cercavano l’umidità con le radici e hanno provocato lesioni e distacchi della muratura.

Secondo alcuni studiosi l’ipogeo era collegato con la chiesa di San Giacomo ma ulteriori accertamenti hanno rilevato che l’edificio sacro era ubicato nel lato opposto rispetto a Villa Maria Pia. La chiesa, citata per la prima volta nella carta di Rocco Capellino del 1577, dovrebbe essere diventata la casa del Calich, una struttura di pertinenza della peschiera della laguna, come ha rilevato Antonio Serra.

Particolarmente interessante è l’articolo di Maria Vittoria Sanna su Studi Sardi di Cagliari, una rivista molto seria. L’autrice sviluppa un ragionamento interessante e parla delle Saline situate presso il Calich, assegnate nel 1436 da Alfonso V a Nicolò Abella, appartenente ad una stirpe di cavalieri tenuta in grande considerazione dalla Corona Aragonese.

11. Dettaglio della carta che mostra la posizione del “Ponta S. Giacomo”, del Casino del Caligo e della vasta zona delle “Salinette” quasi all’altezza del collegamento della laguna con il mare.

L’autrice identifica come il Fangario le antiche saline precisa che quel territorio ritornò alla città di Alghero nel 1741 con l’estinzione della famiglia Abella. M. V. Sanna riporta delle ricerche originali in quanto ha recuperato nell’Archivio di Stato di Torino una relazione sulla riapertura delle saline di Alghero nel 1779 dopo la chiusura avvenuta nel 1708-1712. All’epoca quell’antico sito era conosciuto come Le Salinette.

Nel 1779 l’imprenditore torinese Giuseppe Ludovico Assom che progettava di ripristinare le saline, ne fece richiesta all’Intendente Generale di Cagliari e visitò la zona con un mastro saliniere poiché aveva l’idea di realizzare varie strutture produttive e abitative destinate ai lavoratori del sale.

M. Vittoria Sanna avanza l’ipotesi che la struttura di Maria Pia fosse un pozzo collegato con le antiche saline e fa dei confronti con il pozzo di San Patrizio della rocca di Orvieto, che risale alla prima metà del Cinquecento. Anche lì troviamo l’oculo, una porta di accesso, le scale elicoidali che girano attorno al pozzo, una struttura fuori terra con il portale di ingresso come vediamo a Maria Pia.

Dunque i misteri sono in realtà dei problemi di ricerca risolvibili con una metodologia adeguata.

12. Cupoletta con l’oculo che illumina l’interno del monumento.

Il Prof. Marco Milanese conclude il suo discorso elencando i vari passaggi opportuni per chiarire questo “mistero”.

Proposte:

effettuare un rilievo fotogrammetrico con tecnologie moderne, più preciso rispetto ai rilievi tradizionali;

avviare indagini sulle tecniche costruttive e sulle soluzioni architettoniche mediante confronti dei vari elementi: architrave, scala e fasci di costolature da comparare con altri esempi simili;

operare il recupero del piano pavimentale che oggi è obliterato a causa delle macerie al fine di ottenere maggiori informazioni sicuramente importanti;

riunire, catalogare, studiare, documentare gli elementi architettonici erratici che stanno sparsi intorno, a partire dall’architrave;

avviare indagini geofisiche in grado di penetrare il terreno per darci un’idea delle strutture eventualmente presenti nel sottosuolo nella vasta area intorno al rudere;

attuare saggi di scavo in tutta l’area intorno al rudere;

digitalizzare e analizzare la documentazione archivistica trovata fino ad oggi per poter ingrandire ad alta risoluzione le carte e studiare i dettagli;

servirsi di fotografie satellitari per studiare le tracce intorno al monumento per individuare le possibili anomalie;

realizzare un modello altimetrico (MDT) per verificare le differenze anche di mezzo metro nell’altimetria per controllare la quota alla quale si trova il monumento;

mettere in rapporto il monumento con le antiche saline e possibilmente anche con la chiesa di san Jaume effettuando un possibile saggio di scavo anche lì per ampliare la conoscenza.

Dopo la conferenza ci sono stati alcuni interventi del pubblico che hanno sottolineato l’alto pregio del monumento, la sua indiscussa qualità architettonica e la sua squisita bellezza. Rimane ancora il rammarico per non aver potuto dialogare con l’amministrazione municipale su un soggetto così particolare e importante, di sicuro richiamo storico e culturale per una città come Alghero che non merita l’oblio di un suo autentico gioiello che pare ormai destinato a diventare un rudere a causa della  incuria verso ciò che nel lontano Cinquecento era stato oggetto di una accurata e originale progettazione architettonica e artistica. Un’altra caratteristica dell’ipogeo è la sua unicità in territorio sardo. Fino ad oggi non si conosce un’altra costruzione simile nell’Isola e questo è un elemento che sicuramente aumenta il suo pregio e nello stesso tempo rende più ardua la comprensione della sua ragion d’essere.

Tra le attività che l’Associazione Tholos ha programmato per favorire la conoscenza del monumento c’è la pubblicazione di alcuni articoli che trattano l’argomento, corredati da illustrazioni e foto che mostrano la situazione del 2000 e quella attuale. Vorrei infine aggiungere che ho testimonianza che fin dal 1981 e forse anche da prima, comuni  cittadini e non, hanno fatto presente a chi di dovere che l’ipogeo era un monumento importante, da tutelare e valorizzare. Nel 1995 Maria Chessa Lai ha esplicitamente detto che esisteva il concreto pericolo di gravi danni alla struttura. Nel 2001-2002 la ricerca della Scuola Media “Grazia Deledda” ha mostrato i primi danni. Nel 2025 siamo arrivati al dunque e le immagini parlano da sole. Che cosa vogliamo fare adesso?

Bibliografia - Sitografia
V. Mossa, Natura e civiltà in Sardegna, Chiarella, SS, 1979. Foto n° 2.
Scuola Media "Grazia Deledda" Alghero, Una mica d'historia algueresa, La Poligrafica Peana, Alghero, 2003. Foto n° 1,4,7.
M. V. Sanna, Un ipogeo tardo gotico in territorio di Alghero (SS), 2000. Foto 10, 11.
A. Serra, Le chiese campestri di Alghero, Edizioni del Sole, 2006.
https://www.algherovillamariapia.it/esclusiva-e-affascinante/la-storia-della-villa. Foto n° 9.
Anno 2024 - Foto n° 3, 5, 6, 8, 12.

 

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Le ragazze e i ragazzi di Pinuccia

Sostieni la memoria, celebra il talento: contribuisci alla realizzazione de “Ie ragazze e i ragazzi di Pinuccia“, il libro che raccoglie le opere premiate nel Concorso letterario Pinuccia Ginesu Maffei dal 2017 al 2025.

La Famiglia Ginesu Maffei, la libreria “Il Labirinto” e la Scuola primaria Maria Immacolata di Alghero, in collaborazione con l’associazione culturale Storie di Alghero,  promuove la stampa di un volume dal titolo “Le Ragazze e i ragazzi di Pinuccia”: una raccolta di tutti i componimenti poetici e narrativi premiati all’interno del Concorso “Pinuccia Ginesu Maffei”, dalla prima edizione del 2017, fino all’VIII edizione del 2025.

Il concorso è riservato agli alunni delle classi quinte di tutte le Scuole primarie di Alghero, con l’intento di stimolare la produzione scritta da parte dei bambini della Scuola Primaria e valorizzare la creazione poetica e narrativa. 

Si è voluto intitolare il premio alla memoria di Pinuccia Ginesu Maffei, insegnante elementare algherese, poetessa e cantautrice, in virtù del suo amore verso la città di Alghero, nonché per l’impegno dimostrato durante la sua vita nei confronti dell’infanzia e per la capacità di valorizzare ed orientare la crescita umana e civile dei bambini.

Il volume “Le ragazze e i ragazzi di Pinuccia”, proprio perchè contenente componimenti creati  dagli stessi bambini della Scuola Primaria,  diventerà un importante  strumento didattico nell’ambito dei progetti di animazione alla lettura e alla scrittura di tutte le scuole cittadine e non solo. 

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Egle Dessole

Biografia

Egle Dessole si avvicina alla fotografia fin da giovane, attratta dal suo potere espressivo e dalla possibilità di trasformare le emozioni in immagini. Questa passione la spinge a formarsi accanto ad alcuni tra i più importanti maestri della fotografia sarda, tra cui Bruno Manunza, Gigi Olivari, Marco Sanna e Marco Ceraglia, affinando nel tempo una visione personale e autentica.

Il suo linguaggio visivo si sviluppa prevalentemente in bianco e nero, una scelta stilistica che riflette il suo modo di osservare il mondo e diventa parte integrante della sua identità artistica. Le sue fotografie si concentrano su tematiche legate all’interiorità, all’identità e al rapporto profondo tra essere umano e ambiente, offrendo una lettura emotiva e simbolica della realtà.

Nel corso degli anni, Dessole riceve numerosi riconoscimenti partecipando a prestigiosi concorsi fotografici, e le sue opere vengono esposte in Sardegna e nel resto d’Italia, a testimonianza di un percorso artistico coerente e in continua evoluzione.


Da annoverare le mostre “Tra buio e luce” presso la biblioteca comunale di Como nel 2011


“Legàmi”
Prima esposizione presso la sala del castello dei Doria a Castelsardo nel 2012

Con il tempo, l’approccio spontaneo di Egle Dessole alla fotografia si evolve in una ricerca più consapevole, orientata all’esplorazione dei legami tra interiorità e mondo esterno. Dal 2010, il suo lavoro indaga come l’essere umano abiti lo spazio, fisico ed emotivo, dando forma a riflessioni visive sull’identità, la relazione e il senso di appartenenza.

Legàmi segna la prima tappa significativa di questo percorso, esplorando le connessioni invisibili tra identità, corpo e contesto.

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“Se ne legge, se ne parla, se ne scrive, ed ora lei è là, manichino di carne animato da un flusso di corrente, sotto il nostro sguardo, essenza animale, ignuda abitatrice di una stanza illuminata da acquario e odorosa di pollaio. Magra della magrezza delle vergini, incisa nella carne da parole note e ignote.

Ride. Ride sempre. E il suo riso sfrenato è il suo pianto a dirotto.

Psiche, creatura delusa e liberata dall’amore, racconta la sua verità terribile, e il perché Amore non vuol essere guardato negli occhi.

Senza fare in tempo a dirci cosa sia il vero amore. Un clic, e della nostra anima spenta non resta che la breve percezione di un bagliore, la vita in differita e nessun bisogno, neppure quello di piangere.”

Alberto Savinio “La nostra anima


“Desvelos”
Un importante lavoro sul carnevale ancestrale di Lula esposto presso il Museo Sanna, a Sassari nel 2013

Egle Dessole esplora il Carnevale ancestrale di Lula, uno dei riti più arcaici e intensi della tradizione sarda. Con questo progetto, continua la sua ricerca sul rapporto tra identità e appartenenza, catturando un momento in cui l’individuo si dissolve nel mito, nel suono e nella materia grezza del rito. Un viaggio visivo tra sacro e profano, dove ogni scatto è un frammento di memoria viva.

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“Spazi”
lavoro presentato al Bi foto festival 2014 a Mogoro, il festival di fotografia più importante della Sardegna,

La sperimentazione emotiva della fotografa continua a studiare come il corpo umano si trasfiguri nell’ambiente circostante, continuando il suo percorso rigorosamente in bianco e nero.

Questa volta il discorso si apre sullo sdoppiamento, la flessibilità e l’adattabilità, con l’utilizzo di superfici riflettenti e altri simboli polivalenti. Questa ricerca porta a considerare la capacità di ogni individuo di modificare il proprio comportamento e i propri processi mentali, per adattarsi alle nuove esigenze del contesto anche nelle situazioni più avverse traendone dei benefici.

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“Diario di bordo”

Diario di bordo nasce nel 2016 come raccolta di appunti visivi, annotati giorno dopo giorno, soprattutto durante i percorsi quotidiani a piedi attraverso la città per raggiungere il lavoro. Al posto di un taccuino, Egle Dessole sceglie una fotocamera compatta digitale, leggera e discreta, da portare con sé come fosse una sciarpa: un’estensione silenziosa dello sguardo, pronta a cogliere frammenti di realtà e riflessione lungo il cammino.

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“Il nido del cuculo”
Esposizione tenutasi presso la sala espositiva della Libreria Dessì, a Sassari nel 2022.

Il nido del cuculo è un’espressione del gergo statunitense che fa riferimento agli ospedali psichiatrici.

Durante la selezione delle immagini, Egle Dessole riconosce nel proprio volto lo stesso sguardo vuoto e alienato che aveva osservato anni prima in una persona a lei molto vicina durante l’adolescenza, affetta da disturbi psichici. Il processo creativo la conduce in uno stato di profonda intimità con sé stessa, riattivando un senso di estraniazione che, un tempo, aveva vissuto come spettatrice e che ora riaffiora come traccia emotiva nelle sue fotografie.

1 Il nido del cuculo
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“ Tu non sai quante volte bacio i cancelli di casa mia che si aprono soltanto se citofono alla pazza della porta accanto. E lei mi lascia fuori come un mendico. Ma io servo la sua nudità, la sua avarizia, il suo vangelo assassino. “

Alda Merini


Sempre nel 2022 a Thiesi, partecipa alla rassegna fotografica dedicata al mondo femminile “Immagini d’Autrice”.


“Crocevia”

Presentato a Thiesi nel 2024 Crocevia di Egle Dessole si compone di opere in bianco e nero, in cui l’individuo perde i propri tratti riconoscibili per dissolversi nello spazio costruito dall’uomo. La presenza fisica si annulla, lasciando emergere l’essenza immateriale di un’anima sospesa, al confine tra visibile e invisibile.

Si tratta del sesto progetto dell’autrice, un punto d’incontro tra luoghi e legami già esplorati nei lavori precedenti. Le immagini, osservate nel loro insieme, formano un mosaico di sensazioni che convergono in un pensiero unitario: da qui il titolo Crocevia, simbolo di sintesi e attraversamento interiore.

1 Crocevia
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Già precedentemente vincitrice di alcuni concorsi fotografici,

nel febbraio 2025 vince il primo premio della giuria tecnica per il contest fotografico ” Oltre l’immagine” organizzato dal comune di Parete.

A Febbraio 2025 espone a Palazzo Ducale a Sassari “Confini”, un estratto di tutti i suoi lavori in bianco e nero dal 2012 al 2025.

Nel Maggio 2025 espone al Parco delle arti Molineddu assieme alla scultrice Ebe Tirassa. “ Col corpo capisco “ a cura di Mariolina Cosseddu, unisce fotografia e scultura dove l’ autrice espone il suo ultimo lavoro dal titolo “Aperta Serrada ”.

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L’isolotto della Maddalenetta

           di Giuliana Ceravola e Giovanna Tilocca

La Maddalenetta è poco più che uno scoglio affiorante nella rada di Alghero a poca distanza dalla spiaggia di Maria Pia. Eppure la sua vita è stata piuttosto movimentata, a partire da quando vi è stata costruita una chiesetta intitolata a Maria Maddalena, sede di canonicato fin dal 1526[1]. È certo che la chiesa era ancora in funzione nel Settecento. Continua la lettura di L’isolotto della Maddalenetta

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MEDIOEVO – SCHIAVITÙ IN SARDEGNA E AD ALGHERO

di Giovanna Tilocca

La nostra idea di schiavitù si è formata attraverso descrizioni e iconografie molto coinvolgenti che ci mostrano catene, fruste, uomini ammassati nelle stive delle navi, trattati molto peggio delle bestie.
In realtà ci sono molte forme di schiavitù e credo che nessun popolo possa vantarsi di non aver mai praticato tale sfruttamento del lavoro umano. Continua la lettura di MEDIOEVO – SCHIAVITÙ IN SARDEGNA E AD ALGHERO

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Gavino Lorettu grande invalido di guerra

di Carmelo Murgia

All’eta di 87 anni Gavino Lorettu viene intervistato dalla figlia Lucia sui fatti più importanti della sua vita. Il dialogo tra padre e figlia risulta interessante anche perché le domande sono rivolte in algherese, ma le risposte sono date in lingua sarda.

La registrazione (in audiocassetta) inizia con la musica de su “Ballu e su dillaru” suonata con il piffero a 87 anni da Gavino Lorettu. Continua la lettura di Gavino Lorettu grande invalido di guerra

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Anni sessanta – Musica ad Alghero e il gruppo “I CATALANI”

di Giovanna Tilocca

Negli anni Cinquanta-Sessanta, superato il trauma del periodo bellico, il mondo occidentale era in rapida evoluzione e ciascuno poteva sperare in un salto di qualità della vita in tutti gli ambiti. In quegli anni Alghero era rinata e godeva di un particolare clima di entusiasmo e di fiducia nei confronti del roseo futuro che le si presentava. La generazione nata negli anni Quaranta era un vero esercito di giovani di belle speranze; molti frequentavano il Liceo Classico Manno, oppure si iscrivevano ad un Istituto Scolastico di Sassari dove si recavano in treno, per acquisire un titolo di studio che avrebbe permesso loro un inserimento più importante nel tessuto economico e sociale rispetto alle famiglie di origine. La nostra bella città isolata nell’Isola ora sembrava una perla rara da scoprire e valorizzare; aveva una gran voglia di vivere esperienze nuove e di aprirsi al mondo che, grazie all’aeroporto di Fertilia, era diventato più piccolo e più vicino. E soprattutto c’era voglia di musica, di canti e di balli. Alghero, anche grazie ad una nutrita componente di immigrati da Napoli e dintorni che dal Settecento in poi aveva stabilito la propria dimora in città, si avvantaggiava di una tradizione di sonorità mediterranee allegre e briose che sottolineavano temi arguti e spiritosi. Per ricordare alcuni brani posso citare Ciù Franziscu, Ohi Michel davaglia legu, Anem anant, Lu caragol, Giuan Antoni Bichiruiu, accanto a serenate di carattere tipicamente partenopeo come Daspeltata. Alghero amava la musica, compresa quella lirica e ogni anno c’era la stagione operistica; aveva le bande musicali che accompagnavano eventi religiosi e civili e si esibivano spesso; i giovani potevano frequentare uno spazio privilegiato, il Cavallino Bianco, una terrazza sul mare dove nelle belle serate si recavano a ballare. Ben presto anche i luoghi più prestigiosi divennero piste da ballo, ad iniziare dalla rotonda della villa Las Tronas ancora abitata dal Conte di Sant’Elia. Fu poi la volta del Cavallino Bianco, ormai dismesso, dove l’amministrazione comunale costruì i locali per un night club, occupati subito da El Fuego; aprirono inoltre i night club della Torre di Sulis e della torre di san Giacomo. In questo clima così spensierato e nello stesso tempo impegnato, negli anni Cinquanta sono nati uno dopo l’altro, diversi gruppi musicali che allietavano le feste durante il Carnevale, il Capodanno e la stagione estiva quando Alghero accoglieva numerosi turisti italiani e stranieri che trascorrevano da noi le loro vacanze affascinati dalle meravigliose spiagge solitarie alle quali si arrivava soltanto con l’uso di carrozze o delle barche da diporto dei Ceravola, una famiglia stabilitasi in città nel 1870 proveniente da Livorno ma in realtà di origine meridionale con ulteriori apporti da Capri e da Napoli negli ultimi decenni dell’Ottocento. Non è un caso dunque se troviamo questo cognome citato di frequente tra i musicisti e i cantanti algheresi.

Non sto qui a rievocare i numerosi complessi nati fin dai primi anni Cinquanta e arrivo al 1963 quando, dopo aver maturato diverse esperienze, quattro musicisti algheresi decidono di fare un salto di qualità. Iniziano dunque a guardare al di là di Alghero, convinti di avere delle professionalità da proporre anche fuori dall’Isola e fondano il gruppo de I Catalani. Per avere maggiori notizie ho voluto sentire Francesco Chessa, Piero Cunedda e Francesco Balzani, e da loro ho saputo che l’idea era nata dalla collaborazione dei due chitarristi Giovannino Niolu e Angelo Ceravola, iniziata nel 1957 quando, appena diciassettenni, avevano iniziato a suonare insieme nei gruppi che si esibivano nelle sale da ballo. Giovannino era un eccellente chitarrista che, come suol dirsi, aveva la musica nel sangue, ed era in perfetta sintonia con Angelo. Entrambi autodidatti avevano approfondito la conoscenza della musica con lo studio del solfeggio e avevano fatto della chitarra una passione che li ha accompagnati tutta la vita anche se per Giovannino il sogno si è spezzato troppo presto, nel 1971, a causa di un incidente automobilistico. Il Complesso avrà dunque il nome I Catalani che, se da un lato rievoca la funesta dominazione catalana, dall’altro è un richiamo ai Beatles. Infatti il nome del complesso ha una curiosa origine che vale la pena di raccontare.

In quegli anni erano in voga i Beatles. Come si sa la parola inglese beatle significa scarafaggio, blatta. Ad Alghero gli scarafaggi erano indicati con il termine lus cataranz, come a Sassari gli scarafaggi erano li cadarani per sottolineare la repulsione che i dominati provavano per i dominatori. In altre parole I Catalani prendevano il significato di scarafaggi, e non solo di abitanti della Catalogna.

Ora però lasciamo la storia agli storici e parliamo di cose più piacevoli.

Al nuovo complesso formatosi nel corso del 1963, si aprivano occasioni veramente speciali che li avrebbero portati ad esibirsi oltremare, nella riviera adriatica, in Catalogna e a Parigi in occasione dei Giochi Floreali che lus gialmanz cataranz organizzavano ogni anno in una differente città. A Parigi i quattro musicisti erano accompagnati dai fratelli Nonis, convinti catalanisti.

Francesco Chessa, Giovannino Niolu, Piero Cunedda e Angelo Ceravola sulla terrazza del Fuego
Come si può vedere dalla foto, l’abbigliamento è particolarmente curato e comprende camicia bianca con papillon nero, e pantaloni neri. Le varie giacche sono sempre confezionate con un tessuto lamé.

Arriviamo al 2 giugno 1964 quando nel teatro Selva di Alghero I Catalani partecipano alle finali regionali organizzate dall’Enal di Sassari in collaborazione con l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Alghero, ottenendo il primo posto fra i complessi strumentali isolani. Hanno così la possibilità di rappresentare la Sardegna a Messina alle finali nazionali del concorso che si tengono nell’ambito del Ferragosto Messiniano. Il risultato è stato ottimo in quanto il gruppo si è piazzato al secondo posto. È subito arrivata la proposta di incidere dei brani musicali per la casa discografica Italmusica di Milano. Alla fine del 1964 I Catalani si recano a Milano e incidono due dischi microsolco 45 giri con quattro canzoni, tutte in algherese: l’Ave Maria, Ses coma un’astreglia, Daspeltata e Lu Sulitari.

L’Ave Maria con testo in algherese, musicata da Isabella Montanari, insegnante di pianoforte a Sassari;

Ses coma unastreglia, con parole di Franco Ceravola Rosella e musica di Angelo Ceravola;

Daspeltata, canto tradizionale, conosciuto anche come Serenara a Tareseta con parole di Ramon Cravagliet (Antoni Ciuffo) e musica di Joan Pais;

Lu sulitari, scritta e musicata da Pasqual Gallo che è anche la voce solista del pezzo.

I dischi sono stati venduti in poco tempo e per quanto ci fosse sempre una grande richiesta, non sono stati più stampati.

Il gruppo, che funzionava molto bene a livello strumentale, talvolta si avvaleva delle voci soliste delle cantanti algheresi Marianina Sanna e Gina Marrosu. Nell’ottobre 1965 Piero Cunedda ha dovuto lasciare il complesso in quanto impegnato nella leva militare e la batteria è stata affidata a Francesco Balzani. Nel 1968 anche Francesco Balzani è partito per fare il servizio militare ed è stato sostituito da Tore Mura (Tintinnaia) o da Ignazio Ciampelli fino al suo ritorno.

I Catalani davanti a Villa Mosca e di fronte all’ingresso del night El Fuego

Il Complesso aveva numerosi impegni sempre curati per la parte contrattuale da Francesco Chessa. Quando il quartetto si spostava per raggiungere località al di fuori dall’Isola, prendeva l’aereo nel fine settimana ma il lunedì si tornava alla base perché sia Francesco che Giovannino dovevano proseguire la loro attività lavorativa. I musicisti erano spesati di tutto e avevano buoni ingaggi di gran lunga superiori a quelli che ottenevano ad Alghero.

Bella foto che ritrae il gruppo con la cantante Marianina Sanna al porto di Alghero

Dal mese di aprile e fino a luglio il complesso era richiesto dal night El Fuego, gestito da Nereo Truffo che non badava a spese per avere nei mesi di luglio e agosto artisti conosciuti a livello nazionale ed internazionale come Abbe Lane e suo marito Xavier Cugat. El Fuego era anche l’unico night della Sardegna autorizzato a far esibire spogliarelliste in sala. In quegli anni Alghero ha meritato indiscutibilmente il titolo di Porta d’oro del turismo sardo. I frequentatori dei locali notturni erano agiati commercianti, noti professionisti, dirigenti civili e militari, tutti di una certa età perché i prezzi dei night non erano alla portata dei giovani che dovevano accontentarsi di sale da ballo più modeste.

Oltre che da El Fuego I Catalani venivano ingaggiati dalla Bardana di Gianvittorio Vacca, dalla Torre di Sulis, dall’Whisky a go go, dal Lido Iride di Platamona, dall’Hotel Margherita, dall’Eleonora (albergo dei Fonnesu, al Trò), da El Faro e da altri alberghi nel corso di tutto l’anno, senza differenze stagionali in quanto i locali notturni erano sempre aperti, tranne pochissimi giorni all’anno legati a ricorrenze religiose particolari come ad esempio la Settimana Santa.

I Catalani erano dunque lanciati a proseguire nella loro brillante carriera e col tempo il loro affiatamento e la loro professionalità aveva raggiunto eccellenti livelli. Il vasto programma proposto comprendeva i successi dei Beatles, i ritmi sudamericani, e non mancavano le più recenti canzoni del panorama canoro internazionale.

Come si nota dalle foto i quattro musicisti erano sempre abbigliati con cura e dobbiamo darne il merito al sarto Francesco Chessa, che non solo suonava il contrabbasso nel complesso, ma si occupava anche delle impeccabili giacche tutte in tessuto lamè di vari colori che, da provetto stilista, egli realizzava fornendo ciascun componente di una ricca varietà di capi di abbigliamento da indossare adattandoli ad ogni occasione.

Ottobre 1965 – Foto di Vida pubblicata sull’Unione Sarda: Giovannino Niolu, Angelo Ceravola,
Francesco Balzani e Francesco Chessa

Nell’estate del 1966 I Catalani decisero di trasferirsi in Emilia Romagna alla ricerca dell’occasione che li avrebbe portati ad emergere anche a livello nazionale e vi rimasero per 40 giorni. Giovannino che aveva il negozio di barbiere in quel periodo lo affidò ad un amico, mentre Francesco Chessa non partecipò dato che non poteva lasciare la sua attività per un così lungo periodo di tempo e fu sostituito da Franco Niccu con la sua chitarra basso.

Durante tutto quel periodo il gruppo occupava il piano terra di una villetta a Formignana in provincia di Ferrara e aveva un cuoco d’eccezione dato che Angelino veniva da una lunga tradizione gastronomica familiare. In quei quaranta giorni il gruppo si esibì nei locali notturni e nelle feste di piazza del Veneto, della Riviera romagnola, delle Marche fino a Pesaro e non ebbe un giorno di pausa. I Catalani furono anche chiamati per accompagnare il cantante francese Gilbert Becaud a Contarina in Veneto nel locale Milleluci. La loro professionalità, il loro repertorio molto vasto e meticolosamente curato, stavano dando dei risultati al di là di ogni previsione e certamente se il loro soggiorno si fosse prolungato la loro posizione si sarebbe consolidata tra i complessi italiani. Ma evidentemente non era stato programmato un allontanamento così lungo da Alghero e infine sono dovuti rientrare in città dopo poco più di un mese di permanenza.

Ora in prospettiva si prevedevano quattro giovani musicisti lanciati alla conquista di ulteriori successi mentre Alghero finalmente acquisiva nuova visibilità e si misurava con altre realtà sarde e italiane per ottenere il posto che le spettava nel panorama artistico del momento. I virtuosismi di Giovannino con la chitarra erano molto apprezzati da intenditori e non, e il futuro della Band si presentava ricco di successivi sviluppi. Ma in quell’indecifrabile futuro il destino preparava un evento che in un solo impercettibile attimo ha fatto svanire il sogno. Accadono tanti incidenti, ogni giorno, eppure quasi tutti si risolvono senza conseguenze perché c’è sempre qualcosa che pone un rimedio agli errori. Difficilmente tutto va storto, c’è sempre un quid che evita il peggio. Rare volte le situazioni si svolgono in modo tale che le circostanze si accaniscono e portano tutte verso un tragico epilogo. E in quella domenica del novembre 1971 è accaduto proprio questo. Un banale errore nella manovra, e un albero proprio lì, pronto a fermare la corsa dell’auto ormai ingovernabile di Giovannino Niolu che non ha potuto in alcun modo evitare l’urto terribile che ha messo fine alla sua giovane vita nella pineta di Alghero. Non ci sono parole per esprimere ciò che si prova in occasione di tali tragedie e allora non c’è alternativa al silenzio.

Locandina che annuncia la tournée de I Catalani in Emilia Romagna e in Veneto. Siamo nell’estate del 1966.
Come si può capire dalla locandina, I Catalani avevano ottenuto lusinghieri successi anche in Catalogna dove avevano eseguito il loro repertorio di canzoni algheresi.

A noi che abbiamo attraversato gli anni ora resta soltanto il compito di raccontare gli accadimenti perché, come si usa dire, la vita continua.

Purtroppo la morte di Giovannino a soli 31 anni è stato un grave colpo per I Catalani che avevano perso l’elemento trainante sia musicalmente che emotivamente perché Giovannino era una persona positiva, pronta agli entusiasmi e desiderosa di dare sempre il meglio di sé con la sua amata chitarra.

Preso atto che non era più possibile mantenere il complesso, Angelo, Francesco Chessa e Francesco Balzani hanno chiuso quel capitolo della loro vita anche se in realtà non hanno mai interrotto la loro attività di musicisti.

Angelo Ceravola (Alghero 26.1.1940 – 24.12.2009) nel 1973 ha formato un quartetto con suo cugino Franco Ceravola Rosella che faceva il cantante, con il chitarrista Carmelo Vilardi e con il batterista Pupo Mundula. Il nuovo gruppo ha mantenuto il nome I Catalani. In seguito Pupo Mundula ha abbandonato il complesso che è diventato un trio. Angelo non ha mai lasciato la sua chitarra, fino alla conclusione dei suoi giorni. Era un bravo ed apprezzato disegnatore tecnico, e ha collaborato con diversi ingegneri, architetti e geometri. È venuto a mancare il 24 dicembre 2009 un mese prima di compiere 70 anni.

Francesco Chessa (Alghero 12.10.1934) continua ora alla sua bella età di 90 anni a scrivere musiche per testi quasi tutti in algherese e ha veramente un lungo e ricco curriculum di compositore alle sue spalle. Fino ad alcuni anni fa aveva ancora il negozio di abbigliamento essendo lui stesso un rinomato sarto da uomo.

Piero Cunedda nel 1965 a causa degli obblighi di leva ha dovuto lasciare il complesso ed è stato sostituito da Francesco Balzani; si è anche ritirato dalla squadra di basket Dinamo Sassari dove giocava in serie C. Al suo ritorno ha ripreso l’attività di batterista con varie formazioni che si esibivano soprattutto negli hotel e infine la musica è diventata un passatempo per le serate con gli amici. Gestiva una agenzia di viaggi.

Francesco Balzani (Alghero 25.10.1948) nel 1973 ha formato il complesso gli Isolani e si è esibito in gruppo oppure da solo ad Alghero e in varie località sarde, italiane ed estere fino al 2007. Ha proseguito nella sua attività di musicista compositore che continua ancora oggi nella sua sala di registrazione. Fino a pochi anni fa ha avuto un avviato negozio di mobili.

Tutte le fiabe, quando finiscono, lasciano un bel ricordo che non si spegne neppure quando viene scritta la parola “fine”, e talvolta continuano nel tempo fino a diventare leggende. Oggi possiamo dire che negli anni Sessanta ad Alghero ci sono stati I Catalani, in un momento speciale che la memoria conserva tra le immagini più preziose e felici di un’epoca lontana e favolosa dello scorso Millennio. Per noi sono già una leggenda.

Franco Ceravola Rosella (1940-2023) era molto amico di Giovannino Niolu (1940-1971) e la sua morte prematura lo ha scosso profondamente. A lui ha dedicato una poesia in algherese musicata da suo cugino Angelo Ceravola.

MEMORIA ’71

Parauras de Franco Ceravola

Musica de Angial Ceravola

Coma una gota

calgura nel pou de la durò

ses passat.

Lo cor ascolta

ne la tristura de las cosas

la veu paldura.

Nel camì del tenz molt

lu pansament selca

un so’ dolz de ghiterra

sa cunfundi ama ‘l racolt

i somis, tanta somis calguz

nel camì del tenz molt!

Aschelzus de amisisia i gioz

de giuvantut alegra.

Ma més de tot musica

chi goc (i) ne la musica.

Las manz coma dos pinzels

pintan las notas

i una ghiterra gran coma un sol

canta, riu, prora.

La talda ‘l pansament pres de la por

no vol creura,

ma achel so’ de ghiterra

sa fa agliunt

lu cor, chi astrigniment

chi gliastima

lu che es ver es viu

i prasent

i la durò sa mou

ne l’ampussibra!

Pe’ poc resta lu racolt

ne la talda

de un mamentu paldut!

RICORDO ’71

Parole di Franco Ceravola

Musica di Angelo Ceravola

Come una goccia

caduta nel pozzo del dolore

sei passato.

Il cuore ascolta

nella tristezza delle cose

la voce perduta.

Nel cammino del tempo morto

il pensiero cerca

un dolce suono di chitarra

si confonde con il ricordo

e sogni, tanti sogni caduti

nel cammino del tempo morto!

Scherzi di amicizia e giochi

di allegra gioventù.

Ma più di tutto musica

che gioia nella musica.

Le mani come due pennelli

dipingono le note

e una chitarra grande come un sole

canta, ride, piange.

La sera il pensiero preso dalla paura

non vuol credere,

ma quel suono di chitarra

si fa lontano

il cuore, che struggimento

che pietà

ciò che è vero è vivo

e presente

e il dolore si muove

nell’impossibile!

Per poco resta il ricordo

nella sera

di un momento perduto!

Poesia premiata ai Giochi Floreali di Alghero nel 1973 con la Coppa Joan Pais.

Dagli appunti dell’autore:

Un allegro suono di chitarra si spegne: vien soffocato per sempre dal rombo di una macchina, “cometa metallica” che dopo una folle corsa si schianta. È la morte istantanea, la morte violenta, la morte incredibile; ma le immagini riescono a soffocare la morte.

Esse sono vive, presenti, multiformi.

E se la fine ci si presenta con tutta la sua realtà incombente, in un ultimo impeto si solleva la volontà dell’uomo che con la concretezza della sua vita che continua negli altri sconfigge ogni giorno la morte.

N. B. – Le parole algheresi sono scritte secondo la pronuncia per renderle leggibili a tutti.

Testi e siti consultati:

Maurizio Maiotti e Graziano dal Maso, 1964-1969, I complessi musicali italiani - La loro storia attraverso le immagini, Vol. III (Lettera C), pp. 1425, 1426, 1427
G. Tilocca, Famiglie algheresi dal 1700. La famiglia Ceravola, Edicions de l'Alguer, 2020
Cfr. Storiedialghero.it I favolosi anni Sessanta: il mitico Night El Fuego, di Nino Monti e Carmelo Murgia
Cfr. https://www.blogger.com/blog/post/edit/1269807318449905089/4027146797329018323 Musica anni 50/80 ad Alghero, di Giovanna Tilocca
https://blog.libero.it/nonbasta/ di Franco Ceravola Rosella
https://www.blogger.com/blog/post/edit/1269807318449905089/6327576938574625627 Alghero: la sua musica, di Franco Ceravola Rosella
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I ragazzi dei giardinetti di via Tarragona

di Pietro Piras (noto Piero)

Nel 1961, a seguito dello smantellamento del vecchio cimitero monumentale di Alghero, venne edificata la Chiesa di Nostra Signora della Mercede e presero il via i lavori per la creazione dei campi da tennis e dei giardinetti di via Tarragona. Opere tutte molto importanti che si ricollegavano a quello che sarà lo sviluppo urbanistico della nostra città negli anni a venire.

I giardinetti, oggi Parco Tarragona, occupano un’aria di circa 8100 mq ed oggi come allora sono accessibili dalla scalinata di via Giovanni XXIII, da via Manzoni e da via Tarragona confinando, nella parte che da verso il centro della città con quello che rimane della gloriosa struttura del tennis club di Alghero. In questi ultimi anni i giardinetti, così li chiamavamo noi ragazzini, sono stati interessati da una serie di lavori di riqualificazione del verde e non solo. Laddove campeggiava la grande rotonda, ora vi è un bar molto accogliente, sono state posizionate altalene, scivoli e anche le panchine sono state riviste e ridisegnate con un’ottica diversa rispetto a quella degli anni ‘60. Anche le aiuole e i camminamenti hanno subito dei mutamenti e il prato inglese che puntualmente si seccava nel periodo estivo, per poi riprendersi con le piogge autunnali, oggi mi sembra più curato.

Dal Giugno del 1963 a Maggio del 1976 io e la mia famiglia abbiamo abitato in via Manzoni e, più precisamente, al civico 77 quindi proprio di fronte ai giardinetti che attraversavo tutti i giorni per recarmi prima alle scuole elementari “Maria Immacolata” in via Giovanni XXIII e successivamente alle scuole medie di via Tarragona, oggi Istituto Comprensivo n.2

Devo confessare che la mia frequentazione ai giardinetti per tutti gli anni delle elementari e delle medie fu costante. Anche se i primi anni venivo accompagnato dallo sguardo vigile di mia madre, successivamente acquistai maggiore autonomia e sicurezza tant’è che la sera, dopo aver fatto i compiti, raggiungevo da solo i numerosi bambini che abitualmente giocavano in piena libertà. Come non ricordare i simpaticissimi Giovanni, Gerolamo, Mario, Tonino, Gianni, Tore, Vito, Filippo, Tonino, Luciano, Lelle, Enzo, i miei cugini Flavio, Marco e Roberto. All’epoca erano tutti bambini frequentatori dei nuovi giardinetti ma così come capita sovente, con l’andar del tempo, se ne persero taluni e se ne aggiunsero degli altri.

Da sinistra: Marco, Gimmy e Piero

Fra i tanti amici dell’epoca, ricordo sempre con tanta nostalgia Gimmy: Gimmy non era un bambino, era un cane, uno splendido esemplare di setter Inglese che mi era stato regalato dai miei genitori per la promozione dalla prima alla seconda media. Gimmy era un cane intelligentissimo che giocava con noi ragazzini forse pensando di essere uno di noi e in poco tempo divenne la mascotte di tutti coloro che frequentavano i giardinetti di via Tarragona. Ricordo ancora la volta che entrò da solo alla UPIM di via Sassari alla ricerca di mia madre e di mia sorella Mariangela o la volta che entrò nel campo di gioco del Mariotti durante la partita Alghero – Romulea determinandone la sospensione per qualche minuto. Nonostante siano passati tantissimi anni, il suo ricordo è sempre vivo non solo in me, so per certo che tantissimi vecchi amici lo ricordano ancora.

Nei primi anni Sessanta, il comune aveva sì provveduto alla creazione dei giardinetti, ma non era di certo organizzato come lo è ora il Parco Tarragona, era un’altra cosa forse più campestre, non era un vero e proprio parco giochi ma a noi bambini dell’epoca piaceva così.

Ricordo che venivano praticati una moltitudine di giochi che erano quasi tutti collegati alle stagioni, tranne il calcio. Il calcio veniva praticato tutto l’anno, bastava avere un pallone, dividersi in due squadre e la partita poteva iniziare. Quando non si raggiungeva il giusto numero dei partecipanti e la partita non si poteva fare, si giocava alle sette porte. Il campo di gioco era la grande rotonda posizionata vicino ai campi da tennis, dalla stessa dipartivano a raggiera sette viuzze che costituivano le sette porte ciascuna delle quali doveva essere difesa dal singolo giocatore. Vinceva colui che riusciva, di volta in volta, a segnare nella porta avversaria mantenendo inviolata la propria. Non vi era un termine preciso di durata della partita anche se molte volte le partite si concludevano con il fuggi fuggi dei sette partecipanti soprattutto quando il pallone colpiva, per sbaglio, un bambino o un genitore seduto nelle panchine attorno alla rotonda. Altre volte, quando si raggiungeva un numero di partecipanti tale da poter formare due squadre, si utilizzavano come campo da gioco le aiuole, preferibilmente quelle con un po’ di erbetta, si segnavano le porte con dei cartoni o con maglioni o talvolta cappotti o giacche e il campo era fatto.

Anni 1964/65, Piero con un amichetto dell’epoca

Altro gioco che, se non ricordo male, veniva praticato durante il periodo invernale era quello del“ caval a la paret” . Era un gioco non privo di pericoli che solo dei ragazzini incoscienti potevano esercitare utilizzando come “paret” la rete che separava i giardinetti dai campi da tennis. Altri giochi che impegnavano le serate di noi, ragazzi dei giardinetti erano “caval a la monta”, “brutc”, “bucurì”, “pola” con l’utilizzo delle indimenticabili palline di vetro, “torre de minu gat”, quest’ultimo gioco finiva sempre con lo “zop” che consisteva in risate e baticol al malcapitato che sbagliava la rima.

Durante il periodo invernale e in concomitanza con l’inizio del campionato di calcio, si era soliti fare la raccolta delle figurine dei calciatori per poi scambiare quelle doppie a scuola o ai giardinetti. Era una vera e propria ritualità, ricordo che mio padre ogni anno mi acquistava l’album e mi forniva le 100 lire settimanali che mi servivano per acquistare le figurine.

La raccolta delle figurine, oltre ad avere una funzione educativa, innescava anche un gioco che penso tutti abbiano praticato,almeno una volta, in quegli anni : il gioco dei “Platerets”. Los Platerets, altro non erano che i tappi metallici delle bottiglie di vino, birra o bibite che venivano accuratamente schiacciati verso l’interno. Resta inteso che lo platet doveva mantenere la rotondità della parte esterna del tappo perché solo così poteva ben roteare una volta fatta “l’ alzara” ovvero il lancio in aria dello stesso. Vinceva le figurine messe in palio colui che indovinava il posizionamento della facciata dei tre “platerets” una volta caduti per terra pronunciando, prima della loro caduta, una delle due fatidiche parole crastus o creu.

Per coloro i quali rimanevano nelle proprie abitazioni, il tempo libero poteva trascorrersi o con giochi individuali o seguendo i programmi della TV dei Ragazzi che la Rai, all’epoca, trasmetteva dalle 17.00 alle 18.00 rigorosamente in bianco e nero sul primo canale. Chi non ricorda la serie televisiva del pastore tedesco di Rin Tin Tin e del piccolo caporale Rusty o le interminabili avventure di Lassie propinateci in tutte le salse per oltre un ventennio e che ora costituiscono ricordi indelebili.

Negli anni successivi alla nascita dei giardinetti, si assistette a una inarrestabile crescita di tutte le aree urbane limitrofe a via Manzoni, a via Giovanni XXIII e via Tarragona, che costituivano, per così dire, i confini dei giardinetti. Sorsero nuovi palazzi, si inaugurarono e bitumarono nuove vie dotate di illuminazione ma soprattutto vi fu un incremento della popolazione e delle attività commerciali non certo trascurabile.

Foto aerea dei giardinetti del 1977/78 raffigurante l’impianto a raggiera che li caratterizzava

Tra queste come non ricordare, in via Manzoni, il negozio di generi alimentari di xiu Rafael, la latteria di Sig.ra Maria che d’estate, veniva presa d’assalto dai bambini per acquistare i ghiaccioli e la pizzeria al taglio all’angolo con via Rockfeller.

Con l’arrivo della primavera, si assisteva sempre a una rinascita dei giardinetti e gli alberi, spogli durante il periodo invernale, si presentavano più rigogliosi e ricchi di fogliame. Anche le aiuole subivano una trasformazione in quanto ricoperte da un intenso prato verde e davano un tocco gradevolissimo all’intero complesso.

I giochi primaverili erano i giochi all’aria aperta per antonomasia, le belle serate invogliavano le famiglie a concedersi un po’ di tempo libero e quindi ad accompagnare i propri figli ai giardinetti che pullulavano di bambini di tutte le età.

Ricordo che proprio all’inizio della primavera venivano rispolverate le biciclette, erano i tempi della “Graziella”, dell’Atala 2000 ecc.. che, se non ricordo male, erano caratterizzate dal fatto che il telaio era pieghevole e avevano delle ruote piccole, insomma biciclette che nulla avevano a che vedere con le “vere” biciclette, quelle da corsa o da semi corsa che erano sempre le più apprezzate anche dai ragazzi dell’epoca. Il gioco del calcio era comunque sempre il più praticato e le partite giocate sempre con grande passione duravano per tutta la serata.

Anni 1971/72, i giardinetti. Piero

Con l’inizio della stagione estiva i ragazzi dei giardinetti transumavano, si spostavano per tutta la mattina al mare. I luoghi più frequentati erano la “Spraggetta” sotto l’Hotel Las Tronas, dove tutti abbiamo imparato a nuotare e il “Riservato”, quest’ultimo esclusivamente scogliera, richiedeva una maggiore capacità natatoria e una maggiore attenzione nel camminare sugli scogli. I giardinetti venivano comunque frequentati la sera, prevalentemente, dopo le 18.00 all’ombra dei grandi alberi che arredavano i giardinetti e che consentivano a noi frequentatori di raccontarci e talvolta di cantare, tutti insieme, accompagnati dalla chitarra di Tonino, le canzoni dell’indimenticabile Lucio Battisti.

Alla fine del mese di Settembre, con la riapertura delle scuole, si concludeva la stagione estiva e la frequentazione dei giardinetti subiva un rallentamento visti gli impegni scolastici di noi ragazzini che comunque, non facevamo mai mancare la nostra presenza al cospetto di una importante struttura comunale che era diventata non solo un luogo di giochi e di divertimento ma anche un luogo di incontro, di socializzazione e di amicizia.

Da più di mezzo secolo non sono più un frequentatore dei giardinetti ma non li ho mai dimenticati e quando, talvolta, mi capita di passarci, il ricordo va, inesorabilmente ai tanti amici di ieri e taluni di oggi con cui ho passato intere serate di gioco e di divertimento. Anche la mattina prima dell’esame di Laurea, mi sono concesso qualche minuto di solitudine e di riflessione ripercorrendo, ancora una volta, gli indimenticabili camminamenti dei giardinetti di via Tarragona.

2024, il parco Tarragona. Giochi per i bambini
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Luigi Zagati, una vita di immersioni subacquee

di Roberto Barbieri

Se il sogno di volare in libertà per i cieli si concretizza solo con la macchina volante dei fratelli Wright (1903), il sogno, altrettanto fantastico, di nuotare come i pesci sotto la superficie del mare diventa realtà solo con l’invenzione di un apposito respiratore automatico di aria compressa. E’ l’erogatore Aqua Lung di Cousteau-Gagnan (1943). Continua la lettura di Luigi Zagati, una vita di immersioni subacquee

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La Corallo Sub festeggia i suoi primi 50 anni

di Roberto Barbieri

Lo scorso dicembre 2023 l’Associazione Sportiva Corallo Sub Alghero ha festeggiato i suoi primi 50 anni di vita. La Corallo Sub venne infatti costituita nel lontano 1973 da alcuni subacquei “storici” algheresi tra cui Roberto Coinu, Gianvico Usai e soprattutto Raffaele Foddai, che ne fu l’ispiratore ed il suo primo dinamico presidente. Continua la lettura di La Corallo Sub festeggia i suoi primi 50 anni

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Itinerario semiserio tra le peggiori bettole algheresi

  • di Roberto Barbieri

E’ una sera qualunque del mite, ma ventoso, inverno algherese. Sono con alcuni amici nella sede dell’ANMI (l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia). ANMI? Associazione ché? E dov’è? Chiamata così, pochi la conoscono. -Ah, ma certo, ho capito, vuoi dire il Circolo marinai? Quello che era in piazza Civica? -. Ma si, proprio quello! Continua la lettura di Itinerario semiserio tra le peggiori bettole algheresi

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La signora delle conchiglie

In ricordo di Maria Teresa Spanu

 

di Roberto Barbieri

Recentemente se n’è andata Maria Teresa Spanu. Se n’è andata discretamente, come era nella sua personalità, come era nel suo carattere schivo e modesto. E’ stata maestra di Scuola Elementare, era grande appassionata della biologia del mare, ma era anche molto, molto di più. Innamorata da sempre del meraviglioso mare di Alghero, non si è fermata alla contemplazione estetica dei tramonti su Capo Caccia o alle piacevoli nuotate estive. Ha trovato il modo di avvicinarsi al mondo che è nascosto sotto le onde, pur senza andare sott’acqua. Ha trovato il modo di scoprire molti segreti del mare rimanendo semplicemente su una spiaggia. Ha trovato il modo di entrare in un consesso scientifico internazionale pur senza avere alle spalle un prestigioso istituto oceanografico, anzi lavorando solitaria nella sua villetta immersa nel verde, in un tranquillo angolo di Alghero. Continua la lettura di La signora delle conchiglie

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Lo forn de xià Valeria

di Tonio Mura Ogno

La sveglia era prima dell’alba e con la pasta lievitata si confezionava lo pa punyat, cinque anche sei pani. Un panno bianchissimo foderava lo canistru, dove veniva depositato il pane. Con un segno della croce si benediceva il lavoro e il cibo, e con un altro panno, candido come la neve, lo si copriva. Si usciva di casa che ancora era buio e mia mamma portava lo canistru al cap, tenuto in equilibrio con una mano. Si raggiungeva quindi il forno a legna, a meno di 50 metri. Oggi, esattamente in quel locale di via Ardoino, a due passi dal Palau Gitat (attualmente rimane solo la piazza), si trova una famosa birreria. La maestria del fornaio era impressionante, e il profumo buono del pane cotto invadeva la via e anche la Plaça de San Miquel, dove ancora erano evidenti i resti del bombardamento del ’43. Dopo qualche ora si andava a ritirare il pane, che doveva durare tutta la settimana, praticamente un pane al giorno, anche di meno. Quando il pane cominciava ad indurire si bagnava nel brodo de la copaza di peix, pescato da mio padre da uno scoglio sotto la Torre di Sulis, oppure si bagnava nel caffelatte a base di Miscela Leone. Continua la lettura di Lo forn de xià Valeria

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